Al passo con i tempi

Una trasformazione che parte da lontano per artisti e musei

La digitalizzazione non è materia recente nel mondo dell’arte: da oltre 30 anni si parla di nuove tecnologie, ma dopo il Covid il fenomeno è percepito meglio anche dal grande pubblico.
Il MASI trova spazio anche all’interno del LAC.
Martina Ravioli
17.11.2022 15:31

Il messaggio del Consiglio federale concernente la promozione della cultura negli anni 2021-2024 parla chiaro: deve essere dedicata particolare attenzione alla digitalizzazione. Non solo una reazione al Covid, dunque, ma una strategia di più ampia portata che affianca lo sviluppo generale della società verso una fruizione che da prettamente analogica sfuma nel virtuale. A ben vedere, però, il passaggio dall’una all’altro non è né netto né così recente come si potrebbe pensare. «Il tema della digitalizzazione non è certo una novità in ambito museale, ma è anzi dibattuto e affrontato da oltre 30 anni» spiega Tobia Bezzola, direttore MASI Lugano, Museo d’arte della Svizzera italiana, che prosegue: «Il grande pubblico ha iniziato ad accorgersene solo in tempi relativamente recenti poiché è da qualche anno che la tecnologia si è estesa agli ambiti espositivi, ma ormai da alcuni decenni ci aiuta in una serie di compiti e attività fondamentali. Tra i mandati principali di un museo, infatti, vi sono la gestione delle collezioni e la conservazione e il restauro delle opere. In questi ambiti abbiamo dovuto iniziare ad utilizzare metodi e tecniche nuove che pian piano hanno completamente cambiato il nostro lavoro. Solo in un secondo momento le innovazioni si sono estese agli aspetti tecnici. Oggi gli allestimenti e le architetture delle mostre vengono innanzitutto progettati in maniera digitale. Infine, ed è qui che i visitatori di una mostra si accorgono maggiormente delle novità, la digitalizzazione è entrata in modo preponderante anche nella fruizione delle opere e nelle opere stesse. I primi monitor nei musei risalgono agli anni ‘70, le proiezioni video agli anni ‘90. Oggi è possibile visitare una mostra e godere di una collezione anche a distanza. Il MASI ha implementato, ad esempio, il Digital Museum, una sezione del nostro sito che consente di fare visite virtuali. Certamente la pandemia ha rafforzato il progetto, ma questo era presente già prima e continuerà ad esserci».

Luci e ombre

L’innovazione sembrerebbe, a prima vista, portare solo vantaggi, ma non è sempre cosi. Chiarisce Bezzola: «La digitalizzazione porta cambiamento e questo è positivo. Sono nate nuove forme di produzione, presentazione, distribuzione, conservazione. Il problema, e al contempo la fortuna delle istituzioni museali, è che all’introduzione della gestione digitale non scompare il mezzo fisico. Mi spiego meglio. Accanto alle opere che necessitano pur sempre di un luogo e di una cura dedicati, vi è oggi l’offerta digitale che aumenta i costi, ma non produce introiti poiché non è monetizzabile. Nessun museo al mondo è riuscito, con successo, ad offrire servizi digitali a pagamento. E se è vero che l’offerta digitale non può mancare, altrettanto imprescindibile è l’oggetto artistico in quanto tale. Basti pensare alle lunghe file di visitatori che si accalcano attorno alla Gioconda. Il piacere, e talvolta il bisogno, di entrare in relazione con l’opera materiale resta. Per questo i due spazi di fruizione, fisico e digitale, si affiancheranno e non si cannibalizzeranno a vicenda».

Al centro di tutto c’è l’artista

E come considerare le nuove forme d’arte? La produzione artistica contemporanea vede numerose opere nate già digitali e diversi musei al mondo ne hanno intere collezioni, con tutti gli annessi problemi e relative soluzioni che la conservazione di tali opere comporta. Prosegue il direttore: «Il compito delle istituzioni è quello di riuscire a comunicare l’arte ai vari pubblici, ma è l’artista il vero protagonista e gli artisti sono già molto avanti con la digitalizzazione. Il museo ‘segue’ nel senso che deve mettere il creatore dell’opera e l’opera stessa nelle migliori condizioni possibili per la sua produzione e fruizione. Gli spazi fisici restano perciò degli spazi di mediazione, ma il futuro sarà deciso dagli artisti che normalmente affiancano, e talvolta anticipano, lo sviluppo generale del mondo». Questo concetto è ben espresso dall’opera a cui il direttore del MASI Lugano è, a livello personale, maggiormente legato: «Nel mio ufficio ho un DVD del celebre film del duo svizzero Peter Fischli e David Weiss Der Lauf der Dinge. Quest’opera è nata come opera digitale già nel 1987, è passata su diversi supporti fisici e oggi fa parte del patrimonio artistico mondiale».

Apertura al mondo

Si può essere tentati di sostenere che l’arte, grazie alle nuove tecnologie che ne permettono una più estesa e accessibile fruizione, stia diventando più democratica, ma il nostro interlocutore solleva un aspetto di cui è necessario tenere conto. Dice, infatti, Bezzola: «Se penso a quando, diversi anni fa, ho iniziato ad operare nel mondo dell’arte, mi accorgo che tutto era più difficile e richiedeva più tempo. Ad esempio, le ricerche potevano durare diversi giorni e ci si doveva spostare in diverse biblioteche e musei per reperire il necessario materiale. Oggi tutto questo si è semplificato. Potremmo dire che se da un lato l’accesso all’arte è più facile, dall’altro è più ardua la sfida della sua comprensione. I musei devono investire ancor più e meglio nella mediazione culturale poiché un’opera più facilmente accessibile, non necessariamente viene meglio compresa e goduta. Per questo è fondamentale che le istituzioni si adoperino per riuscire a rendere fruibile l’arte da diversi pubblici. Negli ultimi 50 anni il focus si è quindi trasferito dalla ricerca alla mediazione e compito delle istituzioni e dei musei è proprio quello di riuscire ad organizzare il sapere e a renderlo democratico di fatto, non solo a parole». Ma il Ticino è sulla buona strada nel lungo percorso di questo processo? «Le offerte nella nostra regione sono innumerevoli e permettono di addentrarsi nella conoscenza dell’arte a diversi livelli. I musei, in quanto sedi espositive, sono oggi principalmente collezioni di oggetti storici, a cui si affianca l’aspetto immateriale del digitale. L’esperienza reale, anche a seconda del tipo di pubblico più o meno giovane, è tuttavia ancora, e fortunatamente, indispensabile» conclude Tobia Bezzola.

Un aiuto alla fruizione

La tecnologia è un supporto anche per avvicinarsi a diversi tipi di pubblico, ma avendone sempre ben presente il corretto uso, come ci spiega Isabella Lenzo Massei, responsabile mediazione culturale del LAC: «La mediazione utilizza le nuove tecnologie, ma sempre e solo come strumento e non come una finalità. Soprattutto con un pubblico giovane è importante riuscire a parlare un linguaggio al quale è abituato, ma con l’obiettivo di riportarlo al reale e non di favorirne un’ulteriore alienazione. Proponiamo, ad esempio, i workshop Tech@rt nei quali i ragazzi, traendo ispirazione dalle opere esposte al MASI possono creare un loro disegno che, grazie alle nuove tecnologie, diventerà uno strumento musicale in grado di suonare. L‘innovazione deve dunque essere sempre a favore dell’essere umano e non il contrario». In un’ottica inclusiva, la digitalizzazione viene utilizzata anche per approcciarsi alla disabilità. Racconta Lenzo Massei: «Vi sono alcune prassi consolidate, penso ad esempio ai video in lingua dei segni pensati per facilitare la fruizione delle opere per le persone sorde, ed altre in fase di sperimentazione come i linguaggi sonori per le persone cieche. Abbiamo una persona dedicata, Aglaia Haritz, che grazie al supporto della Fondazione Informatica per la Promozione della Persona Disabile (FIPPD) coordina e promuove l’accessibilità e l’inclusione per i diversi pubblici. Molti sono i progetti in corso, alcuni con USI e SUPSI. Stiamo sperimentando diverse soluzioni tecnologiche che permettano di tradurre in un linguaggio accessibile anche alle persone con disabilità le opere d’arte. Alcune sperimentazioni generano delle ipotesi che vengono scartate poiché ci rendiamo conto che non sono efficaci e più che facilitare la comprensione, divengono un ulteriore scoglio per la persona. In ogni caso ci accorgiamo costantemente che si tratta di un processo in perenne divenire e che l’aspetto umano resta sempre fondamentale. Questo anche perché nell’ambito delle disabilità cognitive ogni accorgimento dovrebbe essere studiato quasi ad personam». Un capitolo, dunque, che non termina qui e oggi ma che accompagnerà l’arte e le istituzioni museali nei prossimi decenni. Se è vero, dunque, che il digitale è stato fondamentale durante la pandemia per permettere il contatto con il pubblico, è altrettanto vero che la sua funzione non è né nata, né conclusa con essa: il binomio arte-tecnologia è in continuo divenire. 

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