L'iniziativa

«A Lugano non vogliamo fare un'altra Davos»

Il giornalista e scrittore Alan Friedman racconta il «suo» Lugano Global Forum, tra ospiti internazionali e un'organizzazione che punta ai massimi livelli - «Tutti vogliono venire sul Ceresio»
© CdT/ Chiara Zocchetti
Mauro Spignesi
09.11.2025 17:31

Lo chiamano dalle redazioni di televisioni e giornali, siti web d’informazione e radio. Lo vogliono in diretta per sapere da lui, americano nato a New York City, che significato politico ha la vittoria di Zohran Mamdani. È mercoledì, quando Alan Friedman, giornalista che ha lavorato per Financial Times, International Herald Tribune, New York Times e The Wall Street Journal, autore di saggi e commentatore per il Corriere del Ticino, deve ogni volta, pazientemente, riannodare i fili e ripartire con la sua analisi. In realtà quanto accade a New York è anche frutto del nostro tempo, e riflette il titolo del Lugano Global Forum che si svolgerà il 10 e 11 novembre all’asilo Ciani e in seguito all’Usi (con il coinvolgimento degli studenti): «La certezza dell’incertezza: navigare nel nuovo disordine mondiale».

Lei è direttore del Lugano Global Forum e allora partiamo da una curiosità, ma davvero c’è ancora bisogno di un evento come questo?
«Ho frequentato il Forum economico mondiale di Davos per 18 anni. E ho assistito alla sua parabola, da quando veramente era un luogo di confronto importante sino a quando progressivamente, come molti incontri internazionali, ha perso senso».

Perché dice che ha perso senso, perché ci sono state polemiche dopo l’addio del suo ideatore e fondatore, Klaus Schwab?
«No, il problema è un altro. Davos negli anni è cresciuto enormemente, sono state ingigantite le strutture e oggi è diventato un evento per migliaia di persone che produce tanto spettacolo a favore dei media. Io ho immaginato invece Lugano come il luogo perfetto per ritornare alle radici, all’origine di questi appuntamenti internazionali che quando sono nati svolgevano un ruolo rilevante».

Perché proprio Lugano?
«Da quattro anni sono residente a Lugano. Vivendo qui vorrei dare il mio piccolo contributo, lavorare per la città che ho iniziato ad amare da tempo e che mi ha ispirato quest’idea, cioè dar vita a un laboratorio dedicato a comprendere meglio il nostro mondo in rapido cambiamento. Insomma, ho pensato che fosse arrivato il momento di rilanciare un dibattito e confronto, più elitario, contenuto, meno ridondante, con un taglio e uno stile luganese, cioè improntato alla sobrietà. Più qualità e meno quantità, in definitiva. Allora sono andato dal sindaco Michele Foletti, sono andato dalla rettrice dell’università della Svizzera italiana Luisa Lambertini, poi ho cercato media partner e gli sponsor per tenere in piedi l’organizzazione».

Come è stata la risposta?
«Ottima. Tanto è vero che da quando siamo partiti, e sono ormai passati 15 mesi, riceviamo continue richieste di partecipazione».

Come lo spiegate?
«Perché si è capito che il nostro evento non sarà sporadico ma avrà una continuità: stiamo mettendo le radici per farlo vivere di vita propria, per farlo crescere negli anni. Per rafforzare il ruolo di Lugano come città internazionale, di dialogo, crocevia di idee e proposte sui temi centrali dell’attualità, ma non solo».

Stiamo mettendo le radici per farlo vivere di vita propria, per farlo crescere negli anni

Quando ha parlato di Lugano come location del Forum che impressione ha avuto?
«In questi mesi ho parlato con persone di alto livello, amministratori delegati di grandi aziende, investitori, scrittori, diplomatici, accademici, economisti, e ho spiegato cosa volevamo fare. La formula è piaciuta. Ora il rischio è quello di stravolgerla, perché tutti, come ho detto, vogliono venire a Lugano. Inizialmente avevamo pensato a un forum ad inviti limitato a 120 persone. Invece siamo già a 150 persone».

Non si rischia, tornando a quello che dicevano, di replicare un’altra Davos?
«È quello che vogliamo assolutamente evitare. Io ho visto Davos negli anni ’90 quando era ancora rilevante, quando lì, nei Grigioni, parlavano Shimon Peres e il presidente dell’OLP Yasser Arafat. Poi ho visto il lento declino. Noi qui a Lugano vogliamo più sostanza e meno spettacolo, uno scambio di informazioni trasparente e una opportunità per discutere sulla geopolitica e l’economia internazionale».

Che incontri avete programmato?
«Allora, quest’anno abbiamo deciso di partire con un focus sul commercio globale, i dazi doganali, la geopolitica, le prospettive economiche e il rapido impatto crescente dell’intelligenza artificiale».

In pratica come affronterete questi grandi temi?
«Per esempio abbiamo previsto un confronto sull’intelligenza artificiale con protagonisti Bruno Giussani di Ted e Markus Pflitsch fondatore di Terra Quantum, azienda svizzera all’avanguardia nel mondo che lavora sulla crittografia e i dati. Un evento che volevamo circoscrivere a 50 persone, invece ne abbiamo quasi il doppio».

Cosa resterà di questo Forum?
«Lo scopo è andare sempre al dunque e cercare di capire meglio un mondo in rapida trasformazione, ognuno dei 150 delegati credo che sia consapevole che stiamo vivendo un momento della storia molto particolare e vogliamo capire meglio come navigare. Ad esempio dove andrà l’Europa? Per questo mettiamo a confronto Romano Prodi, il simbolo forse dell’europeismo, e un esponente noto dell’euroscetticismo: Vaclav Klaus, che ha guidato la transizione dal sistema comunista al libero mercato ed è stato presidente della Repubblica Ceca».

State già pensando alla prossima edizione?
«Sì. Anche per questo abbiamo scelto un International Advisory Board, con componenti attivi in ambiti che spaziano dalla diplomazia al commercio globale, dai media alla logistica umanitaria fino all’innovazione digitale. Tra loro ci sono l’ambasciatore Bernardino Regazzoni; David French (manager di Washington che rappresenta colossi statunitensi come Walmart, Target e Costco, per un totale di oltre 5 mila miliardi di dollari di vendite annue; Antonio Di Bella, giornalista e dirigente televisivo; Lynn Fritz di San Francisco, fondatore Fritz Institute e pioniere della logistica applicata agli interventi umanitari; Massimo Volpe, fondatore e CEO di Retail Hub, piattaforma internazionale dedicata all’innovazione. Inoltre Barbara Erskine è la direttrice del Programma».