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Legame con la storia

Incontro con Mario Cristiani, co-fondatore di Galleria Continua
© CdT/Archivio
Tommy Cappellini
Tommy Cappellini
24.06.2022 06:00

Davanti alla grande vetrata affacciata sul lago sta distesa la scultura in creta di un uomo raggomitolato su stesso. È un pezzo iconico e bellissimo di Antony Gormley, uno dei più importanti artisti viventi. Quella scultura nello stesso tempo è il condensato di un’idea di arte: la creta è riferimento alla natura e alla terra, il soggetto richiama una dimensione di umanesimo contemporaneo. È un’idea di arte in cui Mario Cristiani si rispecchia in pieno. Cristiani è un grande gallerista. Insieme a Maurizio Rigillo e Lorenzo Fiaschi nel 1990 ha fondato Galleria Continua, un’avventura che dalla piccola San Gimignano si è proiettata nel mondo, aprendo via via sedi da Pechino (2004: prima galleria a puntare sulla Cina), a Les Moulins, nella campagna fuori Parigi (2007), a L’Avana (2015), a Roma e San Paolo (2020) per finire con Parigi e Dubai (2021). Una multinazionale colta, che ha scelto la strada di una globalizzazione fuori da standard e percorsi prestabiliti. Da qualche anno Cristiani si è spostato con la famiglia a Lugano, nella sua casa studio popolata, oltre che da Gormley, da opere di Kiki Smith, Carsten Höller, Michelangelo Pistoletto, Berlinde de Bruyckere e Qiu Zhijie. Questo spaccato di arte senza confini convive con i segni visibili della radice toscana: l’accento della parlata è rivelatore (nonostante Cristiani sia nativo di Calitri, in provincia di Avellino), come pure le bottiglie di vino e le prelibatezze dop accuratamente conservate nel frigorifero. Quando nel 1990 i tre amici hanno aperto la galleria, da subito hanno scelto di affiancarle un’associazione non profit, Associazione Arte Continua, di cui Cristiani oggi è presidente. La mission è quella di varare progetti di arte pubblica «per connettere la ricerca sul nostro tempo nelle sue componenti più interessanti, con quello che è la storia dell’arte dentro la quale viviamo». Prospettiva globale e radicamento local sono dimensioni che si alimentano l’un l’altra: gli artisti chiamati ad abitare con le loro opere paesi come Poggibonsi, San Gimignano, Colle Val d’Elsa o altri ancora, sono in molti casi autentiche star internazionali. Le opere, calate dentro contesti così densi di passato, vogliono tenere aperta la storia, dimostrare che l’arte è un qualcosa che «continua», come suggerisce il nome che accomuna galleria e associazione. «L’arte è simile alle piante: è esperienza che si deve radicare per generare benessere di lungo periodo», spiega Cristiani. «Per gli artisti misurarsi e mettersi in dialogo con il passato è un’esperienza formativa, che costringe ad essere anche umili e a contenere l’ego. Come gallerista la mia responsabilità è proporre le cose migliori, perché il potenziale dell’arte faccia breccia e diventi qualcosa di trasmissibile dalle persone di oggi a quelle che verranno. Per questo è una responsabilità non banale, che obbliga ogni volta a fare una selezione dura». In quanto gallerista, a Cristiani può accadere di dover restare collegato mezza nottata con Pechino per preparare l’inaugurazione di una importante mostra come quella a cui sta lavorando con Tobias Rehberger, condizionata dal nuovo lockdown. Ma appena si inizia il dialogo sono altri i temi e le urgenze che gli preme mettere sul tavolo. Nel suo vocabolario i termini che ricorrono con maggior frequenza – comunità, responsabilità o democrazia - sono il segno ancora ben vivo della passata esperienza politica, come esponente dei Verdi. Allo stesso modo il nome a cui più spesso fa riferimento e a cui si ispira, non è quello di un artista o magari di un curatore in grande spolvero, ma è quello di un imprenditore colto e innovativo: Adriano Olivetti. «È un uomo che ha saputo trasformare gli spazi dove si lavora, dove si fa scuola e dove si vive, coinvolgendo in questi processi grandi intellettuali e architetti. Ha lavorato per rendere belli gli spazi per la gente normale. È una situazione di cui come italiano vado fiero». Non è quindi un caso che quest’anno, in occasione della Biennale di Venezia, grazie alla proposta di Luca Massimo Barbero, curatore del progetto, Cristiani abbia chiesto e ottenuto dal Fai gli spazi del negozio Olivetti, un gioiello disegnato da Carlo Scarpa affacciato su Piazza San Marco, per la mostra/installazione dove Antony Gormley entra in dialogo con Lucio Fontana.  

È olivettiana l’idea che «cultura debba essere accessibile a tutti, come accadeva del resto nella Toscana del Rinascimento». Cristiani ha in mente un esempio che ancora lo accende di entusiasmo: «È il caso del farmacista di Staggia Senese che intorno al 1460 aveva commissionato al Pollaiolo una pala con la Maddalena. Bastava entrare nella chiesetta per vederla e goderne. Era un fattore che univa e creava senso di comunità. Inoltre era accessibile e quindi corrispondeva a un’idea democratica di cultura. Nel 1989 a Parigi, davanti alla Piramide del Louvre, è scattata l’idea di provare a proporre qualche innesto di arte contemporanea anche nei nostri contesti storici. Non voleva essere un’operazione estetica, né una sfida. Con l’arte volevamo mobilitare la sensibilità delle persone e rimettere il tempo su una linea aperta al futuro». Oggi sono decine le opere, che popolano qui contesti storici, tutte donate alle amministrazioni pubbliche dall’Associazione Arte Continua. «La presenza dell’arte è un fattore di crescita sociale», spiega con slancio Cristiani. «L’arte porta il gioco più avanti, apre a una dimensione più vasta di comunità, proiettata su orizzonti globali». Ma non si deve pensare che per sentirsi globali basti connettere San Gimignano e Poggibonsi con Pechino o con L’Avana. «Le grandi opere si pongono su un orizzonte cosmico. È grazie a questa energia che l’arte può attivare dei cambiamenti nella vita di tutti e tener fede alla sua funzione pubblica. Ad una condizione: non si può prescindere dalle opere, dalla loro concretezza. Joseph Beuys è stato un grande protagonista del secondo Novecento, ma non penso che, come lui sosteneva, basti introdurre nuove attitudini o teorie. È la presenza dell’opera che può generare cambiamento in un contesto».

È una prospettiva a cui il sistema dell’arte contemporanea non sembra essere troppo sensibile. Le logiche del mercato dominano, anche a livello mediatico… «Questo non vuol dire che con il mercato non ci si debba fare i conti. Senza il mercato non sarebbe possibile dar vita a tutte quelle operazioni pubbliche avviate da Arte Continua in questi trenta anni. Quello che abbiamo cercato di fare creando la struttura non profit è stato cercare un punto di equilibrio e un’alleanza chiara tra il dinamismo privato e la garanzia rappresentata dall’amministrazione pubblica. Piuttosto c’è un altro aspetto a cui presterei attenzione: è la tendenza nichilista che contraddistingue certa arte di oggi. Penso che responsabilità dell’artista, e quindi anche del gallerista per la funzione che riveste, sia quella di essere generatore di benessere di lungo periodo. La natura di un’opera d’arte è di relazionarsi con il passato, di parlare al presente e di proiettarsi verso il futuro, mettendosi in relazione con le generazioni che verranno». La luce del lago che invade la stanza porta inevitabilmente ad una domanda sulla scelta di stabilirsi in Ticino. «Sono venuto qui perché desideravo riunire la famiglia (Cristiani ha tre figlie, ndr) che ho un po’ disertato in tanti anni di viaggi per il mondo». Ci sono anche progetti per fare atterrare Continua da queste parti? «Qualche pensiero l’ho fatto. Ho collaborato come direttore artistico con alcuni amici del Ticino e dei Grigioni al Progetto Rossarte e con l’Associazione Arte Continua stiamo valutando di sviluppare un progetto a Biasca in collaborazione con l’Amministrazione Pubblica e alcuni privati (si veda la storia di copertina che Hub ha dedicato al nuovo compound d’arte in arrivo, sul numero del marzo scorso, ndr), ma è ancora tutto prematuro. E poi non decido da solo. Siamo in tre soci, anzi tre amici».