Il personaggio

Anna Mazzamauro: «Senza teatro sono inutile»

L'attrice romana si racconta: dalla fama ottenuta grazie a Fantozzi alle esperienze in ruoli più seri e complessi
© Luigi Cerati
Mattia Darni
20.01.2023 09:29

La sua interpretazione della signorina Silvani nei film di Fantozzi l’ha portata di diritto nell’olimpo del cinema italiano: lei è Anna Mazzamauro. Attrice romana classe 1938, venerdì 20 gennaio alle 20.45 sarà al Teatro Sociale di Bellinzona con un monologo dai lei scritto, diretto ed interpretato, Com’è ancora umano lei, caro Fantozzi, in cui, accompagnata dal polistrumentista Sasà Calabrese, proporrà un singolare ritratto del suo personaggio più famoso e racconterà Paolo Villaggio attraverso Ugo Fantozzi.

Signora Mazzamauro, partiamo proprio dallo spettacolo che porta in scena a Bellinzona: ce lo presenti.
«Tengo innanzitutto a sottolineare che, nonostante sia sul palco da sola con l’accompagnamento alla chitarra e al pianoforte di Sasà Calabrese, il pubblico non deve pensare che Com’è ancora umano lei, caro Fantozzi sia un monologo. In scena, in realtà, siamo in cinque: io, la signorina Silvani, Calabrese, Paolo Villaggio e Ugo Fantozzi. Lo spettacolo, inoltre, non è una semplice rievocazione agiografica di quello che è stato Paolo Villaggio e del rapporto – sia lavorativo, sia umano – che ho avuto con lui: attraverso il duplice sguardo di Anna Mazzamauro e della signorina Silvani l’attore, scrittore, comico e sceneggiatore ligure viene infatti inquadrato da una prospettiva inedita. Lo show non è poi solo un ricordo di Paolo: mediante il racconto, conduco il pubblico nel mondo della recitazione e dei suoi personaggi. In questo senso voglio citare Luchino Visconti il cui film Bellissima penso abbia ispirato il creatore di Fantozzi nella scrittura dell’episodio che vede Mariangela partecipare a un concorso di bellezza. Paolo Villaggio diviene quindi un pretesto per passare ad altro. Dal punto di vista della scenografia ho voluto mettere al centro del palco un cartonato della Bianchina, sulla destra un pianoforte rosso e, sulla sinistra, una piccola scrivania sulla quale si trovano quattro racconti di Paolo Villaggio e il suo basco blu. Pure gli abiti contribuiscono a creare la scenografia: ecco allora che calcherò la scena indossando un eccessivo vestito rosso. L’insistenza simbolica su questo colore ha lo scopo di rimandare al grottesco rosso-sesso caratteristico della Silvani di fronte al quale Fantozzi perde la testa».

La signorina Silvani mi ha dato la fama, ma mi ha anche chiuso delle porte

Come mai ha deciso di dare questo taglio allo spettacolo nonostante il suo rapporto con Paolo Villaggio sia stato, a tratti, problematico?
«Per prima cosa è necessario scindere due piani: quello privato e quello professionale. Per quanto attiene al secondo, Paolo è sempre stato strepitoso dimostrando rispetto e intelligenza. Due caratteristiche, soprattutto la seconda, che oggi sono andate un po’ perdendosi. Nella vita privata, invece, Villaggio era un po’ snob. Credo che tale attitudine sia dovuta al fatto che arrivò nel mondo dello spettacolo relativamente tardi: egli ha pertanto cercato di frequentare quelle persone che potevano “servirgli” a raggiungere i suoi obiettivi. Ricordo che una volta, durante le prove, gli chiesi perché, dopo tanti anni di collaborazione, non fossimo diventati amici e lui, molto seriamente, mi rispose che frequentava solo attori ricchi e famosi. A distanza di anni mi rendo però conto che forse la colpa di questo nostro rapporto mai sbocciato vada imputata a me in quanto, probabilmente, non mi sono posta nel modo giusto nei suoi confronti. Una persona geniale come era lui non poteva in effetti non essere anche valida umanamente. Lo spettacolo nasce dunque dalla riscoperta di quella che avrebbe potuto essere un’amicizia con Paolo Villaggio».

Lei è conosciuta dal grande pubblico soprattutto per il ruolo della signorina Silvani. Qual è il suo rapporto con questo personaggio?
«Il mio rapporto con la Silvani è di natura bivalente: da una parte c’è la riconoscenza nei suoi confronti perché grazie a lei ho raggiunto la popolarità; dall’altra, però, la sua figura si è rivelata una sorta di incubo dal momento che mi ha precluso la possibilità di ottenere determinati ruoli. Faccio un esempio: un regista non mi affiderebbe mai una parte drammatica per via della paura che l’immagine della Silvani intacchi la serietà del personaggio che dovrei interpretare. Il personaggio fantozziano si è dunque rivelato una sorta di gabbia, ma dalle sbarre dorate e all’interno della quale si sta bene».

Cosa c’è di Anna Mazzamauro nella signorina Silvani?
«Spero di essere totalmente diversa da quella stronza della Silvani (e scoppia in una fragorosa risata – ndr). Scherzi a parte, la Silvani rappresenta forse il baratro in cui sarei potuta cadere se non avessi fatto l’attrice e non avessi avuto il talento della recitazione. Ma, a parte ciò, non condividiamo niente. Ho solo la capacità di parlare di lei, di riconoscerla e di seguirla. A tale proposito mi chiedo se, forse, all’epoca noi donne non fossimo un po’ tutte delle Silvani: la risposta la lascio a qualcun altro. Mi permetto di aggiungere un’altra riflessione: l’orrendezza che caratterizza la signorina Silvani è purtroppo più comune di quanto si pensi nelle donne che soffrono di solitudine le quali, per superare la loro condizione, si inventano un mondo sentimentale e, più in generale, di rapporti che non esiste».

Nell’arco della sua carriera non è comunque stata solo la signorina Silvani: lei ha ugualmente interpretato ruoli importanti e non per forza comici. Penso al Cyrano de Bergerac e ad Anna Magnani. Qual è stato il ruolo che ha amato di più?
«Premetto che, proprio perché li scelgo personalmente, amo tutti i personaggi che porto in scena. Cyrano mi sta simpatico perché ha il mio stesso naso (e scoppia in una risata – ndr). A livello caratteriale condividiamo la voglia di combattere contro le ingiustizie e di amare a volte in maniera impossibile, nonché l’atipicità fisica. Nei suoi panni mi sono trovata subito a mio agio nonostante stessi interpretando un carattere maschile. Lo stesso pubblico, dopo cinque minuti di rappresentazione, non faceva più caso al fatto che fossi una donna. Nell’interpretare “Nannarella” (soprannome di Anna Magnani – ndr) non ho assolutamente voluto imitare Anna Magnani, al contrario mi sono focalizzata su un aspetto che caratterizza profondamente sia me che lei: la romanità. Ciò mi ha permesso di osservarla da un punto di vista analitico, come già avevo fatto con la Silvani, e di confrontarmi con lei».

Il pubblico è abituato a vederla a teatro, sul grande schermo o in televisione. Nel privato, invece, che persona è Anna Mazzamauro?
«Io sono meravigliosa solo in scena, al di fuori del palcoscenico sono invece una donna inutile. Credo che questa condizione sia comune a tutti gli attori perché raccontando le storie di altri personaggi possono vivere appieno le emozioni di questi ultimi e liberarsi. Quindi, volente o nolente, la mia vita gravita attorno al teatro dal momento che la mia verità, che sia positiva o negativa, si trova lì. Quando, alla fine di uno spettacolo, il pubblico mi applaude mi commuovo sempre: non per vanità, ma perché la recitazione è la mia vita. Nella quotidianità è raro che una persona ti sorrida, in sala, invece, accade al termine di ogni rappresentazione e ciò mi fa sentire una donna importante e realizzata».

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