La domenica del Corriere

Profughi, le grandi sfide di un’accoglienza inedita

Al centro della puntata, l’arrivo in Ticino delle persone in fuga dalla guerra in Ucraina - Oberholzer Casartelli: «Uno slancio di solidarietà che non ha precedenti» - Amato: «Tante le difficoltà pratiche e quotidiane»
La trasmissione, in onda su TeleTicino, dalla regia.
Red. Ticino&Svizzera
27.03.2022 20:11

Per una sera nessun politico, ma solo addetti ai lavori, chi è impegnato in prima linea. A La domenica del Corriere hanno preso la parola coloro che si occupano in prima persona dei profughi ucraini, dal profilo istituzionale con Michela Trisconi, responsabile Servizio integrazione degli stranieri e Cristina Oberholzer Casartelli, capo Sezione del sostegno sociale. Ma alla trasmissione che va in onda su Teleticino c’erano anche i rappresentanti di associazioni umanitarie attive nel nostro Paese: Mario Amato, direttore Soccorso operaio svizzero Ticino, Debora Banchini Fersini, vicedirettrice Croce Rossa Svizzera Sezione Sottoceneri e Ilario Lodi, direttore Pro Juventute Svizzera italiana. Da alcune settimane assistiamo alla corsa dei profughi ucraini per mettersi in salvo e a quella dei ticinesi all’insegna della solidarietà. Abbiamo capito che sarà un flusso senza tregua, Berna si attende 50.000 (e forse anche di più) persone entro giugno. Donne, bambini e anziani che chiedono una mano e molti privati hanno risposto “presente”. Ma quando si spegneranno i riflettori cosa accadrà? Temi e domande poste da Gianni Righinetti ai suoi ospiti che vivono settimane di intenso lavoro per trovare soluzioni.

Si tratta di persone costrette e fuggire con una piccola borsa con qualche essenziale effetto personale, poche cose raccolte prima di lasciare la propria casa, talvolta colpita dalle bombe russe, o magari perché il livello di pericolo era a un livello tale da mettere in pericolo la vita. Tanti sono bambini, un tema sul quale si è concentrato Lodi: «Piccini che hanno un bisogno estremo di affetto e di sostegno dopo il distacco traumatico che hanno subito. Questa è una massima attenzione che dobbiamo mettere in atto». Più volte è stata sottolineata la disponibilità e la solidarietà messa in atto di ticinesi. Compresi privati che offrono il proprio tetto ai profughi. Ma quanto potrà durare questa situazione? A questa domanda oggi nessuno sa dare una risposta. «Il ticinese che vuole proporre accoglienza si deve rivolgere al suo Comune» ha detto Oberholzer Casartelli, aggiungendo che «ad oggi abbiamo censito un centinaio di appartamenti, ora si tratta di individuare a chi va bene quale appartamento. Ma tra gli aspetti da considerare c’è anche la scolarizzazione dei bambini e ragazzi. È la prima volta che ci troviamo confrontati a una spinta in queste dimensioni, ma disponibilità dei privati in passato non era così diffusa».

Per Amato «si è vista subito una spinta enorme, poi però ci si confronta con le difficoltà quotidiane e pratiche. Alloggiare chi arriva da un Paese diverso pone difficoltà linguistiche, ma poi ognuno ha i suoi bisogni, anche quelli di rango medico. E c’è chi è traumatizzato e va aiutato. Gestire la quotidianità è complesso, l’onda emotiva spesso non permette di mettere a fuoco ciò che occorre». Anche Banchini Fersini ha portato l’esperienza «di privati che si manifestano perché conoscono alcune difficoltà. È una questione da gestire sul lungo termine, anche perché quando la tensione emotiva scemerà e si spegneranno i riflettori, le persone con i loro problemi resteranno». In questo senso è rischioso che ad occuparsene siano i privati? «Direi che vanno dati gli strumenti, perché un conto è l’accoglienza, un altro è sostenerli nelle problematiche che rimangono». Trisconi ha poi spiegato che i servizi del Dipartimento delle istituzioni si trovano ancora in «una fase amministrativa, poi arriverà la fase dell’integrazione. Noi siamo pronti, lo facciamo da anni ma attendiamo da Berna linee guida chiare».

Ma «oggi in Ticino abbiamo persone che non si sono ancora registrate e questo è il primo passo da fare». Righinetti, in conclusione, ha chiesto ai suoi ospiti di affrontare la questione profughi di ieri e di oggi. La differenza c’è e non è di poco conto. Già solo osservando la guerra dei Balcani si vede che i numeri parlano chiaro. Nel 1991 erano arrivate meno di 1.000 persone (esattamente 993), nel 1992 circa 1.800 e nel 1993 1.900. «Oggi, a poche settimane dall’inizio della guerra tra Russia e Ucraina – ha osservato Trisconi - le proporzioni sono già più ampie». Una realtà che ha portato tutti gli ospiti a manifestare preoccupazione per quanto ci attende.