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Sulle ali dell’aquila

Visita con intervista alla fabbrica del mitico Fernet-Branca
Presidente
Michaela Ghersi
14.09.2022 05:00

Ventisette tra erbe, radici e spezie in arrivo da quattro continenti. Da centosettantasette anni. Decotte, macerate, affinate e trasformate per essere distribuite come un elisir, di nuovo in quattro continenti. In questa logica circolare è racchiusa l’essenza di un liquore conosciuto a tutte le latitudini: il Fernet-Branca. E del successo di Bernardino Branca che - con un’intuizione coraggiosa - invece di utilizzare erbe locali, per il suo prodotto guardò più lontano. Sfidando la logistica dell’epoca (il suo primo amaro è del 1838) egli fece arrivare le componenti - dai nomi evocativi, zedoaria, galanga, mirra, ma anche rassicuranti, rabarbaro, tiglio e camomilla - dai luoghi più disparati. Ottenne così una miscela quasi mistica. Nata per curare, veniva dosata a mano in una stanza «segreta»: oggi la tecnologia permette di realizzare la formula con un metodo criptato per proteggerne l’integrità, mentre il documento originale è custodito nella cassaforte di una banca. «Il giorno in cui ho ricevuto la ricetta, ho provato una enorme emozione: era la storia che arrivava diretta nelle mie mani» così racconta Niccolò Branca, che abbiamo incontrato nella storica sede di Milano, un intero quadrilatero dello Scalo Farini. Quinta generazione, presidente e amministratore delegato della holding del Gruppo Branca International che ha società in Italia e Argentina, Niccolò Branca ci accoglie negli eleganti e spaziosi corridoi che ospitano il museo aziendale. «Quando ho letto gli ingredienti ho voluto fare delle prove per comprendere il segreto della formula ed ho capito che uno dei segreti è che se si cambiano i dosaggi, la formula non è più la stessa. È proprio come se la somma delle parti, per come è stata creata la formula, sia ben più della semplice somma di tutte le parti. È anche per questo che ha grande successo e che ha potuto iniziare il suo percorso nelle erboristerie e poi nelle farmacie dove è stato in vendita fino al 1950. Mi piace immaginare il mio trisavolo come un alchimista che, unendo erbe e radici, ha scoperto la formula che potesse essere di beneficio alle persone, come digestivo, anticolerico e rimedio per diversi disturbi. Il segreto è nella ricetta, ma risiede anche in un processo produttivo articolato. I decotti e le macerazioni si svolgono con una sequenza particolare». Percorrere i corridoi del museo Branca è un viaggio nel tempo e nel mondo. Vi si trova una forma mentis aperta, uno spirito pionieristico e una vocazione all’internazionalità. Basti pensare che nel 1860, un dirigente dell’epoca, il signor Hoffman - un area manager, diremmo oggi - partì da Milano con la valigia del campionario alla volta dell’Argentina, un’incerta traversata dell’Oceano che richiedeva settimane di viaggio in nave. L’Argentina, insieme a Francia e Svizzera, diventerà un Paese chiave per l’espansione dell’azienda. Nel 1926 viene concessa da Dino Branca l’autorizzazione alla Hofer e C. di Buenos Aires per fabbricare il Fernet a partire dall’estratto che arriva dall’Italia. Nello stesso anno s’inaugura lo stabilimento di Saint-Louis in Alsazia e il 1932 vede la costituzione della Società anonima Fratelli Branca distillerie di Chiasso. Scelte aziendali strategiche nell’ottica di ridurre costi di trasporto e distribuzione e di neutralizzare le politiche economiche protezioniste che si andavano diffondendo. «Per la sede svizzera abbiamo avuto un grande affetto - racconta Niccolò Branca - anche se l’attività si è conclusa negli anni Novanta. L’altro legame forte lo abbiamo con la città di Basilea, data la vicinanza fisica con la nostra antica distilleria di Saint-Louis: dal 2004 convertita nell’Espace d’Art Contemporain Fernet Branca, si inserisce appieno nel contesto culturale transfrontaliero». La sezione grafica del museo Branca con la collezione di cartoline, calendari e manifesti pubblicitari del secolo scorso conferma una precoce e intensa creatività: venivano stampati pure in alfabeto arabo e cirillico, seguendo un marketing che si perfezionò anno dopo anno, fino ad arrivare alle celebri campagne con il geniale pay-off per un digestivo: «Sopra tutto Fernet-Branca, inimitabile». Durante il boom economico arriva un’altra intuizione che si vuole legata a un aneddoto leggendario: si narra che Maria Callas volesse sempre aggiungere qualche fogliolina di menta al suo adorato Fernet. Così viene studiata una variante che prevede il più pregiato olio essenziale di menta piperita piemontese, a cavalcare la ricerca di gusti innovativi richiesti negli anni Sessanta. Sta di fatto che, tra leggenda e strategie di marketing, il «brivido di piacere intenso» del Brancamenta, il bicchiere scolpito nel ghiaccio e il rumore dei cubetti gelidi che cadono in quel bicchiere fanno ormai parte dell’immaginario collettivo. Oltre al Fernet e al Brancamenta, al Punt e Mes e al Vieux Cognac (che dal 1956 si chiama Brandy Stravecchio: gli intenditori lo adorano per «tagliare» il caffè) la famiglia ha acquisito negli anni, tra gli altri, Carpano Antica Formula e Carpano bianco e classico, Grappa Candolini e Caffè e sambuca Borghetti. «Siamo voluti restare fedeli al motto: novare serbando», spiega Branca. La recente decisione, in Svizzera, della cooperativa Migros di mantenere il divieto di vendita di alcolici - osservato nei punti vendita fin dal 1928 - ci porta a una riflessione sul futuro dell’alcol: «Nel bere occorre consapevolezza, perché tutto quello che è fatto in eccesso non può che avere conseguenze. Noi siamo per un bere ‘mediterraneo’, equilibrato, a piccoli sorsi. Il mondo dell’alcol ha avuto dei cambiamenti e si va sempre più verso un bere contenuto, ma è un bere meglio». Consapevolezza è d’altronde una parola chiave per Niccolò Branca, che da trent’anni pratica la meditazione e ha integrato la propria leadership con una dimensione umanistica: «Centrarsi significa prendersi cura di sé stessi e degli altri, qualcosa che ti può aiutare tutti i giorni, anche nel mondo del lavoro. Siamo ‘sequestrati’ dalla sequenza dei nostri pensieri e tendiamo a identificarci con essi. Invece è il pensiero che pensa in te. La meditazione ti aiuta a esercitare questo distacco e a osservare i pensieri». Nello studio di Niccolò Branca la scrivania è una grande tavola rotonda a rappresentare la circolarità delle idee e delle informazioni: «Pensiero circolare significa cercare di apprendere da tutto e da tutti per trovare poi un punto comune», spiega. «Uso sempre questa metafora: siamo imprenditori di noi stessi, ma l’imprenditore è in vacanza e dentro di noi ci sono operai, quadri, dirigenti, amministratori delegati e presidenti, tutti in lotta tra di loro per comandare l’azienda. Questi personaggi sono la sensibilità, le percezioni sulle situazioni, sulle persone, le emozioni che prendono il sopravvento su di noi. Poi abbiamo inconscio, subconscio, conscio, condizionamenti mentali, conformismi, lo spirito del tempo e l’inconscio collettivo. Se non si è consapevoli si finisce con l’essere una sorta di burattino nelle mani di chi fa muovere i fili». Nel libro Per fare un manager ci vuole un fiore (Marcos y Marcos), Niccolò Branca introduce la suggestiva metafora del diventare artisti della propria vita: «Se ognuno di noi, nelle piccole sfere - ma anche nelle stanze del potere - prima di agire depositasse nel cuore le ragioni per una determinata scelta, il mondo potrebbe migliorare senza nessun tipo di rivoluzione. La rivoluzione va fatta interiormente».