Caro Joe, conosce «ul signur Indurmentaa»?

Dear Mr Mansueto, le avranno certamente riferito che qui, tra accuse di presunta inadeguatezza e tardive reazioni scandalizzate, nella politichetta cittadina stanno volando gli stracci. E che tutti, sia chi non capisce o finge di non capire oggi sia chi non ci ha capito o non ci ha voluto capire nulla dall’inizio di questo pasticcio non stanno proprio facendo una bella figura.
Lei mi dirà: «Ma che cosa c’entro io in tutto questo?». La risposta è semplicissima: l’annuncio del suo progetto di uno stadio di proprietà a Chicago del valore di 650 milioni di dollari ha scatenato invidie e appetiti atavici oltre un pizzico di legittima frustrazione. Badi bene, caro Joe, io sono dalla sua parte e seppure con le dovute riserve su certi comportamenti poco edificanti dei suoi luogotenenti luganesi condivido pienamente il suo pensiero di fondo: perché insistere di pagare ciò che altri non le hanno mai chiesto di pagare? La sua partita lei l’ha già vinta, ma temo però che questa improvvisa recrudescenza polemica possa rappresentare un colpo basso per la sua sofisticata strategia di manovra.
Mi permetta di scoprire le carte: lei non ha certo scelto Lugano per la vista dal San Salvatore, per le palme che ormai sono vietate, per i grotti o il clima, bensì solo perché aveva studiato e conosceva benissimo la situazione che l’attendeva. Diversa da altre - Como ad esempio, dove un sindaco dal nome che è tutto un programma sarebbe stato pronto a dare via libera a chiunque si fosse fatto carico dei costi completi dell’opera - su cui avrebbe potuto gettare lo sguardo. Qui oltre trent’anni di colpevole immobilismo, condito da molte bugie avevano invece creato una fame di decisione e di azione persino più importante della necessità di reperire i mezzi per soddisfarle.
Da noi si direbbe che lei ha trovato ul Signur indurmentaa, e che il contesto e il momento sarebbero stati perfetti per accendere la miccia. Soltanto quello. Lei l’ha capito e con i suoi uomini l’ha accesa, dando energia e sostanza a un’idea di collaborazione tra pubblico e privato - in salsa molto ticinese, in cui cioè se c’è da guadagnare qualcosa tocca sempre prima al privato, se c’è da rimetterci sarà una questione sempre e soltanto per il pubblico - e spingendo al limite una visione che non poteva non sfociare in un referendum. Pensi che all’epoca mi ero sforzato sino all’ultimo di far capire anche ai miei colleghi che questo passaggio… politico per lei non costituiva affatto una minaccia né tantomeno una trappola, ma piuttosto un’opportunità per creare i presupposti di una preziosissima garanzia.
È andata proprio così, con molti - tra cui il sottoscritto - che di fatto si sono ritrovati costretti a dare il loro consenso per evitare di essere etichettati quali avversari dello sport in città. Si figuri, caro Joe: ho vissuto di calcio per quasi quarant’anni e come avrei potuto quindi oppormi al suo disegno? Oggi alla luce delle conseguenze che stanno emergendo e che non sono state sufficientemente esplicitate non esito a dire che me ne pento, ma è troppo tardi. Lugano avrà il suo stadio «bianconero» e le nostre imposte ci renderanno gli unici proprietari del suo giocattolo. Almeno sino a quando se ne sarà stancato. Si fidi, succederà proprio così perché succede sempre così. Ma non gliene voglio, caro Joe. A patto che mi faccia una promessa: nel suo lussuoso stadio di Chicago battezzi uno spazio come Lugano lounge ed estragga a sorte ogni anno dall’elenco dei contribuenti della città due fortunati per un weekend nella tana dei Fire. Se lo saranno meritato, mi creda.