Amata, odiata polizia cantonale

«Maledetti soldi». Peter li sta guardando disposti sul tavolo. Sono alcune decine di migliaia di franchi e messi così a ventaglio «sembrano un arcobaleno», dice sempre Peter, che ha appena fatto un sospiro di sollievo ora che ha saputo che sua moglie sta bene e non è in prigione, così come gli ha detto qualche ora prima il tizio che ha cercato di truffarlo. È arrivato in Ticino una quindicina di anni fa, Peter. Dopo una vita in giro per il mondo con la moglie ha deciso di passare la vecchiaia in una villa affacciata sul lago di Lugano. «Un giorno eravamo in vacanza in un hotel a Paradiso - ricorda - e guardando il panorama abbiamo deciso che qui sarebbe stata la nostra casa». Quel giorno Peter non poteva sapere che un pomeriggio di quindici anni dopo un tizio e la sua complice avrebbero cercato di raggirarlo con la truffa del falso incidente. Una truffa come quella del falso nipote che prende di mira proprio gli anziani come lui.
Ora quei soldi Peter li maledice ma qualche ora prima gli era sembrato che fossero indispensabili. Perché l’uomo e la donna che hanno cercato di estorcerglieli gli avevano detto che servivano per pagare la cauzione e far uscire di galera sua moglie che aveva investito una donna incinta e causato la morte del bimbo che aveva in grembo. Ora che è seduto in un locale del posto di polizia di Noranco e sa che sua moglie sta bene e tra poco arriverà da lui, Peter racconta tutto agli agenti e all’ispettore. Racconta e ogni volta gli vengono in mente nuovi particolari. Alcuni minuti prima, quando gli stessi agenti lo hanno raggiunto nel bar dove gli avevano dato appuntamento i truffatori, Peter era pallido in viso e scosso, molto scosso. «Mia moglie dov’è?», ripeteva al caporale che si era seduto accanto a lui. «Non risponde al telefono», ripeteva. Peter si disperava, cercava conforto, senza sapere che intanto i due truffatori erano stati appena arrestati. L’uomo è finito in manette quasi subito, la donna poco dopo, acciuffata poco lontano.
«Mi ha guardato». Per un attimo Peter si spaventa di nuovo. Il tizio al quale doveva dare i soldi per far uscire di prigione sua moglie è appena passato davanti alla sua porta scortato dagli agenti. Il suo avvocato è in un altro locale e lo raggiunge. Il legale della donna arriverà poco dopo. I poliziotti fanno avanti e indietro. Hanno sequestrato anche l’auto dei truffatori e la stanno ispezionando a fondo. Il telefono cellulare della donna squilla di continuo. Peter chiede a che ora potrà andare a casa. «Sono stato uno sciocco, ma avevo la coscienza sporca. Mia moglie oggi non stava tanto bene e non le ho detto di stare a casa». Così quando qualcuno gli ha telefonato e gli ha detto che sua moglie aveva avuto un incidente e servivano subito 150 mila franchi per farla uscire di prigione si è agitato e ci ha creduto. È uscito di casa, ha preso un taxi, è andato in banca e si è fiondato in un bar. Senza pensarci troppo. Senza pensare. Probabilmente la truffa sarebbe andata a buon fine se qualcuno non avesse chiamato la polizia, quella vera. Se qualcuno non si fosse accorto di quel vecchietto allarmato e spaesato. «È andata bene», dice Peter alla moglie che si è appena seduta accanto a lui. Sì, questa volta è andata bene, sembra dire anche la moglie a cui i truffatori hanno invece detto che era Peter a trovarsi in ospedale. Probabilmente per prendere tempo. Probabilmente per non permettere a Peter di chiamarla e credere così all’imbroglio.

«Mia moglie come sta?»
Marco e Sofia sono due degli agenti della Gendarmeria che sono arrivati per primi nel bar in cui Peter avrebbe dovuto consegnare il denaro. Lo hanno trovato seduto in un angolo pallido in viso e disorientato. Fuori uno dei due truffatori aveva già le manette ai polsi. Marco si è seduto accanto all’anziano. Gli ha preso la mano e lo ha tranquillizzato. Sofia è andata al bancone e si è fatta dare i connotati grazie ai quali poco dopo è stata arrestata anche la complice. «Mia moglie come sta? Come sta?», ha chiesto l’anziano. «Niente di quello che le hanno raccontato è vero», gli ha detto Marco, parlandogli all’orecchio. «I soldi li ha ancora con sé o glieli ha dati?». «Sono qui, con me», ha risposto Peter, che ha chiesto un bicchiere d’acqua con una fetta di limone. «Che visi gentili che avete», ha aggiunto, guardando gli agenti che a turno si sono seduti con lui. Perché non c’era solo Peter da confortare ma anche un complice da acciuffare. Una mano sulla ricetrasmittente, un’altra stretta a quella del vecchietto, Marco e Sofia hanno fatto quello che fanno tutti i giorni da quasi dieci anni a questa parte, da quando cioè sono diventati poliziotti della Cantonale «per aiutare le persone, non per sentirmi superiore agli altri», precisa Marco. Sofia, che è mamma di un bambino piccolo e moglie, la pensa allo stesso modo. Si vede subito che tra loro c’è intesa. Sintonia.
Si vede non appena iniziano il turno. Alle 12.15 di un giorno qualunque di marzo e per prima cosa devono andare a Molino Nuovo. Ad aspettarli c’è un uomo che avrebbe dovuto presentarsi a un interrogatorio a Mendrisio ma non ci è andato. Così sono andati a prenderlo per portarlo davanti al procuratore. La pattuglia si ferma nel luogo prestabilito. Alcuni secondi dopo un uomo si avvicina. «È lui», dice Marco, scendendo dal veicolo. «Non dovevate venire qui, ho una reputazione nel quartiere», sottolinea subito l’uomo, salendo in auto. Ma poi si corregge subito. «No, no lo capisco, è il vostro lavoro, scusate». Marco si siede dietro con lui e iniziano a parlare del più del meno. L’atmosfera è distesa e il viaggio scorre liscio. «Ognuno di noi è diverso, come è normale che sia, c’è la persona che è piu introversa e quella che è più cordiale. Siamo come tutti gli altri anche se abbiamo la divisa - precisa Marco, dopo aver lasciato l’uomo ai colleghi di Mendrisio - Io ad esempio preferisco sempre parlare e mettere a loro agio le persone». Sofia accende il motore e annuisce. Anche lei è così. Anche se è già capitato «che qualcuno mi ha attaccato con frasi poco eleganti solo per il fatto di essere donna», spiega. Amata, odiata polizia. Quando si ha bisogno di lei, non si vede l’ora che arrivi. Quando non è invitata la si avverte come una presenza fastidiosa. Marco e Sofia lo sanno e convivono tutti i giorni con questa asimmetria.

Il muretto e l’alcol test
Mancano quindici minuti alle 14 quando dalla centrale arriva la segnalazione che i due poliziotti devono declinare, perché in quel momento in auto hanno appena superato Capolago. Due minorenni sono stati sorpresi a rubare dentro un grande magazzino di Lugano. «Non faremmo in tempo ad arrivare», sottolinea Sofia, prima di precisare che a intervenire è sempre la pattuglia più vicina. Tutte le volanti sentono e vedono comunque tutto. Sentono alla radio e vedono su un tablet tutto quello che sta succedendo in Ticino. A raccogliere e a smistare gli interventi è la Centrale comune d’allarme di Bellinzona (CECAL) . Ed è proprio la Centrale, quindici minuti dopo, a chiedere alla pattuglia di Marco e Sofia se riescono a raggiungere una carrozzeria a Lugano. Un uomo sta noleggiando un veicolo, dopo aver consegnato il proprio che ha ammaccato scontrandosi con un muretto nel Sopraceneri. Una circostanza che avrebbe dovuto affrontare chiamando la polizia. Cosa che invece non ha fatto. Perché?
A scoprirlo dovranno essere proprio Marco e Sofia che arrivano sul posto, scendono dall’auto e iniziano a parlare con l’uomo. «Ho sbagliato a non chiamare, è vero», si scusa subito la persona. «D’accordo ma adesso facciamo l’alcol test», precisa Marco. «Non c’è problema - risponde l’uomo - tanto non ho bevuto». L’esito è però positivo. La quantità misurata è da revoca immediata della patente. «Impossibile, non ho bevuto, cioè sì, ho bevuto una birra senz’alcol», si giustifica l’uomo. «Allora adesso facciamo l’analisi del sangue», è la risposta dell’agente. «Nessun problema», è la risposta, cortese e un po’ incredula. Perché chi è stato pizzicato positivo all’alcol test continua a non capire, a non capacitarsi come sia possibile.
La pattuglia che poco prima aveva accolto l’uomo di Molino Nuovo che non si è presentato davanti al procuratore questa volta viaggia in direzione dell’ospedale Civico. Sofia chiama il Pronto soccorso per avvisare dell’imminente arrivo. Dietro Marco come al solito fa conversazione. Un odore forte di alcol si sprigiona quasi immediatamente nell’abitacolo. Pochi minuti dopo a spalancarsi sono le porte dell’ospedale. L’uomo dà i propri dati e la tessera sanitaria alla signorina dell’accoglienza. Poi segue i poliziotti in un separé che si trova poco lontano. Arriva un’infermiera e poi subito dopo una dottoressa. Mentre gli prelevano il sangue e gli fanno alcune domande di rito, Marco e Sofia riempiono alcuni fogli. Tutto dura pochi minuti. Il sangue riempie tre fialette che vengono messe in una scatoletta di cartone. «Tempo qualche giorno e avrà i risultati, nel frattempo non può guidare», spiega Marco. «E adesso come faccio a tornare a casa?». «La riaccompagnamo noi», chiarisce l’agente. E così avviene. Prima di arrivare a destinazione, l’uomo si incupisce però un po’. «Cosa penseranno i vicini vedendomi arrivare con la polizia?».

I fiori e il cane antidroga
Amata, odiata polizia. Nuovamente. Marco e Sofia si guardano. Nulla di nuovo, neppure oggi. Anche se per niente al mondo cambierebbero mestiere. Amano quello che fanno. E Sofia si fa in quattro per conciliare il suo lavoro con l’essere mamma e proprio oggi Marco festeggia l’anniversario di matrimonio. C’è tempo per fermarsi davanti a un fiorista, prima di imboccare l’autostrada in direzione di Camorino. Dove ad attendere i due agenti ci sono i colleghi della Gendarmeria di Bellinzona, ai quali Marco lascia l’incarto dell’uomo che ha centrato un muretto senza avvisare la polizia. Nella saletta si affacciano due agenti della cinofila. Dentro a un furgone posteggiato nel piazzale due pastori malinois non vedono l’ora di esercitarsi. Cosa che avviene per qualche istante con successo. L’esercizio consiste nello scovare una sostanza stupefacente che è stata nascosta appositamente in un veicolo. Nascosta e trovata in pochi attimi.
Marco e Sofia devono ripartire, non c’è tempo da perdere. Quando la pattuglia arriva a Lugano, arriva anche una nuova segnalazione. Sembra che un anziano è stato vittima di una truffa. I due agenti trovano Peter in un angolo di un bar. Ha l’espressione smarrita e l’aria affranta. Ancora non sa che sua moglie sta bene e che maledirà quei soldi che gli sono stati estorti con l’inganno. Anche se, a guardare bene, qualche ora dopo messi a ventaglio sul tavolo sembrano proprio un bellissimo arcobaleno.