Intervista

Alla ricerca della casa perduta

Casa Astra da quasi due decenni è il riferimento per chi in Ticino, per vari motivi, si ritrova ad essere privo di alloggio
Il direttore Donato di Blasi (seduto) e Marco d’Erchie. ©CdT/Zocchetti
Michele Castiglioni
23.06.2022 17:25

Avere un tetto sopra la testa è per antonomasia, uno degli elementi fondamentali per il benessere di base delle persone, dei cittadini. Ma cosa succede a chi la casa non ce l’ha, perché l’ha persa (o non l’ha mai avuta)? Ne parliamo con il direttore di Casa Astra, Donato Di Blasi e Marco d’Erchie, operatore presso l’attuale sede di Mendrisio.

Casa Astra dà «una casa a chi non ce l’ha»: come e da dove nasce questo pensiero, il desiderio di rispondere a questo problema?

Donato Di Blasi: «La struttura è stata aperta in un appartamento a Ligornetto nel 2004 dall’associazione ‘Movimento dei senza voce’. In quel momento ci occupavamo di persone senza alloggio, ma anche spesso senza un permesso di soggiorno in Svizzera, in particolare la comunità ecuadoriana. Nel corso degli anni ci siamo resi conto, poiché stavamo ricevendo sempre più segnalazioni, che c’era sempre più bisogno anche per i residenti. Di questa realtà locale all’inizio non eravamo ben coscienti, ma con il passare del tempo ci siamo resi conto che era sempre più evidente uno stato di necessità di molti ticinesi. Oggi il 70% dei circa 120 ospiti che ogni anno passano da noi nella attuale sede di Mendrisio sono residenti. Negli anni è quindi cambiata anche l’utenza».

Ma è mutata negli anni la situazione o il problema ha sempre riguardato da vicino i ticinesi?

DDB: «Le tipologie di ospiti variano un po’ negli anni, per esempio in seguito alla crisi del 2008 sono aumentate temporaneamente le persone ‘di passaggio’, in cerca di lavoro in altre nazioni (per esempio proveniente dall’Italia). Poi, grazie all’ampliamento della struttura sono aumentate le donne e le famiglie intere e negli ultimi anni è cresciuto il numero dei giovani adulti».

Pensiamo che la nostra sia una società dove il benessere è patrimonio comune, ma la realtà sembra un po’ diversa: chi sono le persone che arrivano da voi?

Marco d’Erchie: «Le persone che vengono da noi sono perlopiù cittadini residenti che hanno delle situazioni di forte disagio economico. Prevalentemente disoccupati, sono uomini, donne, intere famiglie. Oppure anche in piccola parte stranieri in transito. O, ancora, persone che vivono in situazioni di povertà reddituale - i famosi «working poor», ovvero persone che non arrivano a guadagnare a sufficienza per coprire le fatture, i premi di cassa malati, l’affitto e si ritrovano poi ad affrontare una situazione di emergenza abitativa. Sono spesso persone che hanno una rete sociale fortemente deteriorata e sono quindi, prima di tutto, persone sole. Anche le famiglie spesso sono monoparentali».

Qual è il percorso che li porta a Casa Astra?

Md’E: «Sono sempre percorsi graduali caratterizzati da una perdita progressiva di solidità finanziaria e relazionale. Il percorso è stato ben descritto da un nostro ospite, che raccontava di come lui - sui 50 anni, ex contabile disoccupato - ha dapprima terminato le indennità di disoccupazione, poi ha tentato in ogni modo di trovare un lavoro pur di non andare in assistenza. Questo ha portato a cominciare a non pagare l’affitto, nel tentativo di risparmiare i soldi per il sostentamento. A sua volta, ciò ha fatto sì che abbandonasse la propria abitazione e cominciasse così a chiedere a parenti e amici di ospitarlo per un po’. Alla fine, il persistere della situazione, accompagnato dallo sconforto crescente e magari una scarsa conoscenza dei servizi sul territorio l’ha portato da noi. È un percorso progressivo e svilente, del quale ad un certo punto diventa impossibile tenere le redini. Il nostro ospite lo descriveva come una valanga, che parte da poco e pian piano travolge tutto. In generale gli ospiti arrivano o su base volontaria, magari su indicazione di parenti e amici, o su segnalazione dai servizi. Servizi che ormai riconoscono Casa Astra come un’associazione importante nel contesto dell’assistenza in situazioni delicate, come quelle legate all’indigenza. Ma da noi arrivano anche segnalazioni per persone che escono dalla clinica psichiatrica, per dire, o da strutture carcerarie».

E cosa significa per loro la parola «casa»?

DDB: «Quello che significa per chiunque altro. D’altronde gli ospiti una casa l’avevano e l’hanno persa, quindi non è che non sappiano cos’è, anzi. Sono pienamente consapevoli di cosa significhi avere un luogo proprio dove vivere e questo rende ancora più acuto il disagio per la mancanza. La cosa bella è che generalmente, dopo un primo periodo di adattamento allo stare in una struttura come la nostra, cominciano a sentire Casa Astra un po’ come ‘casa loro’. Anche perché la struttura non è grande (conta di 23 posti letto suddivisi in 11 camere) e, tra operatori ed ospiti, come anche tra gli stessi ospiti, si viene a creare un rapporto quasi famigliare. Cosa che aiuta molto».

In questo senso, quindi, Casa Astra non è semplicemente «un tetto sulla testa»…

DDB: «Esattamente: qui si creano legami e relazioni che spesso poi proseguono anche oltre queste mura. Spesso, come dicevo, la persona che arriva da noi è sola, le manca una rete sociale. E qui riesce a ricrearne una.»

Md’E: «Il nostro lavoro è molto focalizzato sulla relazione. Un tipo di relazione informale necessaria per permettere alla persona di riconoscere quelle risorse che, per tutta una serie di motivi, credeva di avere smarrito. Un recupero di dignità e consapevolezza delle proprie capacità come persona (anche professionali). In fondo qui condividiamo una quotidianità, degli spazi, delle attività lavorative, si, ma anche momenti ludici e sociali - il pranzo, la gita, la passeggiata».

Quanto dura di solito la residenza in Casa Astra?

DDB: «Mediamente circa due mesi. Poi c’è chi si ferma per una sola notte e qualche caso molto particolare che si ferma più a lungo - per esempio in presenza di difficoltà burocratiche legate al reinserimento. Questo perché per alcune persone vanno affrontati problemi più complessi. Per esempio, in alcuni casi le persone vengono seguite anche da altri servizi o professionisti (SPS, servizi sociali, medico, psichiatra, curatore, etc.). D’altronde collaboriamo con tutti, poiché capita che proprio durante la permanenza a Casa Astra emergano necessità o problematiche che richiedono poi un’assistenza diversificata. In questi casi siamo noi che attiviamo chi di dovere».

Md’E: «Generalmente il tempo di permanenza è determinato dalla progettualità: i residenti hanno una progettualità differente da chi è in transito (per esempio stranieri che si spostano per cercare sbocchi professionali in altri paesi europei). Oltretutto, c’è tutta una macchina burocratica da muovere per poter far compiere il giusto percorso di reinserimento nella società. Anche in questo diamo una mano, perché spesso le difficoltà nel muoversi in questo ambito sono notevoli e non tutti sono in grado di affrontarle nel modo corretto. L’idea è quella di accompagnare, osservando l’andamento della persona lungo il percorso. Cercando di indicare la strada migliore, ponendo le basi per poter disporre di una visione chiara dei servizi e delle possibilità al momento di uscire da qui, in modo che si venga a creare il necessario grado di autosufficienza».

Come viene finanziata l’esistenza di Casa Astra?

DDB: «Casa Astra è un’impresa sociale - il mandato è proprio all’associazione - e offriamo servizi di accoglienza che sono coperti, per i residenti che ne hanno diritto, da diverse assicurazioni sociali e quindi dallo Stato. Oltre a questo, c’è poi una parte di progetti che vengono attivati grazie a delle Fondazioni o a privati che li finanziano e c’è del sostegno diretto da parte di privati cittadini (membri del Movimento dei Senza Voce).

Altro supporto arriva da alcuni Comuni e, infine, qualche entrata deriva dagli stessi progetti in atto: il catering (con il «Buffet migrante»), la vendita del miele che produciamo, gli orti e da quest’anno probabilmente riusciremo ad avere anche una piccola produzione di vino, da una piccola vigna che abbiamo recuperato a Castel S. Pietro».

E cosa è possibile fare, volendo supportarvi?

DDB: «Sicuramente sostenendo direttamente il finanziamento della struttura. Oppure offrendo il proprio tempo volontariamente. A patto però che ci sia regolarità in questo, perché se si va a creare, per esempio, un programma che conta sulle conoscenze professionali di qualcuno, poi non è buona cosa interrompere a metà. Altrimenti c’è solo un gran dispendio di energie per organizzare che va perso. Deve essere molto chiaro questo: purtroppo noi non abbiamo il tempo materiale per fare formazione a chi vuol fare volontariato ed è quindi difficile, avendo un’utenza così variegata, far capire chi si troverebbero di fronte nel momento in cui dovessero cominciare a lavorare con gli ospiti. Spesso e volentieri le problematiche che questi ultimi portano non sono immediatamente visibili e non necessariamente vengono mostrate. È quindi spesso difficile entrare in sintonia e riuscire a lavorare insieme. Direi che per chiunque voglia darci una mano è importante compiere la scelta, spesso difficile, di comprendere piuttosto che giudicare».

Se non ci fosse Casa Astra, cosa succederebbe?

Md’E: «Se non ci fosse, banalmente, si tornerebbe alla situazione precedente. Casa Astra è utile per tutta una categoria di persone della quale prima si sapeva poco o nulla. Questo perché esisteva una sorta di «negazione» di questo fenomeno: le persone senza alloggio in Ticino semplicemente non rappresentavano una realtà problematica. C’era, generalmente, il reindirizzamento verso le pensioni (che esiste tutt’oggi), ma con risultati spesso negativi».

DDB: «E ci sarebbero alcune persone effettivamente per strada.»

Cosa dovrebbe succedere perché Casa Astra potesse diventare «inutile»? Potrebbe esserci una azione a livello sociale o politico o si tratta di una situazione connaturata all’esistenza di una società come la nostra?

DDB: «Nel 2022 è uscita la prima ricerca a livello nazionale sui senzatetto, condotta dall’Università di Basilea (Il problema dei senzatetto in Svizzera - Comprensioni, politiche e strategie di Cantoni e Comuni, UFAB, 2022), mentre nel resto d’Europa esistono realtà che fanno (anche) ricerca da 20-30 anni. Quindi evidentemente è un tema ‘scomodo’. Certo, esistono associazioni e strutture sul territorio (anche a livello comunale o cantonale), ma c’è ancora molto da fare. E attualmente in Svizzera non esistono leggi riguardanti il diritto fondamentale all’alloggio. Ecco, se questo fosse sancito a livello costituzionale, per esempio, sarebbe un passo di notevole importanza perché le amministrazioni a quel punto dovrebbero agire con decisione».

Md’E: «Bisognerebbe cercare di trovare delle soluzioni per rendere luoghi come Casa Astra maggiormente integrati in un quadro istituzionale di rete di servizi». 

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