Politica

I manifesti del «piattume»

Soliti visi sorridenti, solite parole vuote, i manifesti della campagna elettorale non brillano per originalità: la parola agli esperti
© CdT/Chiara Zocchetti
Andrea Stern
Andrea Stern
19.03.2023 06:00

Cambiamento, continuità, concretezza, passione, fiducia… E poi ticinesi qua, ticinesi là, Ticino su, Ticino giù. «Che piattume», commenta Lulo Tognola, con lo sguardo distaccato di chi vive e vota nei Grigioni, osservando i manifesti elettorali comparsi in queste settimane lungo le strade del nostro cantone.

«Leggo tanti slogan che lasciano il tempo che trovano - argomenta il grafico di Grono -, vedo tante immagini che si assomigliano l’una con l’altra. Mi ricordo che anni fa c’era un linguaggio grafico più impegnato, più qualitativo, mentre oggi mi sembra di notare un certo appiattimento. Finora non ho visto manifesti che mi abbiano colpito per la loro originalità. Ce n’è forse solo uno che mi è sembrato più riuscito, quello di un noto avvocato bellinzonese, che si è limitato all’essenziale. «Vota Tuto Rossi», c’era scritto, senza fronzoli, senza slogan campati in aria, senza immagini, senza masturbazioni grafiche».

Gli altri manifesti rientrano tutti nel collaudato schema del candidato sorridente accompagnato da uno slogan più o meno accattivante. Parole vuote, solitamente, se non freddure, come quella del candidato leghista Alessandro Mazzoleni che se n’è uscito con lo slogan «Casse malati, che Mazz... ata!».

Una povertà «voluta»

Una povertà di idee che potrebbe anche essere frutto di una chiara strategia, secondo il pubblicitario Michel Ferrise, quello di Balairatt e tante altre provocanti campagne.

«Siamo appena usciti da una pandemia - afferma Ferrise -, da un anno è in corso una guerra piena di incognite, non è di sicuro il momento più opportuno per lanciare proposte shock o per mettersi a litigare. Credo che oggi si preferisca trasmettere all’elettorato un messaggio rassicurante».

Così persino la Lega, che ai tempi scandiva messaggi forti del tipo «Gli indiani non sono riusciti a fermare l’immigrazione, oggi vivono nelle riserve», quest’anno ha deciso di puntare sulla molto più morigerata «continuità». Una scelta curiosa, per un movimento che ha sempre voluto considerarsi di rottura.

«La campagna della Lega l’ho realizzata io - ammette Ferrise -. Non nascondo che in un primo tempo avevamo preparato una campagna molto più forte ma poi, riflettendo, abbiamo convenuto che in questo momento l’elettorato non ha bisogno di messaggi provocatori. Quindi abbiamo messo da parte la campagna originale e presentato qualcosa di più sobrio».

«Voi media ci siete cascati tutti»

Una «continuità» che, guarda caso, si contrappone al «cambiamo ora» dei compagni di lista dell’UDC. «Sì, è proprio un caso - spiega Ferrise -. Noi non sapevamo che tipo di campagna stavano preparando loro e loro non sapevano che campagna stavamo preparando noi. Non c’è stata alcuna concertazione. Abbiamo scoperto la campagna degli alleati nel giorno della loro presentazione, che tra l’altro era lo stesso giorno della nostra».

Di per sé, Ferrise non vede alcun problema nella trasmissione di messaggi antitetici su una stessa lista. «Aiuta a catturare l’attenzione pubblica - osserva -. In effetti vedo che voi media ci siete cascati tutti. Un giorno dedicate una pagina a Piero Marchesi, l’indomani a Boris Bignasca o Claudio Zali, il giorno dopo ancora all’UDC. In questa campagna si sta parlando quasi solo delle discussioni interne alla lista Lega-UDC. Qualcuno potrebbe pensare che sia negativo. Ma in realtà l’intento della comunicazione è far parlare di sé, quindi direi che l’obiettivo è raggiunto. Mi sorprende piuttosto il comportamento degli altri partiti. Sembrano subire, sembrano rassegnati».

Non sempre serve provocare

D’altra parte non è che gli altri partiti affrontino queste elezioni con obiettivi particolarmente ambiziosi. «Se un partito è convinto che la propria base gli confermerà il sostegno, non ha bisogno di produrre chissà che campagna - osserva Jean-Patrick Villeneuve, docente titolare del corso di comunicazione politica all’USI -. È importante essere presenti, mostrare i propri candidati negli spazi pubblici, perché non fare campagna elettorale significherebbe rischiare di passare inosservati, di finire per essere dimenticati dagli elettori. Ma per ricordare la propria presenza basta una campagna tiepida, senza messaggi forti, senza rischi».

Sì, perché la provocazione ha sempre una dose di rischio. «Un messaggio forte può catturare l’attenzione ma non necessariamente questa si traduce poi in voti - prosegue Villeneuve -. Inoltre è importante che la provocazione sia condivisa all’interno del partito, altrimenti si rischia di creare divisioni. Infine va detto che non tutti i gruppi politici sono uguali. Ciò che funziona nel PLR, per esempio, non per forza funziona anche nel PS».

Ogni partito ha quindi adottato la strategia che più gli si addice. Scontrosa e rumorosa nella destra conservatrice, più pacata nella destra liberale e al centro, vagamente progressista a sinistra. «Io prendo tutti i giorni il bus - aggiunge Villeneuve -, ma devo dire che finora non ho visto nulla che mi sembrasse uscire dagli schemi. È una campagna elettorale classica, nei toni e nei modi».

«Evviva, la cartellonistica resiste»

Sì, perché se da una parte si moltiplicano gli appelli su WhatsApp e consimili, dall’altra non scompaiono gli aperitivi elettorali, i santini e i manifesti. «Il termine stesso «manifesto» sta a significare manifestare un’idea, è qualcosa che arriva dall’antica Grecia - riprende Tognola -. È una tradizione cui anche noi in tempi più recenti abbiamo dato un contributo, con la cartellonistica svizzera, con bravissimi grafici come Bruno Monguzzi, Orio Galli o Antonio Tabet che hanno fatto manifesti di estrema qualità, da ammirare indipendentemente dal messaggio che veicolano».

Da grafico e formatore di generazioni di altri grafici, Tognola guarda a ogni manifesto come a una boccata di ossigeno per un’industria della carta oggi parecchio boccheggiante.E pazienza se il livello non è sempre eccellente. «Mescolandoli tutti insieme - conclude Tognola - verrebbe una macedonia un po’ insipida, senza sapori forti. Ma a volte va bene anche così».

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