Sport

«A Lugano per Martina»

L'intervista a tu per tu con Marco Melandri
Giorgia Cimma Sommaruga
09.10.2022 13:15

Monta in sella di una due ruote a otto anni, due anni dopo è già campione italiano. Marco Melandri è stato il «golden boy» dei primati: 137 podi e un mondiale. La sua carriera è coloratissima di grandi traguardi, primo tra tutti quello di essere stato il più giovane pilota di sempre ad aver vinto un Gran premio, quando nel 1998, a 16 anni trionfa in Olanda nella 125cc. Poi sale di categoria, debutta in 250cc ed è subito un altro record. A 20 anni è il più giovane campione del mondo della classe. E poi la MotoGP dove si laurea come l’unico degno rivale del prodigio Valentino Rossi. Non si ferma. Passa al mondiale di Superbike e si distingue per essere l’italiano più vincente di sempre nella categoria. La Domenica l’ha incontrato a Lugano, dove si è trasferito «perché voglio offrire un futuro migliore a mia figlia Martina, e sento che questo è il posto giusto».

Con l’annuncio del ritiro dalle corse di Andrea Dovizioso - escludendo Aleix Espargaro - si è chiuso un capitolo generazionale della MotoGp. Qual è la differenza più grande tra la vecchia e la nuova guardia di piloti?

«Direi lo stile di guida e come ci si muove sopra la moto. Di fatto per un pilota il proprio corpo è come un volante in una macchina, e oggi lo utilizzano in maniera molto più estrema ed esasperata rispetto ai miei tempi. Anche perché lo sviluppo della moto e delle gomme sono andate nella direzione delle richieste dei piloti che cambiavano in base al nuovo stile di guida. In poche parole ora il pilota sulla moto si muove molto di più che in passato».

Lei ha vinto un mondiale, ma è arrivato a giocarsene diversi fino all’ultimo. Qualche rammarico?

«Ho vinto un mondiale, ma ne ho persi almeno 4… Però dentro di me conosco sempre il motivo per cui le cose sono andate male, questo un po’ mi rassicura. Forse l’unico rammarico è che avrei potuto vincere di più».

Il boccone più amaro?

«Nel 2012 quando con la BMW eravamo in testa al mondiale di Superbike e mancavano 3 gare alla fine, la moto che guidavo in quel momento era considerata la migliore. E solo un anno prima, quando io avevo firmato il contratto con la casa tedesca, quella che dovevo guidare era considerata la moto peggiore di tutte. Dunque per me era stata una grande soddisfazione farla crescere».

E cosa è successo?

«Eravamo in Germania e dopo le qualifiche arrivò il capo di BMW moto e ci annunciò che la casa chiudeva ufficialmente con il Motorsport quindi abbiamo affrontato le ultime tre gare del campionato non per vincere il mondiale ma con la disperazione della squadra per trovare un lavoro l’anno dopo. Ed era già molto tardi per farlo. Ricordo che io stesso avevo la testa altrove. Sono caduto quattro volte su cinque gare. Quella è stata veramente l’occasione mancata, in cui il mondiale ci è stato portato via dal nostro capo».

Guardando indietro avrebbe agito in modo diverso?

«Ci ho pensato molte volte, e non credo. Devo dire che nella mia carriera spesso sono stato obbligato a fare certe scelte. Onestamente, guardando indietro, avrei voluto avere più continuità con una moto e con una squadra, ma purtroppo negli ultimi 10 anni sono stato obbligato a cambiare quasi tutti gli anni. I motivi erano vari. Ad esempio quando andai in Ducati nel 2008 (Motogp) fu un anno devastante, ma dopo tre anni in Honda dove vinsi 5 gare e diventai vicecampione del mondo nel 2005 dietro a Valentino Rossi non essere preso nel team ufficiale perché non avevo il passaporto adatto, cioè quello spagnolo per la società Repsol, mi fece capire che per me in Honda non c’era futuro. Quindi ho dovuto cercare alternative».

E il ricordo che ha lasciato il segno?

«Sicuramente la gara in cui ho vinto il mondiale è stato uno di quelli soprattutto per il modo in cui sono arrivato al podio».

Se lo ricorda?

«Ho fatto tre sorpassi all’ultimo giro, vincere gara e campionato per 7 millesimi è una botta di adrenalina incredibile».

E poi?

«...e poi tornare alla vittoria in MotoGp dopo due anni difficili e anche in Superbike, ritornare a vincere dopo anni difficili in Motogp è sempre un ricordo incredibile, perché in quei momenti realizzi che il duro lavoro paga sempre. Io ci credevo nel mio potenziale e quindi la vittoria è una conferma».

La progressione tecnologica delle moto impedisce l’affermazione di nuovi piloti «star»?

«Sicuramente - rispetto ai miei tempi - queste moto sempre più tecnologiche e impediscono lo spettacolo. Con l’introduzione dell’aerodinamica si è perso il colpo di scena perché i sorpassi sono diminuiti, così come l’abbassatore ha livellato le accelerazioni ed è ancora più difficile superare. Si è un po’ snaturata la moto dunque a mio avviso questi sviluppi non aiuteranno le moto stradali ad essere più sicure, e secondo me deve essere sempre mirato a questo lo sviluppo di una moto da corsa».

E per quanto riguarda i piloti?

«Adesso c’è un periodo di stasi anche se l’Italia sta vincendo tanto, ma manca il pilota carismatico, quella personalità che si distingue dagli altri. Quindi bisogna aspettare ancora. Sicuramente qualcuno arriverà, e poi bisognerà vedere anche quanto la stampa avrà voglia di calcare la mano. Ai miei tempi sono stati fortunati...»

Perché?

«Le nostre gare arrivavano nelle case di tutti. La Motogp era libera, faceva 6-7 milioni di utenti, andava a solleticare l’interesse di chi non era così appassionato eppure si guardava le competizioni. Eravamo 4 italiani e tutti uno diverso dall’altro. Max Biagi, Valentino Rossi, Marco Melandri e Loris Capirossi. Questo ha fatto si che fossimo sempre molto riconoscibili. Oggi... per fare un esempio, tutti quelli che escono dall’Accademy di Valentino Rossi sembrano la sua copia. Questo secondo me le persone non lo apprezzano molto, perché si coglie la voglia di voler essere come lui ma non meglio».

Eppure ci sono giovani che stanno vincendo molto. Francesco Bagnaia, per dirne uno.

«Verissimo. Ma, se dobbiamo parlare di «star», e lo vedi in mezzo alla folla, è difficilmente riconoscibile a livello di carisma. È molto pacato, tranquillo, non ha guizzi. Mentre quando si avvicina Marc Marquez la senti subito la sua personalità. Sicuramente Bagnaia guida da dio, io potrei guardarlo per ore, perché il suo stile di guida è un qualcosa che ai miei tempi era impensabile e mi affascina».

Sono possibili dei paragoni tra epoche diverse?

«Direi proprio di no. Quando sento dire «è più forte Agostini o Rossi?». Non si possono mettere a confronto. Agostini vinceva due mondiali in un anno, oggi è impensabile. Le moto sono troppo fisiche e troppo dure mentalmente. Secondo me il bello del cambio epocale è che non si possono proprio fare dei paragoni».

C’è un giovane pilota in cui coglie tratti del Marco Melandri ragazzo?

«Per i giovani oggi è davvero difficile essere se stessi in questo mondo. Mi piace molto un ragazzino spagnolo, si chiama Izan Guevara, lui è abbastanza estroverso, però quando è in moto è preciso e calcolatore».

Dopo l’addio ai motori, ora la troviamo di nuovo in sella delle mountain bike elettriche.

«Mi sono appassionato a queste competizioni per caso. La mountain bike muscolare non mi piaceva. Quando vivevo in Trentino Alto Adige e lavoravo con il Trentino marketing come ambasciatore della regione, sono stato invitato ai mondiali di down hill e di cross country in Val di Sole. Mi proposero di competere. Io sono arrivato completamente impreparato, però mi sono buttato e mi sono divertito».

...E così le gare di enduro con le bici elettriche per trovare nuova adrenalina?

«Diciamo che ad oggi ogni gara è una mini vacanza, perché prima di tutto è un divertimento per me, mi appassiona stare in mezzo alla natura, conoscere posti nuovi e persone diverse. Diciamo che ha colmato quel vuoto che poteva lasciarmi la mancanza di adrenalina delle gare di moto. Oggi - tra l’altro - penso che quell’adrenalina lì non la sopporterei nemmeno più, quando guardo le corse di moto dal divano di casa mia non desidero essere lì».

Dove si allena in Ticino con le e-bike?

«Ricordo con piacere un allenamento in notturna sul Monte Bar, ci siamo fermati a cena nel rifugio sulla cima e poi la discesa al buio verso Tesserete che è una zona che mi piace molto, spesso percorro la strada che dalla città conduce a Tesserete, poi Ponte Capriasca, e ritorno. Qualche giorno fa sono stato anche al Monte Generoso. Poi Airolo. Piano piano scopro sempre nuove zone. Ho un bel gruppo di allenamento, mi affido ai miei compagni «esperti» che sicuramente conoscono meglio la zona».

Sport e spettacolo. La scorsa edizione è stato un nufrago de «L’isola dei famosi», su Canale 5. Lo riferebbe?

«Si perché è stata una esperienza personale intensa. Non è il mio mondo. Perché ad oggi i reality sono un lavoro vero e proprio. Ci sono gli specialisti come in tutti i settori, quei concorrenti che sanno bene come comportarsi di fronte alle telecamere, cosa dire, con chi parlare o litigare. Non dico che non mi interessa il mondo dello spettacolo anzi, perché io da quando sono nato ho esplorato solo ed esclusivamente il mondo delle moto, ora vorrei scoprire anche altro».

Più rischiosa una gara a 300km/h o un post su Instagram che riguarda la sua vita privata? (Ci riferiamo alla polemica scoppiata quando Melandri ha raccontato del tradimento e della sua relazione con l’ormai ex moglie).

«Io non ho mai avuto troppi peli sulla lingua, e sicuramente è stato un limite. Però quando vado a letto la sera e mi guardo allo specchio, voglio essere sempre in pace con me stesso, e forse il modo per esserlo è la trasparenza. Ho imparato che le persone sono sempre molto brave a giudicare a posteriori - soprattutto da una tastiera. Quel post l’ho pubblicato prima di partire per l’Honduras. Io ho una figlia, e non volevo che durante la mia assenza le arrivassero voci, prese in giro, o leggesse cose sbagliate. Se gli adulti si nascondono dietro ad uno schermo, e poi quando ti vedono fanno finta di nulla, i bambini non hanno questo «filtro». Nessuno ha capito il mio gesto. Ma io volevo che tutti sapessero come erano andate realmente le cose convinto che l’onestà fosse accettata».