Alleanze di pace e fronti caldi in Medio Oriente

Il Vicino Oriente oscilla tra lampi di guerra e prospettive diplomatiche, con informazioni contrastanti e in rapida evoluzione. Mai come oggi navighiamo nell’imprevedibilità, con alleanze meno compatte e mosse poco scontate. Tel Aviv ha minacciato una nuova offensiva - ampia - dentro la Striscia. Ha mobilitato i riservisti, indicato possibili piani, promesso un intervento per eliminare Hamas.
Possibile l’impiego di migliaia di uomini nell’intento di rioccupare il territorio per poi gestirlo. Secondo alcune fonti sarà la Difesa, con l’aiuto di guardie private americane - i contractors - a distribuire aiuti e cibo attraverso un sistema che - sulla carta - deve impedire alle organizzazioni palestinesi di usare i viveri per i propri combattenti. I pacchi verrebbero consegnati a persone che si sono registrate in precedenza: a tal fine sarebbe necessario un ruolo delle associazioni umanitarie che, però, al momento fanno muro. Anche perché il progetto prevede un ulteriore spostamento della popolazione in settori designati nel settore sud.
Lo scenario, però, che molti temono è una progressiva espulsione dei civili, costringendoli alla partenza oppure favorendone un esodo: se le condizioni di vita in un’area già stravolta dal conflitto dovessero peggiorare ancora sarebbe molto arduo restare. A ciò si aggiunge il desiderio (o minaccia) dell’ala destra israeliana, imbevuta di spinte messianiche, di riaprire le «colonie».
L’esecutivo guidato da Benjamin Netanyahu è convinto di riuscire dove fino ad oggi ha fallito. Mesi di bombardamenti, migliaia di vittime tra i civili e i guerriglieri, hanno indebolito l’apparato bellico della fazione ma non lo hanno cancellato. I miliziani si tolgono le mimetiche, le nascondono nei tunnel, si mescolano alla popolazione e colpiscono quando possono. Anche dall’interno dell’establishment militare israeliano sono emerse note preoccupate: i soldati potrebbero non bastare, la missione è difficile. E le famiglie degli ostaggi - ne sono in vita una ventina - contestano.
A rendere tutto più incerto c’è l’andamento ondivago di Donald Trump, che ieri, sabato, secondo fonti diplomatiche dei paesi del Golfo persico - lo riporta il «Jerusalem Post» - sarebbe pronto ad annunciare il riconoscimento dello Stato della Palestina. Ma dagli Usa è già arrivata una smentita. Intanto Trump da un lato è tornato a proporre l’idea di Gaza gestita dagli Usa; dall’altro, ci sono indiscrezioni che descrivono il presidente «stanco» della crisi, irritato e gelido con Netanyahu, visto come un manipolatore che ostacola le iniziative statunitensi. Il presidente è convinto che debba essere raggiunta una tregua al più presto. Non solo. The Donald è pronto a firmare intese strategiche con l’Arabia Saudita - dove sarà tra qualche giorno - senza condizionarle al riconoscimento di Israele da parte della monarchia. Del resto, la Casa Bianca ha avviato il negoziato con l’Iran sul dossier nucleare e concordato la tregua con gli Houthi in Yemen senza informare Israele. E notizie riferiscono anche che una prevista sosta del segretario del Pentagono Hegseth a Tel Aviv è stata cancellata a causa dei rapporti «freddi». Stiamo a vedere.
La Siria
La cacciata di Assad, grande amico dell’Iran e dell’Hezbollah, avrebbe dovuto rassicurare Israele e invece ha aperto una nuova fase. L’esercito di Tel Aviv ha subito creato una fascia di sicurezza in terra siriana per «contenere» gli ex jihadisti ora al potere a Damasco e manovrato per raccogliere consensi. Un’operazione agevolata dalle violenze compiute da frange radicali contro diverse comunità ostili. Israele si è proposto come protettore dei drusi: ve ne sono 700 mila in Siria e 150 mila nello stato ebraico. Tra quelli «siriani» c’è una componente disposta a cooperare ma, al tempo stesso, non sono pochi coloro che si oppongono ad un’iniziativa definita strumentale. Il risultato è altra instabilità. È, però, interessante notare che Israele ha avuto contatti «segreti» con gli ex ribelli grazie alla mediazione degli Emirati, altro protagonista della diplomazia parallela.
Yemen
L’Oman ha favorito la tregua Usa-Houthi nello Yemen, risultato parziale garantito anche dalla volontà dell’Iran di frenare la milizia sciita sua alleata. Un gesto per agevolate la trattiva sul nucleare. Sviluppi importanti che non riguardano tuttavia il fronte israeliano: i militanti hanno continuato con gli attacchi missilistici e Tel Aviv ha già risposto con incursioni pesanti. I raid aerei sono una ritorsione ma anche un messaggio indiretto rivolto da Netanyahu a Teheran ritenuta colpevole quanto i combattenti yemeniti.