Il personaggio

La forza anacronistica del teatro secondo Stefano Massini

Lo scrittore, saggista e drammaturgo italiano arriva al Cinema Teatro di Chiasso sabato 13 maggio con lo spettacolo «Alfabeto delle emozioni»
© Reuters
Mattia Darni
12.05.2023 13:00

È il primo autore italiano ad aver vinto, nel 2022 con Lehman Trilogy, il Tony Award, ossia quello che è universalmente riconosciuto come il premio Oscar del teatro: lui è Stefano Massini, scrittore, saggista e drammaturgo fiorentino classe 1975. Autore rappresentato in oltre trenta Paesi, i suoi testi sono tradotti in ventisette lingue. Apprezzato non solo per le sue opere teatrali, ma anche per i suoi romanzi e i suoi saggi, Massini si laurea in Lettere Antiche all’Università di Firenze e, successivamente, fa esperienza nella veste di assistente di Luca Ronconi al Piccolo Teatro di Milano. Presto inizia a dedicarsi all’attività di drammaturgo e, nel 2005, vince il premio Pier Vittorio Tondelli, massimo riconoscimento per la scrittura teatrale in Italia, con L’odore assordante del bianco. Negli anni successivi sono numerosi i riconoscimenti ottenuti dall’autore italiano tra i quali si segnalano, oltre al Tony Award, il premio speciale Ubu per il complesso dell'opera drammaturgica nel 2013, il premio Ubu per Lehman Trilogy nel 2015 e il premio Campiello - Selezione Giuria dei Letterati per Qualcosa sui Lehman nel 2017.

Diversi sono anche i libri firmati da Massini tra i quali vanno certamente menzionati 55 giorni: l’Italia senza Moro (il Mulino, 2018), Dizionario inesistente (Mondadori, 2018), Ladies Football Club (Mondadori, 2019), Stato contro Nolan (Einaudi, 2019), Eichmann. Dove inizia la notte. Un dialogo fra Hannah Arendt e Adolf Eichmann (Fandango, 2020), Manuale di sopravvivenza. Messaggi in bottiglia d’inizio millennio (Il Mulino, 2021) e Manhattan Project (Einaudi, 2023).

All’attività di scrittore e drammaturgo, Massini affianca poi quella sul piccolo schermo dove è presente con Piazzapulita su La7 e, precedentemente, con Ricomincio da Raitre sull’omonima emittente radiotelevisiva italiana. Dal 2015 è altresì una delle principali firme del quotidiano «la Repubblica».

Presente sabato 13 al Cinema Teatro di Chiasso nell’ambito di ChiassoLetteraria con lo spettacolo Alfabeto delle emozioni (ore 20.30, prevendite chiamando lo 058/122.42.78), lo abbiamo sentito per scambiare due parole.

Signor Massini, ci presenti lo spettacolo che porta in scena nella cittadina di confine.
«Alfabeto delle emozioni è uno spettacolo dalla struttura molto strana nel senso che prova a raccontare i sentimenti umani attraverso un meccanismo che renda credibile colui che ci prova. Ora, siccome le emozioni sono il materiale più instabile che ci sia, ho organizzato la pièce attorno ad un’estrazione: ad ogni data della rappresentazione sorteggio dal mio baule che contiene le lettere dell’alfabeto alcune di esse le quali mi indicano le emozioni di cui trattare: se esce la “C” parlerò di “coraggio”, se esce la “D” di “dolore” e così via. Attraverso questo meccanismo lo spettacolo muta ad ogni replica proprio come mutano le nostre emozioni nel corso di una giornata. I racconti attraverso cui illustro i sentimenti provengono da luoghi diversi: si va dal Giappone agli Stati Uniti passando per l’Italia e svariati altri Paesi. Grazie a brevi segmenti narrativi provo così a raccontare le emozioni in una maniera insolita rispondendo anche a domande spietate».

Filo conduttore della diciassettesima edizione di ChiassoLetteraria è la dissidenza: in cosa Alfabeto delle emozioni si può considerare dissidente?
«La nostra è una società fortemente diffidente: oggi le persone diffidano sia degli altri, sia delle loro stesse emozioni alle quali preferiscono la razionalità del cervello. Ecco allora che il dissidente nella nostra epoca è chi si fida, chi ancora ascolta i propri sentimenti, chi crede in un ideale e non si abbandona al cinismo: in questo senso anche lo spettacolo che porterò a Chiasso è dissidente. Personalmente, poi, mi ritengo un dissidente nella misura in cui non diffido della forza del teatro e dei racconti. Quella di raccontare delle storie è un’arte antica, ma allo stesso tempo iper-attuale che non finirà mai: Dostoevskij diceva che la bellezza salverà il mondo, io dico invece che a farlo sarà la pratica del racconto».

Il teatro ha successo perché è limitrofo alla vita della gente

Lei è il primo autore italiano ad aver vinto un Tony Award: quale è stata secondo lei la chiave del successo?
«Mi preme innanzitutto sottolineare che non mi aspettavo assolutamente tale riconoscimento così come la stessa organizzazione del Tony Award non immaginava che a trionfare potesse essere un italiano. A tal proposito ricordo un aneddoto curioso: nei giorni prima dell’assegnazione del premio ero stato male e dagli Stati Uniti mi avevano detto che, se non fossi riuscito a recarmi sul luogo, sarebbe stato peccato, ma non sarebbe comunque stato un problema perché era praticamente impossibile che uno spettacolo non anglofono potesse vincere. Passando alla chiave del successo, mi viene in mente una frase di Stendhal: «Nessun occhio vede mai se stesso». Ho sempre molte difficoltà a rispondere a domande riguardanti la “ricetta del successo” in quanto credo che essa non esista. Quello che succede è che, in un determinato momento, riesci a intercettare un bisogno, un’urgenza della società civile: accade che ciò che si prova come drammaturgo incontri ciò che sente il pubblico, ovvero le persone avvertono il bisogno di ascoltare ciò che l’artista ha la necessità di raccontare. Ciò non significa dire quello che la gente si aspetta, anzi, è proprio il contrario: sovente ciò che è necessario portare alla luce è ciò che le persone rifiutano. Facendo questa riflessione penso alla mia Lehman Trilogy in cui racconto la storia di un’epopea umana che gira intorno ad una banca nel momento in cui tutti attorno a me condannano le banche e l’alta finanza».

In un mondo caratterizzato sempre più da forme di intrattenimento «su richiesta», e penso per esempio a piattaforme come Netflix in cui è l’utente a decidere cosa guardare e quando, che ruolo può giocare il teatro?
«Il teatro è scomodo rispetto alle offerte on demand perché non puoi metterti sul divano e scaricare quello che più ti aggrada, ma devi uscire di casa e recarti fisicamente in un determinato luogo, cercare parcheggio e, una volta in sala, non puoi cambiare canale ma devi guardare per tutta la sua durata un solo spettacolo: tutto ciò rende il teatro anacronistico, ma è proprio questa la sua forza. In questo modo, infatti, esso diventa una forma d’arte in totale contrasto con l’epoca che stiamo vivendo e ciò fa sì che sia meravigliosamente rivoluzionario. Dopo il COVID, la gente ha ricominciato ad andare nelle sale perché si è resa conto che il teatro è una cosa limitrofa alla vita reale degli individui».

Nella sua vita, ad ogni modo, non c’è solo il teatro, ma ci sono anche la televisione, il giornalismo e la scrittura: come combina tali dimensioni?
«Ho sempre pensato che non ci debbano e non ci possano essere delle barriere o dei recinti: per me esistono solo i racconti, indipendentemente dalla forma in cui vengono declinati».