Emigrazione

La Belle Époque dei ticinesi

Uno scrittore racconta come gli emigrati svizzeri hanno segnato la storia di Cagliari
Una panoramica della città di Cagliari.
Francesco Abate
27.11.2022 07:00

La chiave d’accesso di questa storia è un dipinto che troneggia sulla volta principale delle cantine Pernis, a Cagliari. «Viva la Sardegna! Viva la Svizzera! Viva l’Italia», sono le parole affrescate tra lo stemma dei quattro mori, la croce bianca della Confederazione e il tricolore. Una narrazione su cui il tempo ha fatto sedimentare troppa polvere tanto da confinarla nel dimenticatoio. Sempre che quel legame fra due terre così lontane non faccia parte del vissuto e la necessità di farla riemergere sia quasi una missione genetica, di sicuro un’affascinante trama per una serie di romanzi che abbiano fondamento su fatti veri ma ancora non battuti. E quei fatti dicono che dalla fine del Settecento ai primi del ’900, tre ondate di giovani in partenza dal Ticino e dai Grigioni, scelsero la Sardegna sulla via di un’emigrazione unica o comunque rara.

Una famiglia di vignaioli di Thusis

Quell’affresco è il nostro punto di partenza. È datato 1880 (circa) ed è un atto d’amore: quello di un profugo. Perché questo era Josias Pernìsch, nato a Thusis nel 1797, ed esule a Trieste dopo che la sua famiglia di vignaioli cadde in disgrazia in seguito all’invasione francese dei Grigioni. Ospite di uno zio che lo instradò al mondo del commercio e della navigazione, il destino gli riservò una strana carta che per un altro giovane avrebbe potuto avere i connotati della disgrazia e invece…

Il bastimento su cui faceva rotta verso Genova, e da qui Londra, nel 1818 fece naufragio sul mare davanti a Santa Caterina di Pittinuri, costa occidentale della Sardegna. I superstiti, fra cui il 21.enne Josias, furono portati a Cagliari. Tutti fecero rientro alle loro città. Tranne Josias che decise che quell’Isola sarebbe diventata la sua terra promessa. Non solo mise a frutto l’arte dei suoi avi vignaioli, non solo creò una delle aziende vitivinicole più fiorenti del cagliaritano ma divenne una delle anime più celebri di quel passaggio di consegne alla guida della città tra una decadente nobiltà spagnola (la Sardegna fu regno di Spagna per quattro secoli) e una briosa borghesia commerciale e mercantile. Pernis (il suo cognome fu «sardizzato») al fianco del patriota risorgimentale e imprenditore minerario di origini riminesi Enrico Serpieri (suo consuocero) fondò il Banco di Cagliari, la Camera di Commercio locale e inoltre favorì la nascita della sede in città della Banca nazionale. Alla faccia del naufrago.

Nuove strade imprenditoriali

Perché Josias scelse Cagliari? Perché vide nell’ex vicecapitale del Regno di Sardegna sotto i Savoia ciò che intuirono altri svizzeri prima di lui e dopo di lui. Una succosa opportunità: battere nuove strade che l’imprenditoria locale non aveva ancora tracciato a fondo e godere di una qualità di vita rara. Non un mordi e fuggi ma un’adesione e un attaccamento a un luogo che li ricambiò alla pari.

La stura è sulla via del caffè, fine Settecento. La corte sabauda è in esilio sardo, Cagliari deve stare al passo con le esigenze reali. La vita sociale ne riceve impulso. Nascono i primi caffè, servono le torrefazioni a cui vanno affiancate le offellerie. Si cerca personale e imprenditori specializzati ed ecco che si fanno avanti i primi svizzeri. Secondo il sovraintendente archivistico per la Sardegna Carlo Pillai (autore di «Storia dei caffè di Cagliari»), il primo è Carlo Cima in arrivo dalla valle del Blenio, esattamente dal villaggio di Aquila. Arriva nel 1779 e nel 1815 diverrà cittadino sardo. La fusione è iniziata. I giovani che giungeranno a seguire portano cognomi significativi: Luigi Derose, Tommaso Fopper, Pietro Strupani, Getano Pollini, i fratelli Martinoni, Benedetto Unghenos. E poi arrivano gli Smit, i Giannetti e i Nicolai, i Tramer e i Clavot.

La strada è aperta e ormai fa parte della toponomastica di Cagliari. Si combinano matrimoni, si va e si viene dalla madrepatria. O addirittura non si torna più mantenendo saldo il legame morale perché quei ragazzi, diventati uomini, aprono locali dalle sigle emblematiche: il Caffè Elvetico, il Caffè Svizzero. Si fanno bandiera del cambiamento novecentesco di una piccola città, avamposto coloniale italiano, che però rivendica il blasone di capitale di Sardegna e di un regno che fu fin dal 1297. Non è un caso che la prima proiezione cinematografica avviene all’Elvetico, 1905. E che lo stesso locale è ciò che modernamente definiremo un multisala. È infatti anche caffè chantant e le colonne del quotidiano L’Unione Sarda di quegli anni dimostrano come il cartellone degli spettacoli fosse ricco di appuntamenti già dal martedì e che abbia dato l’esempio alla nascita di locali con simile vocazione.

La bella vita oltre i confini

Nei Cantoni l’eco della bella vita cagliaritana si è propagato già oltre i confini prossimi. Tanto da far sognare anche i giovani di Tirano, quel comune valtellinese a un soffio dalla sbarra doganale, che evidentemente - messo all’angolo un tribolato passato - seguono i cugini grigionesi nell’avventura sarda. Partono i Tognolini e anche il mio bisnonno Rosolino Guicciardi. Sanno di poter contare sull’appoggio degli altri emigrati, sanno di poter far fiorire le loro attività commerciali in una città che non li tratta da stranieri. Sbarcano per restare, prosperare, mettere radici e tramandare questa incredibile storia.

Nel 1906 Cagliari ha 52 mila abitanti e vanta ben quattro caffè chantant (la gran parte gestiti da ticinesi), quattro teatri e un cinema. Si balla, si canta, sia amoreggia sino a tarda notte, tanto che il sindaco Ottone Bacaredda è costretto a emettere un’ordinanza che proroghi l’orario di chiusura. Cagliari vive in vitro la Belle Époque e la vive su impulso proprio degli emigrati svizzeri che hanno il merito di mutarne l’indole sociale o di amplificarla notevolmente. Un quadro strabiliante per una terra la cui narrazione viene fatta coincidere con quella di un popolo di pastori, di nuraghi, di ancestrali riti e feroci banditi.

Piccola nota conclusiva. Chi vi scrive è un giornalista de L’Unione Sarda che fu assunto nel 1993 da un direttore di cognome Clavuot, che ha per vicina di banco una Fassberger. E su quell’epica migratoria ha scritto due romanzi.