«Ogni scatto è un’emozione, meglio ancora se imperfetto»
Emozione è il sostantivo che più utilizza nel corso dell’incontro. La capacità di provare un qualcosa che smuova l’anima, l’intimo di una persona è ciò che affascina il 39enne Giorgio Marafioti, fotografo di architettura con la passione per la musica, la grafica, l’hip hop e la break dance. S’è da poco aggiudicato il primo premio del concorso internazionale di fotografia di architettura ARCH2O Photography Challenge 2021, con l’opera Superhero. «Ho sempre cercato di creare un legame emozionale con il fruitore - dice -. Mi prendo il tempo per contemplare il luogo, ciò che devo fotografare, per evocare sensazioni in me».
Un linguaggio, quello di Marafioti, più poetico che tecnico, per così dire. «In questo modo dò più spazio all’immaginazione - riprende -. In sostanza, mi pongo di fronte a un’architettura come a un foglio bianco. E il primo scatto è quello più difficile. Mi spiego: un reportage è come una performance e l’inizio è fondamentale. È in quel momento, grazie al luogo in cui mi trovo, che sento delle sensazioni».
Ma è soprattutto la luce, e il suo contrario, che affascina l’artista. «Un dialogo di luci e ombre», lo definisce. E spiega: «Cerco di assorbire più informazioni e sensazioni possibili. In questo modo creo la performance e scatto». Perché fotografare non significa solo schiacciare un tasto. «È un’esperienza - conferma l’artista -. E il tempo non conta. Posso stare ore e ore in un sol luogo. E le emozioni, credetemi, ci sono sempre. È come l’incontro con una persona, qualcosa ti trasmette di sicuro, di buono o di meno buono, ma impressioni, sensazioni, energia ti arrivano comunque». Da qui la preferenza della luce naturale. Niente sostituti artificiali né flash.
Niente artifici, dunque. Ecco perché Marafioti guarda volentieri indietro. «In questo momento la mia ricerca è maggiormente legata all’analogico, alla pellicola. Utilizzo quindi apparecchiature molto datate, anche perché il digitale ha scatti illimitati e non consente di dare la giusta importanza ad ogni scatto, di riflettere insomma». Caratterizza il lavoro di Marafioti anche l’utilizzo di vecchie tecniche. «È una continua scoperta. Siamo costantemente confrontati con immagini che vogliono essere perfette, quasi finte mi vien da dire. Mentre l’imperfezione che c’è nella pellicola regala un’anima alla foto. Oggi la fruizione delle fotografie avviene per lo più attraverso schermi e tablet. Ma se c’è l’oggetto fisico, la foto intendo, cambia tutto. È molto meglio. Da qui il mio rifarmi al passato».
Appassionato del suo lavoro, che cambierebbe soltanto per fare un’attività comunque e sempre legata al mondo dell’arte - «Il mio è uno stile di vita non una professione, l’arte è la mia indole» -Marafioti in realtà aveva scelto di diventare architetto. «Quando mi sono trasferito a Parigi ero lì proprio per fare l’architetto. Era il 2010, ci sono rimasto per una decina di anni e mi è venuta voglia di avvicinarmi alla fotografia, come avevo già iniziato a fare durante gli studi all’Accademia di architettura di Mendrisio iscrivendomi a un corso serale. Forse avevo bisogno di un luogo che mi ispirasse e una volta tornato dall’Australia ho scelto Parigi dove poi ho iniziato il mio percorso professionale. Attraverso due vie, architettura e ritratti. Ho lavorato nello Studio Harcourt Paris, fondato negli anni Trenta, immortalava soprattutto star del cinema». Da ragazzo, però, Marafioti sognava una professione legata alla grafica. «Terminato il liceo ho cercato una scuola in Ticino ma c’era solo a Milano». Da lì la decisione di iscriversi all’Accademia di Mendrisio, «dove peraltro c’erano molte materie legate alla grafica, alla manualità. Sono contento di avere fatto questa scelta perché mi ha permesso di imparare una metodologia di lavoro che mi è tornata utile nella professione. Mi ha permesso pure di allargare lo sguardo oltre i confini cantonali e spinto a partire, a scoprire altri luoghi e altre realtà». Viaggi che sono continuati anche negli anni di permanenza a Parigi, grazie ai numerosi shuting fotografici in hotel di lusso per immortalare celebrità del posto o clienti famosi. Emirati Arabi, Giappone, Russia, Ungheria…
Nel 2020 l’artista torna i Ticino. «Pensavo di avere finito un percorso. Ero andato a Parigi architetto e rientravo fotografo. Inoltre volevo un atelier tutto mio e in Ticino era sicuramente più semplice». Nasce Terminal Studio, nei pressi dell’aeroporto di Agno. «Ubicazione che mi ha ispirato il nome; voleva essere luogo di incontro, dove esprimere l’arte, dalla fotografia alla musica, alla danza. Pensavo anche di utilizzarlo quale piattaforma per creare eventi ma la pandemia ha bloccato tutto. Spero di riuscirci nel prossimo futuro».
Marafioti è appassionato anche di musica strumentale, sempre legata all’immagine. «A livello amatoriale. Ho fatto dei lavori per la Biennale di Venezia e per alcuni spot pubblicitari». La sua è una spinta a esprimere l’arte in tutte le sue forme. «A prendermi il tempo. Oggi si corre, si corre e non si presta attenzione a niente. Miglioriamo la consapevolezza di noi stessi, di ciò che ci circonda. La pandemia ci ha fatto riflettere. Non si può vivere senza speranza e ora, più che mai, si deve perseguire la via della ricostruzione. Gli ultimi due anni hanno fatto emergere un mondo dove prevale il lavoro della comunità. I veri supereroi siamo tutti noi. E ce n’è bisogno!, ci aiutano a superare le nostre più grandi paure alimentando le nostre più grandi speranze».