Salute

AIDS, storia dello stigma sociale di una malattia

«Precauzioni su precauzioni, talvolta inutili, fanno sentire ghettizzati pazienti che seguono le cure da anni e hanno un grado di viremia zero» – Oggi di AIDS non si muore più se ci si cura
Giorgia Cimma Sommaruga
21.05.2023 16:00

Secondo quanto riportato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, dall’inizio dell’epidemia, 84,2 milioni di persone al mondo sono state infettate dal virus HIV e circa 40,1 milioni di persone ne sono morte. Attualmente, a livello globale, 38,4 milioni di persone vivono con l’HIV, tuttavia, oggi le cure sono sempre più efficaci, e se si rispettano si può vivere tranquillamente con un grado di viremia pari a zero. Enos Bernasconi, viceprimario malattie infettive EOC, osserva che «con la prima ondata di Coronavirus c’è stata una flessione di tutte le malattie a trasmissione sessuale, però i numeri a partire dal 2021 sono ritornati a livelli pre COVID». In Svizzera, «con le conoscenze sulla prevenzione, con l’utilizzo del preservativo, con il fatto che trattiamo i pazienti precocemente e li rendiamo non più contagiosi, e con la PrEP, i nuovi casi dovrebbero diventare eccezionali, invece riscontriamo ancora sui 345 casi all’anno, una decina in Ticino».

Le malattie sessualmente trasmissibili

Il programma (Swiss Prepared), a cui Bernasconi partecipa per la prescrizione della PrEP, permette un approccio olistico con depistaggio delle principali malattie a trasmissione sessuale. «Si previene la più grave che non può ancora essere eliminata dal corpo - osserva Bernasconi -. A livello individuale e della società è ovviamente molto più oneroso curare l’HIV per tutta la vita che prevenirlo: nell’ambito del programma le persone vengono visitate regolarmente e non è raro diagnosticare malattie come la sifílide, la gonorrea e la Chlamydia». Malattie che vengono trattate immediatamente prevenendo in tal modo nuovi contagi.

Il marchio sociale 

Tuttavia, lontani dagli anni ’90 e dall’esplosione dei casi di HIV, persiste, secondo Degli Antoni, uno stigma sociale nei confronti delle persone sieropositive. «Assieme ad alcuni membri dell’Aiuto Aids Svizzero ci siamo recentemente confrontati sul fatto che gran parte delle discriminazioni persistono soprattutto in ambito sanitario: precauzioni su precauzioni, talvolta inutili, fanno sentire ghettizzati pazienti che seguono le cure da anni e hanno un grado di viremia zero». Ciò significa che la presenza del virus nel sangue è quasi sparita al punto tale che i liquidi biologici, compreso lo sperma, non veicolano più il virus.

La cura definitiva non esiste ancora, ci sono studi sperimentali, però oggi non possiamo ancora dire che tra dieci anni l’HIV potrà essere totalmente eliminato

«Una persona sieropositiva oggi che si cura può avere figli e avere dei rapporti sessuali senza utilizzare alcuna precauzione se non quella della cura stessa», spiega Degli Antoni. Ma le discriminazioni, per così dire «ufficiali», non finiscono qui. Mettiamo che un piccolo lavoratore indipendente - sieropositivo - voglia sottoscrivere una assicurazione (privata) per la malattia sul lavoro, o per la perdita di guadagno: «Siccome non è obbligatoria ed entra nella sfera del diritto privato - spiega degli Antoni - le assicurazioni in generale - indipendentemente dallo stato di salute della persona - se è sieropositiva non le faranno mai l’assicurazione. Questa è una vera e propria discriminazione».

Nuove cure

Enos Bernasconi parla anche delle nuove cure per l’HIV. «La cura definitiva non esiste ancora, ci sono studi sperimentali, però oggi non possiamo ancora dire che tra dieci anni l’HIV potrà essere totalmente eliminato», osserva. Da anni esistono terapie molto ben tollerate nella forma di una compressa al giorno. Inoltre «dallo scorso anno è possibile prescrivere una terapia in forma iniettiva. Sono farmaci che rimangono a lungo nel corpo e vengono rilasciati lentamente nel sangue dai muscoli dei glutei». L’aspetto positivo di questa cura sta nel fatto che il paziente non deve assumere ogni giorno delle pastiglie, tuttavia questa terapia per via iniettiva implica molti più controlli, le iniezioni possono essere dolorose, e vi è talvolta un rischio di fallimento dato dalla resistenza alle componenti dell’iniezione. «Quindi questa nuova offerta - spiega il viceprimario - si rivolge ancora ad una nicchia che al momento coinvolge circa il 10% dei pazienti», conclude Bernasconi.

Non solo tra gli MSM

E tra i dieci nuovi casi all’anno in Ticino «la maggior parte coinvolge maschi omosessuali», osserva Bernasconi, tuttavia «due casi che ultimamente mi hanno sorpreso – a testimonianza del forte stigma sociale insito ancora nella malattia - riguardano due maschi eterosessuale», racconta Degli Antoni. «Uno concerne un ragazzo abbastanza giovane che per lavoro viaggiava parecchio e probabilmente ha avuto delle relazioni sessuali non protette ed è rimasto contagiato. Da questo contagio la sofferenza maggiore è stata data dal fatto che in una serata di condivisione l’ha detto a un amico e questo amico poi l’ha ricattato psicologicamente e lo sta facendo soffrire con la minaccia di rivelare la sieropositività», spiega Degli Antoni. Un altro caso simile riguarda invece una persona del territorio, molto inserita nella vita comunitaria del paese. «Si trova ad essere sieropositivo per avere avuto un rapporto o più rapporti nell’ambiente della prostituzione. La sua compagna lo scopre, lei non è stata contagiata, ma è ferita emotivamente per il tradimento e richiede al partner un risarcimento in termini finanziari».

«Ecco allora che - suggerisce Degli Antoni - parlarne può essere certamente positivo. Ma dobbiamo capire bene con chi poterlo fare».

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