Il personaggio

Flavio Sala: comicità genuina

Conosciamo meglio l'attore, comico e cabarettista ticinese classe 1974
© CdT / Gabriele Putzu
Mattia Darni
05.01.2023 09:30

La sera di San Silvestro molti lo avranno visto in televisione nei panni del meccanico Nando nella commedia dialettale A Natale siamo tutti Pistoni: lui è Flavio Sala. Attore, comico e cabarettista poliedrico classe 1974 ha riscosso molto successo ed è entrato nell’immaginario comune grazie all’interpretazione del frontaliere Roberto Bussenghi nella sit-com prodotta dalla Radiotelevisione svizzera Frontaliers, nata inizialmente come sketch radiofonico, passata poi al video e in seguito al cinema. Negli ultimi anni ha recitato dapprima nella compagnia Teatro Popolare della Svizzera Italiana (TEPSI) di Yor Milano, quindi nei film La Palmira e La Palmira, complotto nel Mendrisiotto e, infine, all’interno della compagnia teatrale da lui stesso fondata diventando così una presenza fissa per gli amanti del teatro «popolare» della Svizzera italiana.

Signor Sala, partiamo proprio da quest’ultima osservazione: si può dire che lei stia continuando sulla via tracciata da grandi nomi del teatro dialettale quali Quirino Rossi, Mariuccia Medici e Yor Milano? Avverte, in un certo senso, il peso della loro eredità?
«I tre nomi che ha citato sono delle icone inarrivabili. Se ripenso a Quirino Rossi e Mariuccia Medici mi rendo conto di quanto fossero bravi ad incarnare la classica coppia di anziani ticinesi. Queste figure ci hanno lasciato un’eredità importante che va tramandata in modo serio e consapevole. Nel dettaglio, ciò che voglio evitare con la mia compagnia è, da un lato, di copiare quanto fatto dai miei predecessori e, dall’altro, di perdere genuinità. In questo senso non ci si deve vergognare del dialetto e demonizzarlo come accadeva negli anni Settanta quando si diceva che non era vero che il Ticino fosse soltanto grotti e mandolino. È ovvio che il nostro territorio non si possa riassumere solo con tali elementi, cionondimeno essi caratterizzano la nostra realtà, soprattutto le valli. Nelle opere della mia compagnia voglio parimenti dare spazio alla contemporaneità: faccio un esempio, sarebbe anacronistico non inserire gli smartphone in alcune scene delle commedie dal momento che oggi passiamo le giornate con in mano questi apparecchi. Come sarebbe fuori luogo parlare ancora di figlie da maritare e doti a meno che la rappresentazione non sia ambientata nel passato. Anche l’aspetto linguistico è un elemento fondamentale all’interno del discorso sulla genuinità: con la mia compagnia ho deciso di abolire il dialetto della ferrovia, che era un “must” del passato, per abbracciare dei personaggi che avessero una parlata più caratterizzata localmente. Nella realtà, infatti, quando due persone provenienti da zone diverse del Ticino si parlano non usano il proprio dialetto stretto, ma, al contempo, mantengono le inflessioni caratteristiche della loro regione. Le commedie che realizzo assieme a Gionas Calderari sono inoltre sempre molto fresche perché ci siamo resi conto che la gente ha bisogno di leggerezza».

Facciamo un passo indietro, come e quando nasce la sua passione per la recitazione?
«Si potrebbe dire che è nata con me. Da bambini io e mia sorella Elena, che adesso lavora nella mia compagnia come scenografa, avevamo una cesta che chiamavamo “dei travestimenti” dalla quale prendevamo degli abiti con cui, per gioco, ci camuffavamo da personaggi inventati o dai protagonisti dei cartoni animati. All’inizio credevo che quello di recitare sarebbe rimasto un sogno irrealizzabile perché le persone mi dicevano che il Ticino non era il luogo adatto per intraprendere una carriera nelle arti sceniche. Finite le scuole dell’obbligo mi sono perciò iscritto al liceo artistico con l’idea di dedicarmi al disegno. Successivamente sono andato a studiare all’Accademia di Brera e lì, compici le videocamere, sono tornato al primo amore. Accadeva infatti che con gli amici si girassero delle parodie di film famosi quali Dracula, I tre moschettieri e 007, solo per citarne alcuni. Come tesi di laurea realizzai così un film comico su Dracula. Mossi quindi i primi passi in radio grazie ad un’altra passione: i cartoni animati giapponesi. Con un amico venni chiamato da Rete Tre per fare un programma settimanale sull’argomento e, grazie alle mie imitazioni, feci colpo e venni assunto. Originariamente avrei dovuto seguire un percorso regolare da animatore, ma mi misi subito sotto l’ala di Ottavio Panzeri, che era il comico per antonomasia di Rete Tre, e cominciai a realizzare gli sketch comici trasmessi tra i brani musicali del palinsesto. In parallelo iniziai a recitare in alcune compagnie teatrali amatoriali.

Non bisogna vergognarsi del dialetto e demonizzarlo come accadeva negli anni '70

Fondamentale, nel mio percorso, è stato il sostegno della mia famiglia. Mio padre, in particolare, mi ha sempre incoraggiato a fare ciò che volevo senza mai giudicarmi. Per omaggiarlo affettuosamente, nella scenografia di ogni mia commedia si può scovare un dettaglio che rimanda al fumetto Tex di cui era un accanito lettore. Mia mamma Rosanna si occupa invece dei costumi visto che è una bravissima sarta e, prima che io nascessi, aveva una boutique a Locarno».

Dopo le prime esperienze nel teatro amatoriale e il debutto a fianco di Yor Milano con il TEPSI, nel 2014 ha fondato la «Compagnia teatrale Flavio Sala». Da cosa è motivata la decisione e quali sono le sfide che ha dovuto affrontare?
«Ho fondato una mia compagnia poiché sentivo la necessità di proporre un prodotto che fosse profondamente mio. L’idea era – e lo rimane tuttora – creare qualcosa di moderno rimanendo prevalentemente sul comico anche se non disdegnerei il drammatico se avessi la possibilità di realizzare più produzioni all’anno. E qui veniamo al capitolo delle sfide che consistono soprattutto nel reperimento dei fondi necessari all’attività della compagnia».

Nei panni del meccanico Nando del Garage Pistoni. © Compagnia teatrale Flavio Sala
Nei panni del meccanico Nando del Garage Pistoni. © Compagnia teatrale Flavio Sala

Ciclicamente si riflette sul dialetto e si dice che è destinato a sparire perché i giovani non lo parlano più. Lei che ha deciso di continuare la tradizione della commedia dialettale cosa risponde in merito?
«Non ho mai creduto all’abbandono del dialetto, forse perché sono circondato da persone che lo utilizzano. Più ci si addentra nelle valli, più ci si rende conto di quanto sia una lingua viva. Poi è ovvio, nei grandi centri ticinesi il suo utilizzo è andato scemando negli anni. Ciò non toglie che ugualmente le persone di Chiasso, Mendrisio, Lugano, Locarno e Bellinzona vengano ad assistere alle nostre commedie. Si pensi poi al successo che hanno avuto i Frontaliers che non sarebbe stato possibile se il dialetto venisse percepito come obsoleto».

Cifra stilistica della sua comicità è l’assenza di volgarità e di riferimenti sessuali o alla politica, cioè a quelle scorciatoie utilizzate dai comici per generare ilarità. Quanto è difficile riuscire a far comunque ridere e dove trae ispirazione?
«Rete Tre è stata una preziosa scuola a livello comico in quanto, visto il mandato pubblico, non può cadere in siparietti volgari. Inoltre la volgarità a teatro striderebbe visto che ai ticinesi non piace. Ciò non toglie che si possano fare delle battutine colorite, sempre restando nei limiti però.

I Frontaliers traggono ispirazione dalle esperienze vissute negli anni del liceo

I riferimenti alla politica sono invece un tranello perché fanno invecchiare prima gli spettacoli dato che, se cambia la realtà politica, le battute non si capiscono più e quindi cessano di far ridere. Fin dall’inizio ho dunque imparato ad affinare l’ingegno e battere altri sentieri».

Prima ha accennato ai Frontaliers: come è nato il personaggio di Roberto Bussenghi?
«I Frontaliers sono nati durante un pranzo con Paolo Guglielmoni durante il quale gli raccontavo che, quando tornavo dal liceo artistico di Varese, spesso alla dogana del Gaggiolo salivano sull’autobus i doganieri per fare delle perquisizioni e, a volte, si creavano delle situazioni surreali. Lui rimase così divertito dalle mie storie che disse che avremmo dovuto pensare a delle scenette in cui c’è un doganiere che se la prende con un frontaliere. Per quanto riguarda nello specifico il personaggio, all’inizio la sua voce era nata come imitazione di Giovanni Storti del celebre trio Aldo, Giovanni e Giacomo. Successivamente l’abbiamo adottata per Bussenghi perché si sposa bene con l’immagine stereotipata del lombardo. Quando poi si è trattato di passare dalla radio alla tele abbiamo dovuto creare anche l’immagine del personaggio. La costruzione della maschera è cominciata con un basco perché le conferiva un aspetto buffo. Per invecchiare il personaggio gli abbiamo quindi fatto indossare una camicia con la cravatta e, per renderlo ancora più una divertente macchietta, gli abbiamo fatto portare anche un grembiule stile operaio degli anni Ottanta».

Nei panni del celebre personaggio del frontaliere Roberto Bussenghi. © Compagnia teatrale Flavio Sala
Nei panni del celebre personaggio del frontaliere Roberto Bussenghi. © Compagnia teatrale Flavio Sala

Chiuso il 2022 con una commedia, il 2023 si inaugura con un altro progetto, vuole parlarcene?
«Da marzo partiremo in tour con Bonanocc ai sonadoo. La commedia racconta la storia di una band le cui aspirazioni sono sfumate col passare degli anni. La novità più interessante dell’opera è che introdurremo delle frizzanti parentesi musicali».