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Ada Marra: «Lascio a 50 anni»

L'intervista alla consigliera nazionale vodese: «Sono felice di aver contribuito alla naturalizzazione agevolata e alla fine del segreto bancario»
© KEYSTONE/PETER SCHNEIDER
Andrea Stern
Andrea Stern
26.02.2023 15:30

A nemmeno 50 anni (li compirà il prossimo 10 marzo), Ada Marra si appresta a ritirarsi dall’arena politica. Dopo quattro mandati come consigliera nazionale, la socialista vodese di origini pugliesi non chiederà una deroga al partito e quindi assisterà alle elezioni federali di ottobre come spettatrice. «D’altra parte se voglio tornare nel mondo del lavoro non posso nemmeno aspettare più di tanto», osserva.

Signora Marra, perché lascia così giovane?
«(ride)... È la prima volta che mi sento definire giovane, a cinquant’anni».

Di sicuro non è anziana.
«Ho iniziato presto a fare politica, a 34 anni sono stata eletta in Consiglio nazionale. Oggi si chiude un’epoca. È vero che lasciare a questa età è particolare, già solo perché devo ancora lavorare 15 anni. Si tratta di riconvertirsi, non è per forza facile, anche perché non ho avuto un altro lavoro oltre a quello di parlamentare».

È stata consigliera nazionale di professione?
«Sì. Sarebbe stato più facile mantenere almeno un impiego al 20 o al 30%. Ma il mondo politico è complesso. Non è facile lavorare a fianco, soprattutto se si assumono responsabilità in Parlamento o nel partito».

Un parlamentare può chiedere la disoccupazione?
«Come tutti. Per i parlamentari non rieletti esiste pure un aiuto limitato nel tempo con i fondi del Parlamento... Ma scusi, perché stiamo parlando di queste cose?».

Era per capire cosa farà dopo la politica.
«Ho un’idea ma non gliela dirò, perché non c’è nulla di certo».

Non ha ancora firmato?
«Esattamente».

Se nel 2019 fosse stata eletta al Consiglio degli Stati sarebbe andata avanti a Berna.
«Sì, non avrei avuto il limite dei mandati».

Ho iniziato presto a fare politica, a 34 anni sono stata eletta in Consiglio nazionale. Oggi si chiude un’epoca.

Dicono che il suo più grande successo a Berna sia stata la naturalizzazione agevolata per gli stranieri di terza generazione.Concorda?
«Questo l’ha detto un giornalista e poi tutti gli sono andati dietro. Io non credo alla politica delle donne e degli uomini provvidenziali, si è sempre in tanti a portare avanti un tema».

Quella fu una sua iniziativa, approvata dal popolo.
«È vero, ma da quando l’ho proposta nel giugno 2008 a quando il popolo ha votato nel febbraio 2017 ci sono tante persone che hanno contribuito a portarla avanti, a migliorarla... Anzi no, a migliorarla no, perché non è stata davvero migliorata».

In effetti nella pratica non è stata un grande successo.
«Dipende dove. Diciamo che ha funzionato meglio dove ottenere il passaporto era difficile piuttosto che in Svizzera romanda dove era già più facile. Ma è comunque stata una vittoria, perché da 15 anni non si vinceva una votazione positiva sulla migrazione. Pure il Ticino ha detto sì».

Ha altre vittorie da citare?
«Non mi attribuirei dei successi personali. Tutti quelli che dicono «ho fatto questo, ho fatto quest’altro» soffrono della sindrome del politico egocentrico. In Parlamento si lavora insieme per far avanzare i dossier».

A quali dossier è felice di aver contribuito?
«Mi piace ricordare di aver contribuito in commissione alla fine del segreto bancario. È stato molto interessante e importante».

Sicura che sia stato un successo per la Svizzera?
«Sì, penso di sì. Allora si diceva che la fine del segreto bancario sarebbe stata la fine delle banche, invece non è stato il caso. La percentuale di gestione di patrimoni da parte della Svizzera è rimasta più o meno invariata. A memoria, mi sembra fosse il 24/25% della fortuna mondiale, oggi non è cambiato molto».

Non mi attribuirei dei successi personali. Tutti quelli che dicono «ho fatto questo, ho fatto quest’altro» soffrono della sindrome del politico egocentrico

Tante persone hanno perso il lavoro in banca.
«Di che banche stiamo parlando? UBS o Credit Suisse non sono finite in difficoltà a causa della fine del segreto bancario ma dei loro errori, degli scandali, non so se ricorda le manipolazioni dei tassi di cambio. Poi è vero che altre banche più piccole hanno sofferto. Ma le grandi non hanno patito la fine del segreto bancario».

In questi 16 anni chi è il parlamentare che ha apprezzato di più?
«Ho molto ammirato Dick Marty e ho particolarmente apprezzato il lavoro con Kurt Fluri. Sono due persone di destra ma molto intelligenti, aperte, oneste e affidabili».

E Marina Carobbio?
«Beh, certo che l’ho apprezzata! Era per citare persone che non fossero del mio partito... Marina Carobbio ha giocato un grande ruolo nella promozione delle donne, in particolare quando è stata presidente del Consiglio nazionale. Era l’epoca del Me Too, che lei ha saputo gestire benissimo».

Ha fatto bene a candidarsi per il governo ticinese?
«Di certo mancherà a Berna. Ma spero che sarà eletta perché potrà fare del bene a tutto il cantone».

Anche lei potrebbe riciclarsi in governo?
«No, non sono una donna da esecutivo».

C’è una foto di lei che ha scatenato un putiferio, quella con la maglia della nazionale italiana in Parlamento. La rifarebbe?
«Bisogna sapere che quella foto è stata scattata nell’ambito di un servizio giornalistico «leggero», era il periodo dei Mondiali di calcio, o degli Europei, non ricordo bene, era più di dieci anni fa.Avevano scelto un parlamentare italo-svizzero per ogni partito, c’erano anche FilippoLeutenegger e Toni Bortoluzzi.La mia fortuna, o sfortuna, è che allora pesavo 20 kg in meno e quindi sono riuscita a indossare la maglia, a differenza loro che l’hanno solo esibita».

Perché è stata diffusa solo la sua foto?
«È stata la Lega, per manipolazione politica».

Cosa intende?
«Leutenegger e Bortoluzzi non hanno avuto tutta questa visibilità. Ma io sono donna e di sinistra, ciò che è un problema per la Lega, che ha strumentalizzato quella foto. Purtroppo tanti ticinesi sono caduti in questo gioco, forse anche lei visto che mi pone questa domanda».

Ho molto ammirato Dick Marty e ho particolarmente apprezzato il lavoro con Kurt Fluri

Torniamo al suo tema forte, le naturalizzazioni. Se in Svizzera oltre un milione di persone ha due passaporti, significa che non è così difficile naturalizzarsi.
«Tra questi 800.000 con la doppia cittadinanza (l’UST dice 1.056.723, n.d.r.) ce ne sono anche tanti che sono svizzeri in partenza e hanno acquisito un passaporto straniero. Altri sono figli di coppie binazionali. Il fatto è che le persone si mescolano, ma il tasso di naturalizzazione rimane molto basso rispetto alla media europea».

A suo avviso, l’obiettivo deve essere lo ius soli?
«Non ho mai nascosto di pensare che i figli non siano mai responsabili della storia dei genitori. Se nascono qui, devono essere svizzeri».

Lei è figlia di un’immigrazione europea che si è integrata bene. Pensa che andrà altrettanto bene con l’immigrazione extraeuropea?
«Penso che se si sono integrati gli immigrati degli anni ‘60, che hanno dovuto arrangiarsi da soli perché non c’erano misure come ad esempio i corsi di lingua, a maggior ragione riusciranno a integrarsi coloro che arrivano oggi, che possono beneficiare di una scuola integrativa e di misure integrative».

Le differenze culturali non la preoccupano?
«Non è questione di preoccupazione. È che non bisogna avere pregiudizi. Spesso siamo noi stessi a precarizzare la migrazione. Se una persona è medico in un Paese extraeuropeo, conosce la nostra stessa anatomia. Ma qui non gli viene riconosciuto il titolo di studio. Ecco, il riconoscimento della formazione sarebbe un primo passo per aiutare queste persone a integrarsi in Svizzera».

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