I due volti dell'economia

L’economia e gli economisti sono stati al centro della puntata de La domenica del Corriere, in onda su TeleTicino. Ospiti del vicedirettore del Corriere del Ticino Gianni Righinetti, il presidente dell’Unione svizzera arti e mestieri (USAM) Fabio Regazzi, l’economista Sergio Rossi, il presidente della Camera di commercio Andrea Gehri e l’economista Christian Marazzi. «La realtà di chi vive nell’economia si confronta tutti i giorni con chi invece ha un approccio più teorico», ha premesso Regazzi, secondo il quale, tuttavia, «è un po’ come andare in montagna: c’è chi la descrive stando seduto alla scrivania e chi invece la scala. E se dovesse servirmi un consiglio, preferirei chiedere a chi la montagna la scala». In disaccordo si è detto Rossi: «Chi fa economia si occupa della propria azienda, mentre noi guardiamo l’insieme del sistema economico che comprende molti altri attori». Gli economisti, insomma, «analizzano anche quello che non va nel sistema economico, a vantaggio della collettività, e non della singola impresa». «Noi siamo coloro che generano sul territorio posti di lavoro e benessere. E ci confrontiamo con i problemi veri», ha evidenziato dal canto suo Gehri. Anche all’interno del mondo degli economisti, ha invece fatto notare Marazzi, esistono correnti diverse. «Non è certo mettendo in contrasto economisti ed economia che si fa un servizio alla causa, che dovrebbe essere quella di generare un benessere per tutti».
Già, ma in Ticino abbiamo un tessuto economico sano? «Purtroppo - ha spiegato Regazzi - si tende a darne un’immagine molto negativa, ma dal mio punto di vista ciò non corrisponde alla realtà. Certo, abbiamo delle sacche di cui potremmo fare a meno, ma sono una minoranza. Complessivamente, invece, credo che il nostro tessuto economico sia molto più sano di quello che si tende a credere». «In Ticino - ha osservato invece Rossi - ci sono molte aziende virtuose, che pagano stipendi corretti. Ce ne sono altre, però, che non lo sono affatto. Il problema dei premi di cassa malati, in Ticino, è più acuto che altrove anche perché gli stipendi sono troppo bassi». Insomma, «accanto a bravi imprenditori ci sono anche degli pseudo-imprenditori che sfruttano la vicinanza con l’Italia e il bacino di manodopera transfrontaliero per abbassare gli stipendi. Chi lo fa, però, danneggia la collettività. Questo andrebbe risolto». Come? Secondo l’economista, «si potrebbero incentivare le aziende ad assumere manodopera locale, laddove disponibile, e a versare stipendi corretti, premiandole con sgravi fiscali». «Ma le imprese possono generare stipendi se messe nelle condizioni di operare, e la nostra economia deve fare i conti con realtà molto più grandi. Elevare gli stipendi non è così facile», ha fatto però notare Gehri. Per poi aggiungere: «Mettere in pratica quanto teorizza Rossi è difficile, e lo dimostra il salario minimo, che ha avuto quale reazione non quella di aumentare la massa salariale ma di redistribuirla. Non a caso, si sono alzati gli stipendi più bassi e si sono abbassati quelli più alti». Per Marazzi, invece, «occorre in primis ricordare che in Ticino negli ultimi anni c’è stato un aumento delle imprese ad alto valore aggiunto, e questo è importante. D’altro canto, però, ci sono imprese che contribuiscono a tenere bassi i salari, e non a caso il Ticino ha peggiorato il rapporto con il salario medio svizzero, portando negli anni a un aumento dell’erogazione dei sussidi per i premi di cassa malati». La nostra situazione, ha quindi aggiunto, «è per certi versi schizofrenica: da un lato abbiamo condizioni quadro notevoli, dall’altro sacche di povertà significative». Secondo Regazzi, però, «si dimentica che i salari sono in gran parte determinati dal mercato in cui si opera. Non avrei problemi a raddoppiare gli stipendi, ma è il mercato a stabilire i prezzi di quanto vendo, e se io aumentassi i salari in un modo che il mercato non è in grado di assorbire, andrei fuori rotta».
Spazio, infine, alla discussione sulle finanze cantonali. Gehri ha ribadito che «gli imprenditori e l’economia sono preoccupati. Occorre risparmiare dove si può, avviando una riflessione su compiti dello Stato». «Sul piano politico - ha fatto notare dal canto suo Rossi - bisogna trovare un’intesa, guardando la spesa pubblica ma anche le risorse fiscali». Per Regazzi, invece, «il Cantone ha un problema di uscite, fuori di controllo. Basti pensare in 5-6 anni, il personale dello Stato è aumentato di 700 unità». Per il presidente dell’USAM, insomma, «servirebbe un approccio completamente diverso».
