Il personaggio

Quando il legno genera profonde emozioni

Nel mondo «magico» della liuteria di Giovanni Accornero: luganese d’adozione ed esperto di un’arte in equilibrio tra storia e scienza
Gian Luigi Trucco
22.12.2022 14:42

Esperto, studioso e appassionato, da oltre quarant’anni, del complesso ed affascinante mondo della liuteria classica, autore di numerose e preziose pubblicazioni, curatore di mostre prestigiose, membro e consulente di istituzioni, collezionista, liutaio, mercante, ma soprattutto impegnato nella certificazione di autenticità degli strumenti, riconosciuta a livello internazionale, ed in una peculiare forma di filantropia che pone gli strumenti «importanti» a disposizione di giovani artisti.

Questo è Giovanni Accornero, piemontese di nascita ed un po’ luganese di adozione.

Un mondo che, al pari di altre discipline va verso specializzazioni sempre più sofisticate, sulla base di periodi, aree geografiche e caratteristiche diverse. La scelta che Accornero ama di più è la «scoperta», lo studio dei dettagli che sono in grado di svelare le tecniche più personali dell’autore ed attribuire la paternità dello strumento attraverso un’indagine meticolosa.

«Già ai tempi di Stradivari si speculava ed abbondavano i maneggi di mercato. Esiste un libro sui traffici opachi e le falsificazioni che imperversavano. Ecco perché è necessaria una grande competenza sugli stili di lavorazione, i materiali, le vernici. Due strumenti possono essere molto simili, ma uno può essere la creazione di un autore minore. Anche la datazione è essenziale, ed in questo senso la qualità e l’ossidazione della vernice sono fondamentali, perché la vernice antica difficilmente si riesce a falsificare. Poi entra in gioco la dendrocronologia, la datazione del legno, soprattutto della tavola armonica dello strumento: se il violino è datato 1820 ed il test rivela il taglio del legno nel 1830, il falso è evidente».

Ma come nasce la magia dei violini dell’epoca d’oro della liuteria, delle grandi botteghe fra ‘600 e ‘700, da Nicolò Amati ad Antonio Stradivari, da Giuseppe Guarneri del Gesù a Lorenzo Storioni?

«È una questione di materiali ma non solo» indica Accornero «Stradivari, Guarneri, Amati, sceglievano il meglio, come i legni ben tagliati e stagionati, ma è soprattutto il progetto costruttivo che fa la differenza, le arcature, la tavola, il fondo, gli spessori, le armonie e le proporzioni, sono quelli che danno l’impronta sonora. Una buona arcatura fa sì che il violino non ceda anche con spessori più ridotti, ed altri mille dettagli creano l’eccellenza. Sono questi particolari che amo scoprire, e ad essi ho dedicato molte notti di veglia… Da notare come uno strumento antico sano non soffra nel trasporto, mentre teme piuttosto gli sbalzi di umidità. Comunque ogni restauro va eseguito da specialisti e compiuto con grande attenzione».

Ma se Giovanni Accornero è oggi un’autorità nel campo della liuteria soprattutto violinistica e degli altri strumenti ad arco, il suo primo amore fu una chitarra, anche se non si trattava di uno strumento qualunque, ma di una pregevole creazione di Gaetano II Guadagnini del 1830. Si trovava in un solaio ed il giovane Accornero la scambiò con una da lui costruita già a 18 anni. Fu amore a prima vista, evocatore di forti emozioni. La sua terra, il Monferrato, ed il Piemonte in generale, sono state aree feconde per la liuteria, soprattutto dopo che l’epoca d’oro di Cremona era andata tramontando. Da lì valenti artigiani operavano su Torino e Milano e sovente vi si trasferivano, fornendo la loro competenza ad esecutori prestigiosi. Così, percorrendo le botteghe con la sua chitarra, l’incontro coi violini era inevitabile. Curiosità infinita, amore per i particolari e instancabile voglia di imparare hanno fatto il resto.

Con la morte di Carlo Bergonzi, probabile allievo di Giuseppe Guarneri «filius Andreae» (padre di Giuseppe Guarneri «del Gesù»), la storia della liuteria cremonese si chiude intorno alla metà del Settecento, e si apre il capitolo altrettanto importante e fruttuoso della produzione piemontese, con al centro proprio Giovanni Battista Guadagnini, piacentino di origine giunto ancor giovane nella capitale Sabauda dopo soggiorni a Milano e Parma, forse passando per Cremona. A questo punto fa la sua comparsa uno dei personaggi più importanti per il settore, il conte Ignazio Alessandro Cozio di Salabue e nasce un binomio storico.

«Definirlo collezionista è improprio e riduttivo» afferma Accornero «in quanto è stato un grandissimo intenditore ed appassionato. Raccoglie molti strumenti ma soprattutto intuisce il grande potenziale di Guadagnini, e firma col liutaio un contratto per comprare in esclusiva tutto ciò che avesse prodotto. Il conte possiede degli Stradivari e si aspetta che il giovane si ispiri ad essi, ma in realtà Guadagnini, pur toccato dallo stile del grande cremonese, vuole imporre una sua impronta personale ai violini così come alle viole ed ai violoncelli che realizza. Dal canto suo Salabue si dimostra fine liutologo, e ci ha lasciato un ampio carteggio in cui descrive gli aspetti tecnici più minuti oltre a numerosi strumenti passati nelle sue mani. Basti pensare che acquista non solo 12 Stradivari, compreso quello del 1716 detto «Messia» che oggi si ammira all’Ashmolean Museum di Oxford, ma anche forme ed attrezzi da lavoro provenienti dalla bottega del sommo maestro cremonese».

Oggi i grandi collezionisti sono soprattutto fondazioni bancarie. Fra i privati spicca il miliardario taiwanese Shi Wen-long, proprietario di un grande museo (Chi Mei Culture Foundation) con svariate collezioni artistiche, fra cui quella di oltre 1.500 pregiati violini, viole e violoncelli, inclusi quelli dei massimi liutai cremonesi.

Molti collezionisti effettuano prestiti. Un «distacco» che pesa sul piano psicologico?

«È vero» afferma Accornero «anche se l’uso fa bene allo strumento e soprattutto vi è piacere quando ad usarlo è una persona che lo merita. Certo vanno messe in preventivo cadute, furti ed incidenti vari. Anche quando l’assicurazione rimborsa, non è come ritornare in possesso di un oggetto caro cui siamo affezionati».

Ma nella performance dell’artista il ruolo dello strumento è fondamentale. «Per rendere davvero molto il violinista, anche se di talento, ha bisogno dello strumento di alta qualità. È come nel caso di una gara automobilistica. Pur se il pilota sa guidare bene, senza una macchina potente e perfettamente a punto non potrà aspirare alla vittoria. A livelli ancora superiori lo strumento eccelso antico consente percorsi di ricerca verso nuovi suoni, sonorità, una tavolozza di sfumature che un violino «normale» non offre. Spesso, chi è abituato a strumenti moderni, deve cambiare il modo stesso di suonare, ma lo sforzo è compensato dalle nuove emozioni e sensazioni che lo strumento suscita. Quello che osserviamo nelle liuteria contemporanea, complice anche la scuola, è purtroppo la prevalenza di standard abbastanza uniformi che limitano le potenzialità espressive ed i talenti sia del liutaio che dell’interprete».

Lo strumento antico è un investimento in termini finanziari? «Sì», afferma Accornero «ma a certe condizioni. Anzitutto l’orizzonte temporale deve essere necessariamente lungo, e soprattutto l’acquisto va effettuato da uno specialista affidabile ed esperto. Ecco perché mi ritengo un mercante particolare. Amo seguire i restauri da molto vicino ed esercitare l’expertise su ogni dettaglio, anche quello più nascosto e minuto, verificare lo stato di ciascuna componente, così da garantire al cliente, in modo chiaro e inequivocabile, lo stato di conservazione dello strumento e la qualità dell’oggetto, oltre ovviamente l’attribuzione».

Giovanni Accornero, «ricercatore», mercante, ma anche filantropo. «Accanto alla società già esistente, la Monte Carlo Rare Violins, abbiamo fondato nel 2015, a Lugano, con mia figlia Giulia, «Adopt a Musician», un’attività gestita dalla società MusicMasterpieces che supporta i giovani musicisti di talento. Offriamo tutta una gamma di servizi a Fondazioni private e pubbliche, a collezionisti e Mecenati che posseggono già strumenti ad arco pregiati o desiderano acquistarne, per poi prestarli a musicisti di talento. Offriamo servizi in cui abbiamo un’ampia esperienza, come lo studio approfondito dello strumento, la sua certificazione, la ricostruzione del suo percorso storico, nonché attestazioni sulle condizioni fisiche quale risultato delle più moderne tecnologie diagnostiche. Adopt a Musician si occupa delle pratiche assicurative e dei contratti di prestito. Non meno importanti sono tutti quei percorsi utili nel valorizzare lo strumento stesso oggetto del prestito, ad esempio attraverso pubblicazioni, esposizioni in mostre, prestiti a musicisti rinomati in occasione di concerti o registrazioni. L’iniziativa ha avuto un successo notevole. All’inizio le richieste di fornitura di strumenti pregiati erano occasionali, riguardavano periodi brevi o singole manifestazioni, come un concerto, ma nel tempo l’interesse è cresciuto, i tempi si sono dilatati e l’intera attività ha richiesto una maggiore organizzazione. Peraltro l’iniziativa può essere considerata anche come una forma di investimento alternativo da parte di chi ami la liuteria antica e desideri diversificare i propri impieghi fornendo un contributo rilevante sul piano artistico e culturale.

Un’attività da sviluppare, anche a Lugano ove il potenziale è interessante. Al contempo le altre attività avanzano in parallelo e, in particolare, mi sto dedicando alla trascrizione e all’edizione completa dei carteggi del conte di Salabue, per i quali intendo organizzare una grande mostra a Torino nel 2025».

Questo è il mondo del violino di Giovanni Accornero che, nel corso della sua lunga esperienza lavorativa, ha avuto tra le mani veri capolavori, come il violino Antonio Stradivari del 1710 appartenuto a Henri Vieuxtemps, quello del 1709 appartenuto al celebre violinista Artot e al duca di Camposelice, e ancora il violino Kruse 1721, un capolavoro assoluto appartenuto ai celebri violinisti Joseph Rode e Rudolphe Kreutzer. Come anche il violino Guarneri del Gesù del 1736 appartenuto al celebre virtuoso, compositore e didatta piemontese Gaetano Pugnani, ed il violino del 1739 appartenuto a Yehudi Menuhin.

Al centro il violino, che Accornero definisce «una delle prove più luminose dell’intelligenza umana e l’oggetto stupefacente e meraviglioso che l’umanità ha realizzato, in grado di generare dalla materia inerte le meraviglie del suono». Uno strumento le cui origini, come ha scritto il musicologo Emanuel Winternitz, sono estremamente lacunose nonostante la sua enorme importanza, potendole solo collegare alla trasformazione di strumenti più antichi. Quale che sia la sua storia, rimane insuperabile la sua capacità di offrire emozioni ed evocazioni uniche, oltre che costituire una delle espressioni massime del genio creativo italiano. 

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