L'intervista

«Chi dice che in Ticino non ci sono librerie?»

L'editore momò Gabriele Capelli racconta la sua avventura da «one man band» della carta stampata
Andrea Bertagni
Andrea Bertagni
03.11.2024 06:00

Non pubblica quasi mai più di cinque libri l’anno. Ma la sua casa editrice, che porta il suo nome e cognome, la conoscono (quasi) tutti. Non solo nel Mendrisiotto. Perché Gabriele Capelli nel corso degli anni ha saputo ritagliarsi uno spazio importante nell’editoria ticinese. All’apparenza schivo, «non amo essere fotografato, i riflettori devono essere accesi sui miei libri e sui miei autori, non su di me», legge tutto quello che gli arriva, «a patto di essere in linea con la casa editrice, quindi solo narrativa e saggistica» e poi fa le sue scelte. «La regola è abbastanza semplice. Se alla terza pagina già mi annoio...». Questo non vuol dire che non possano piacergli più di cinque titoli l’anno. «Ma a un certo punto bisogna fare delle scelte», ammette, seduto su una delle poltrone della Filanda di Mendrisio.

L’inizio nel 1996

Ed è proprio nel Magnifico Borgo che è iniziata la sua avventura di editore. «Era il 1996 - ricorda - quando ho aperto in piazza Borella una piccola libreria specializzata in architettura. Mi è sempre piaciuta l’architettura. Ma a Mendrisio quel tipo di libreria faticava, come del resto faticherebbe ovunque. Così, ho iniziato a pubblicare i primi libri, sempre nel campo delle arti. Libri che hanno ricevuto anche dei premi. Il passo successivo, attorno al 2001, è stata la narrativa». Da lì in poi, Capelli non si è più fermato, offrendo una casa letteraria a molti autori. Da Carlo Silini a Olimpia De Girolamo, da Luca Brunoni a Flavio Stroppini, solo per fare alcuni nomi. «Ma sono convinto che in Ticino esistano ancora molti altri scrittori e scrittrici di talento che non hanno ancora deciso di pubblicare un libro», annota, sicuro.

Gabriele Capelli Editore è Gabriele Capelli. Non ha dipendenti. Fa tutto da solo. «Tranne quello che non so fare, allora esternalizzo - spiega - la revisione dei testi, ad esempio, non la faccio io. Se sono cose semplici, mi arrangio, ma comunque la passo sempre a qualcuno per un controllo finale». Anche la grafica delle copertine è fatta in casa. «Avendo frequentato una scuola d’arte, di formazione sono infatti architetto d’interni, la grafica delle copertine ormai la faccio internamente, ma seguendo le impostazioni di base dei grafici con cui lavoravo. Non accadeva così con i libri d’arte per i quali mi appoggiavo appunto a professionisti e che mi hanno fatto vincere anche diversi premi negli Stati Uniti. Ma nella narrativa la grafica, alla fine, si riduce alla copertina. Col tempo ho imparato che un libro eccezionale dal punto di vista grafico interessa solo agli appassionati di grafica. I lettori vogliono un buon libro che nel limite del possibile costi poco. È anche per questo che bisogna fare attenzione a investire troppe risorse quando poi un romanzo lo devi vendere a 18 franchi».

I gusti del pubblico

Il pubblico e i libri, un binomio imprescindibile. Perché senza il primo non esisterebbero i secondi. Ma cosa distingue un libro bello da uno brutto? Il pubblico? «I gusti del pubblico non sono mai uguali. Cambiano - risponde l’editore - anche se in realtà si va un po’ avanti secondo le mode. Faccio un esempio. Quando è uscito Harry Potter hanno pubblicato quasi esclusivamente libri su maghetti e streghe per cinque anni. Quando è stata la volta de Il Signore degli anelli, ecco che sono comparsi i fantasy». Bastano insomma alcuni casi editoriali e poi televisivi per decretare il successo? «Una fetta importante la fanno gli uffici marketing delle case editrici, parlo ovviamente di quelle grosse, che sono orami diventate quasi più importanti dell’editor o comunque del redattore capo che normalmente decide. Inoltre, quando, come nel caso dell’Italia, i gruppi editoriali sono praticamente due, si crea una sorta di duopolio che condiziona il mercato. Io sono estremamente a favore delle piccole case editrici, anche se fanno estrema fatica ad arrivare al pubblico finale per la mancanza dei mezzi di cui sopra».

E poi c’è la Gabriele Capelli Editore. Che pur essendo una piccola casa editrice ha comunque uno zoccolo duro di lettori, di affezionati. «Credo che ogni casa editrice abbia una sua fetta di pubblico. L'importante è cercare di non uscire dalla propria linea. Anche io, negli anni, «sono uscito dai binari», ci mancherebbe. Ma nel complesso mi sono sempre fatto guidare dal mio gusto personale e dai consigli che ricevo, che valuto e ascolto, perché sono molto importanti».

La promozione di un libro

Per il resto, per promuovere un libro, una piccola casa editrice, che non ha la potenza di fuoco di quelle molto più grandi, può affidarsi al passaparola, ma anche ai social media. «Una volta ho provato ad acquistare spazi su un giornale. Mi è costato una follia e non ho avuto la sicurezza che quel giorno fosse effettivamente vista. Con i social media vedo invece la differenza. La vedo dagli accessi al sito internet della mia casa editrice. Se faccio pubblicità sui social media mi accorgo che gli accessi aumentano. Se non la faccio, vedo il contrario». La potenza di internet ha anche fatto in modo (un esempio tra molti) che titoli della Gabriele Capelli Editore venissero acquistati anche in Sardegna, giacché la casa editrice di Mendrisio è distribuita anche in Italia. «È stata una piacevole sorpresa - afferma l’editore – perché significa che la promozione dà i suoi frutti».

Quel che è certo è che per avere successo in Ticino non serve vendere migliaia di copie. «Bastano 600-800 copie, poi certo dipende dal titolo e dall’autore. Se un autore è radicato sul territorio o già famoso è più semplice vendere e si possono superare le migliaia di copie. Bisogna però rendersi conto che abbiamo un bacino veramente piccolo di lettori. Nonostante ciò, ci sono molte librerie in Ticino, a Mendrisio addirittura tre, ed è un buon segno».

La mancanza delle traduzioni

Diverso è invece il discorso per quanto riguarda le traduzioni di autori svizzeri tedeschi o svizzeri francesi. Traduzioni non numerosissime, al contrario. Che forse potrebbero essere facilitate maggiormente così da conoscere di più anche la letteratura a Nord delle Alpi. «Bisogna tenere presente che tradurre richiede risorse importanti. Ecco perché i libri tradotti dal tedesco o dal francese sono pochi. Farlo con tutti è impensabile. Quindi si va a vedere quali potrebbero funzionare e si leggono le proposte di chi lavora nel mondo delle traduzioni. Poi non è detto che un libro accolto bene dai lettori di lingua tedesca o francese potrà funzionare anche in italiano o addirittura in Italia».

Sì, perché l’Italia sarebbe lo sbocco naturale per i libri ticinesi. Stessa lingua, stessa cultura. Eppure, le difficoltà non mancano. «Per distribuire in Italia serve una rappresentanza fiscale, una società sul territorio italiano. È complicato e caro. Lo faccio, ma non è evidente. Però è chiaro che il mercato di riferimento è quello».

Difficoltà e complicazioni per chi fa questo mestiere insomma non mancano. Non solo perché si legge meno, si dice. Ma anche perché nessuno sa quale sarà il futuro della carta. Un discorso che non vale solo per i libri, del resto. Ma anche per i giornali. «Il mondo sta cambiando in fretta, però per il momento la carta tiene. Rispetto per esempio alla musica, dove il cambiamento è stato quasi immediato, con il libro bisogna comunque fermarsi, prendersi del tempo. Vedo dunque un passaggio più lento, anche se con l’arrivo dell’intelligenza artificiale e di altre tecnologie, sinceramente non ho la più pallida idea di cosa accadrà tra vent’anni». Non resta dunque che attendere. Leggendo un buon libro.

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