La domenica del corriere

I tanti effetti della guerra sul borsellino dei ticinesi

Rincari e penuria di materie prime sono ormai all’ordine del giorno - Quali contromisure? Marco Chiesa: «Il vero problema è il gas russo» - Amalia Mirante: «Il conflitto ha accelerato un problema già presente»
Ospiti di Gianni Righinetti: Marco Chiesa, Amalia Mirante, Angelica Lepori, Fabio Regazzi e Fabrizio Sirica. © CdT/Chiara Zocchetti
Red. Ticino&Svizzera
03.04.2022 20:00

L’effetto della guerra sul nostro borsellino è stato il tema della puntata de La domenica del Corriere. Rincari e penuria di materie prime sono all’ordine del giorno e, in sostanza, c’è l’impressione che l’aumento dei prezzi non si calmerà presto. E allora cosa fare, non ci resta che preoccuparci, o ci sono contromisure possibili? Gianni Righinetti ne ha discusso con: Marco Chiesa, presidente UDC; Angelica Lepori, parlamentare MPS; Fabio Regazzi, consigliere nazionale PPD; Fabrizio Sirica, copresidente del PS e l’economista Amalia Mirante.

Il ruolo dello Stato
A dare il via al dibattito è stata proprio Mirante, convinta che «la guerra ha reso più grande e ha accelerato il problema dei prezzi e delle materie, che già stava arrivando». E in questo senso «possiamo parlare di contro effetto alle politiche di sostegno messe in atto a causa del Covid». Insomma, «oggi tutto, dal profilo economico, è peggiorato e senz’altro avremo dei problemi per le classi di reddito più basso e quelle di reddito fisso, come ad esempio i pensionati». Senza dimenticare, ha aggiunto l’economista, «che c’è l’effetto sulle aziende, sui costi di produzione e il rischio di licenziamenti». Per Lepori, invece, non c’è un effetto guerra ad esempio sulla benzina, «perché quella che consumiamo oggi è stata acquistata sei mesi fa. Non è una fatalità, ma una vera e propria speculazione. E le ragioni sono più profonde della guerra. A influire è anche il fatto che non c’è una politica di controllo». Quindi, secondo Lepori, «in una situazione di crisi dovrebbe esserci un intervento da parte dello Stato». Ma è giusto sollecitare l’intervento dello Stato? «La guerra porta anche insicurezza e questo accade pure in Svizzera. Stiamo vivendo in una bolla nella quale i prezzi aumentano» ha affermato Chiesa. Occorre quindi togliere le tasse? Cosa ne pensa il PS? «Il ruolo dello Stato oggi è quello di sostenere le categorie più fragili, ad esempio con un sussidio energetico – ha affermato Sirica –. Questa deve essere la prima risposta con lo Stato sostenitore in caso di necessità». Dal canto suo Regazzi ha lanciato una frecciatina agli ecologisti, osservando che in questo momento c’è anche chi «si rallegra di fronte agli aumenti del prezzo di benzina ed energia: si tratta dei Verdi che hanno dichiarato che grazie agli aumenti si accelera il processo di transizione ecologica. Per fortuna, vien da dire, che non è passata la legge sul CO2».

Sanzioni e neutralità
Nelle scorse settimane si è poi parlato a lungo delle sanzioni, quelle dell’UE che la Svizzera ha fatto proprie. Ma queste misure produrranno effetti sulla nostra economia? «Non dovrebbero averne – ha inizialmente affermato Mirante – ma è chiaro che diversi settori potrebbero esserne toccati, come quello bancario e delle materie prime». Insomma, per Mirante «non possiamo fare finta di nulla e sappiamo che il settore delle costruzioni inizia ad avere problemi. Ci sono poi gli effetti sull’agricoltura. Il mondo è interconnesso e le conseguenze possono arrivare a catena». Per Chiesa, invece, «il problema dei problemi è il gas russo. La Svizzera doveva sposare la linea del courant normal. Invece, applicando le sanzioni e dicendo cosa faceva, si è posta da una parte del conflitto e oggi non è al tavolo delle trattative» ha concluso il presidente dell’UDC. A mente di Sirica, però, «non si poteva restare silenti».

Ma questa è strettamente materia politica. Tornado all’economia, Righinetti ha quindi chiesto agli ospiti quali potrebbero essere, dal profilo del mondo del lavoro, le conseguenze della guerra. A partire dai profughi che, con il permesso S, potranno lavorare in Svizzera. Mirante è preoccupata? «Dipende dai numeri. Questa immigrazione, che è spinta dalla guerra, porta persone qualificate. Occorre quindi un controllo e una garanzia da parte dello Stato affinché non vi sia un effetto dumping». Dal canto suo Regazzi ha evidenziato il fatto che «l’80% circa (ndr, dei profughi) è composto da donne accompagnate da figli e che in questa fase, più che il lavoro, cercano protezione: la sensazione è che aspettino il momento di rientrate a casa». E secondo Sirica, si tratta di un’opportunità o un problema? «Non dimentichiamo lo scoglio linguistico. A me spaventa il potenziale aiuto domestico per evitare lo sfruttamento di questi lavoratori». Lepori ha invece fatto notare che «l’effetto dumping è datato e c’era ben prima della guerra»: «Io non mi chiedo cosa fare con i profughi, lasciamo che a decidere siano loro. Forse tutto quanto sta accadendo ci porterà a discutere che modello di sviluppo vogliamo». A mente di Chiesa, infine, questo «è il momento della solidarietà, ma non dell’ingenuità»: «Diciamolo, non potremo ospitare tutte le persone arrivate. Ma togliamoci il cappello vedendo quante persone si stanno mostrando solidali con i profughi».