«Anche io come Gobbi alticcio in A2, l'importante è ammettere gli errori»

Presidente del Centro per 8 anni, deputato in Gran Consiglio per quattro legislature, Giovanni Jelmini è ricordato per il suo acume politico, la sua ironia e autoironia, ma anche per un incidente che lo coinvolse una decina di anni fa mentre, alticcio, circolava sull’autostrada A2. «Ho pagato senza sconti di pena», rammenta il 63.enne avvocato e notaio.
Signor Jelmini, in questo momento qual è il consigliere di Stato che invidia di meno?
«Il capo del Dipartimento delle finanze, che si trova di fronte a una situazione disastrata e resa ancora più difficile dall’approvazione delle due iniziative sui premi di cassa malati, che peseranno sui conti del Cantone e dei Comuni per più di mezzo miliardo all’anno».
Il Consiglio di Stato avrebbe potuto evitare di ritrovarsi in questa situazione?
«Quantomeno avrebbe potuto prevedere l’esito positivo delle due iniziative e prepararsi. Invece mi sembra che non abbia fatto nulla, oltre a essere stato già poco attivo e poco presente nella campagna di votazione».
Sono stati due partiti di governo a presentare le iniziative.
«È stato poco responsabile da parte loro, perché le conseguenze erano note. Secondo me, chi avanza proposte che incidono in modo pesante sui conti dello Stato dovrebbe, per onestà intellettuale, dire anche ai cittadini come intende far fronte alle proposte. Ciò che, è vero, almeno in parte i socialisti hanno fatto».
La loro soluzione è sempre la stessa, tartassare i ricchi.
«Sì, con il rischio che poi questi ricchi si stanchino e se ne vadano a Zugo o all’estero».
Ad ogni modo i premi di cassa malati sono un problema.
«Certo che lo sono. A me sembra che non sia stato fatto molto per contenerli, dall’inizio di questa legislatura. Anche gli interventi dei parlamentari ticinesi a Berna sono stati deboli».
C’è anche il fatto che per non scontentare nessuno non si taglia da nessuna parte, ciò che dovrebbe fare il consigliere di Stato del Centro.
«Sono d’accordo, anche Raffaele De Rosa ha le sue responsabilità. Ai miei tempi si parlava di un governo collegiale, come è sempre stato in Ticino e in Svizzera. Oggi invece di collegialità non se ne vede più, ognuno pensa ad amministrare il proprio dipartimento. Dico “amministrare” perché non mi sembra di vedere visioni politiche a medio-lungo termine».
È un problema di persone?
«No, non è un problema solo ticinese, bensì mondiale. C’è grande difficoltà ad affrontare le sfide future. Si pensa solo all’amministrazione quotidiana. È un errore. Perché il mondo va avanti, ci sono dei cambiamenti. Anche lo Stato deve essere capace di cambiare».
Il Consiglio di Stato sarà immobile ma anche il Gran Consiglio non brilla.
«Il legislativo è un capitolo a sé. Perché al di là della frammentazione politica, che non aiuta a prendere decisioni, non mi sembra che le preoccupazioni dei parlamentari siano sempre così nobili. Mi sembra che molti siano impegnati a fare battaglie personali più che ad affrontare le sfide del nostro cantone».
Secondo lei ha fatto bene il presidente del Centro Fiorenzo Dadò a rendere pubblico l’incidente del consigliere di Stato Norman Gobbi?
«Se ci sono aspetti da chiarire, è giusto che vengano chiariti. Detto ciò, non ritengo utile investire energie su casi che comunque non danno nessuno contributo allo sviluppo o alla risoluzione dei veri problemi del Paese».
Lei avrebbe agito come Dadò?
«Non lo so, io sono un po’ diverso da Dadò…».


Viste le battaglie sull’imposta di circolazione o sui radar, la denuncia dell’incidente di Gobbi può essere vista come parte di un regolamento di conti?
«Sicuramente l’impressione è quella. Ripeto, è legittimo sollevare dubbi su episodi sospetti, ma per me non è giustificato che nel corso della legislatura ci si concentri su questo. Anche perché si rischia di rallentare o ostacolare quelli che sono i compiti primari del legislativo».
Lei crede che il «caso Gobbi» sia chiuso qui?
«Glielo dico molto espressamente, non mi interessa. Io sono preoccupato di altro, a partire da come lo Stato riuscirà a proporre delle misure per far fronte a quel pozzo senza fondo che sono le casse cantonali e comunali. Il compito dei parlamentari non è tanto di approfondire questioni che lasciano il tempo che trovano quanto di proporre riforme sostanziali nell’amministrazione, di avanzare proposte per la formazione, per l’occupazione… Abbiamo un’economia stagnante, un turismo che avanza per inerzia... Abbiamo tanti problemi da affrontare».
Intende dire che, se si volesse attaccare Gobbi, sarebbe meglio farlo sulla riforma della polizia che sul suo incidente?
«Esatto. Il vero problema non è l’incidente di Gobbi ma la riforma e, se necessario, il potenziamento della polizia. Gli ultimi sondaggi non sono molto rassicuranti. La politica deve cercare di capire a cosa è dovuto il disagio e quali misure proporre per riportare tranquillità. La sicurezza rimane una carta da visita del nostro Paese, è quella che attira l’interesse di persone estere che decidono di trasferirsi da noi, spesso portando un contributo alle finanze del nostro Paese. La polizia è un servizio indispensabile che deve essere tutelato».
La gente pare essere più interessata all’incidente che alla riforma.
«La gente si lascia attrarre dal gossip, è un po’ il difetto della nuova metodologia di comunicazione. Il mondo va avanti e non possiamo fermarlo, ma possiamo cercare di utilizzare meglio gli strumenti che ci vengono proposti. Oggi invece vediamo spesso uscire informazioni che sono parziali, se non false, ma che però influenzano molto i cittadini».
Oggi è più facile condurre battaglie personali.
«Quando io insinuo un sospetto, il sospetto rimane. Può essere rettificato quante volte si vuole, ma il sospetto rimane».
Come Gobbi, anche lei nel 2014 conquistò l’attenzione mediatica per un incidente sotto l’effetto dell’alcool.
«Ma credo di averla gestita in maniera corretta. Ho avuto questa disavventura in macchina e ho subito riconosciuto il mio errore. Gli errori si pagano».
Si pagano anche caro.
«Oggi se un’automobilista commette un errore viene trattato quasi come un criminale. C’è un accanimento, in parte corretto, in parte ingiustificato. Vediamo persone che distruggono le città e dopo un paio d’ore sono di nuovo in libertà, mentre l’automobilista che supera il limite di qualche chilometro viene subito condannato. Io ho dichiarato subito il mio errore e credo che questo abbia suscitato tra i cittadini anche un certo senso di empatia».
Tutti sbagliamo.
«E altrimenti tanto vale abolire tutte le feste...».
Il problema del politico è che se sbaglia diventa un caso di Stato.
«Il politico è già additato comunque. Se sbaglia, deve essere subito chiaro. In questo modo risolve già il 90% dei problemi. È chiaro che se uno ruba non può più occuparsi di amministrazione pubblica. Però gli incidenti è meglio confessarli, sono cose che capitano».
Gli elettori perdonano gli incidenti, come dimostra anche il caso di Filippo Lombardi.
«Sì, e poi quando l’accanimento è eccessivo, si ha anche l’effetto contrario. La gente finisce per simpatizzare con chi ha fatto l’incidente».
Gobbi pagherà conseguenze elettorali?
«È difficile prevedere il comportamento degli elettori ma non credo che pagherà per l’incidente, o almeno non in modo tale da non consentirgli la rielezione».
Da parte sua Dadò si profila come il giustiziere del parlamento. Gli gioverà?
«Dadò è sicuramente un politico coraggioso, capace di portare avanti delle battaglie. Dopo, ecco, non tutte le battaglie che porta avanti le farei anch’io.Ma non bisogna vedere Dadò solo per le sue querelle personali, ha fatto anche tante battaglie in ambiti molto delicati».
Si può dire che gli piace lo scontro?
«Mi mette in difficoltà perché non posso e non voglio parlare male del presidente del mio partito. Posso dire che io sono diverso, non ho mai avuto questo stile né questa preoccupazione, perché in un sistema politico come il nostro bisogna cercare il consenso e lo si può fare solo mantenendo un dialogo e un confronto con gli avversari politici».
Il Centro è in buona salute?
«Sì, ed è merito anche di Dadò, a livello ticinese. A livello svizzero chi ha qualche problema in più oggi è il PLR. Io sono dell’avviso, e lo sono sempre stato, che un solo partito forte al centro sarebbe più efficace degli attuali due partiti. Una volta c’era la questione dell’ispirazione cattolica, oggi non c’è più. Sul 90% delle questioni i due partiti votano insieme».
Lei tornerà a fare politica attiva?
«No, quando vedo persone della mia età che tornano a fare politica mi fanno un po’ sorridere... Ci sono giovani molto validi, anche più di noi, il nostro compito deve essere quello di motivarli. Sarebbe bello se i partiti riprendessero a fare cultura politica, perché la crisi politica è la crisi della cultura in generale».