L'intervista

«Da russa, vi dico chi è Vladimir Putin»

La giornalista Anna Zafesova non risparmia le critiche al Cremlino e prevede un «baratro» per la Russia se la guerra non finirà presto
© GAVRIIL GRIGOROV / SPUTNIK / KRE
Francesco Mannoni
08.06.2025 12:00

Anna Zafesova, giornalista russa (nata a Mosca) esperta del mondo post-sovietico e autrice di un saggio storico-riassuntivo su la «Russia l’impero che non sa morire» (Rizzoli, 203 pagine), non è molto ottimista: «La guerra potrebbe finire più rapidamente se ci fosse stata una risposta più efficace, se l’Occidente non avesse esitato all’inizio quando le truppe russe erano state respinte da Kiev. Allora probabilmente si poteva spingere Vladimir Putin se non a ritirarsi almeno a fermarsi. Ora le incognite sono parecchie. La guerra finirà, ma come?»

Lei ritiene possibile la fine della guerra a breve?
«Per me potrà finire solo con un collasso del regime russo. È una guerra che è stata iniziata da Mosca e Mosca la deve far finire. L’unico modo è quello di premere sulla Russia con altre sanzioni economiche, ulteriore isolamento diplomatico, pressioni militari affinché non possa più reggere la guerra e molli com’è successo in Afghanistan. Ma la guerra va finita altrimenti la Russia andrà verso il baratro».

Quali potrebbero essere le ragioni del collasso del regime di Putin?
«Una delle ipotesi è costringere non tanto Putin ma quelli che lo circondano a ribellarsi. Cosa che non avverrà perché in un certo senso quella russa è una monarchia e molti hanno anche paura del caos che potrebbe seguire a una dipartita (in un modo o in un altro) di Putin. Gli oligarchi russi devono valutare se il rischio di ribellarsi a Putin sia minore che tenerselo per altri dieci anni. Invece di salvarsi in ordine sparso come stanno facendo finora fuggendo in varie parti del mondo».

Quali prospettive rimangono?
«Direi la variabile impazzita di Donald Trump, ma anche questa rischia di rivelarsi una bolla di sapone. Trump ha fretta, vuole risultati immediati, non ha pazienza per lunghe trattative e vuole sempre essere al centro dell’azione».

Abbandoneranno l’Ucraina al suo destino?
«Il sostegno militare all’Ucraina e le pressioni economiche alla Russia possono accelerare la fine della guerra ma non risolvere il conflitto».

Adesso Trump è interessato all’Ucraina che può dargli cose che rendono tanto»

L’opera di Trump è indispensabile per l’Ucraina?
«Trump s’è proposto tante volte come mediatore equidistante anche se durante la tregua i russi hanno bombardato i civili in Ucraina la domenica delle palme. Trump ha detto che è stato un errore. Putin non vuole la pace ma la guerra, e Trump inizia a fare la voce grossa e com’era prevedibile si scaglia contro Putin come si era scagliato contro Zelens’kyj».

È possibile un voltafaccia dopo l’accordo fra America e Ucraina per lo sfruttamento delle terre rare?
«L’accordo per le terre rare è stata un’idea di Zelens’kyj per riuscire ad ottenere l’appoggio di Trump. Adesso Trump è interessato all’Ucraina che può dargli cose che rendono tanto».

Cosa ancora tiene in vita l’impero russo?
«Quello che tiene in piedi l’impero russo è in buona parte il ricordo del medesimo, il mito dell’impero stesso che si vuole ricostruire e che sembra un obiettivo politico o geopolitico: è anche una questione di identità e di stati russi che faticano a costruirsene una nuova. Abbiamo visto altre sindromi imperiali nella storia: qui stiamo assistendo ad una versione alquanto traumatica. Nel ‘91 sembrava che l’Unione sovietica fosse collassata in maniera non violenta, ma era una violenza a scoppio ritardato».

In che senso?
«In soli tre decenni l’Ucraina ha dimostrato che la storia non è una condanna, e che si può uscire da un passato che sembrava una maledizione. Abbiamo visto vari Paesi cambiare: l’Ucraina e i Paesi baltici hanno scelto la strada dell’Unione europea, la Georgia sta facendo un percorso contrastato; abbiamo visto anche Paesi dell’Asia centrale modernizzarsi, altri tornare a forme di Governo arcaiche e autoritarie. La Russia ha provato a cambiare senza troppa convinzione per poi fare marcia indietro: resta da capire quanto il rifiuto di un modello occidentale democratico fosse stato della classe dirigente, quanto dell’opinione pubblica, o se in entrambi ci fosse convergenza.»

Il mito sovietico si è rimescolato con dei pezzi di mito della Russia imperiale degli zar in una ideologia contradditoria il cui risvolto pratico è stata una guerra d’invasione

Il regime di Putin, tende a ricostruire i fasti di un passato che sarebbe meglio cancellare?
«Il problema del cocktail allucinogeno di Putin è che non sia riuscito a costruire un progetto presente e futuro. Il ritorno al passato raggiunge quasi vette comiche se non fossero tragiche. Questa ossessione avviene in mancanza di un nulla di fatto, non essendo riusciti a costruire un’idea di futuro che per gli ucraini è stata rappresentata dall’Europa, ben felici di lasciarsi alle spalle l’Unione Sovietica per diventare europei sia a livello di benessere materiale, di protezione dei diritti a livello sociale».

Neanche i giovani sono una speranza?
«Gli studenti sovietici avevano pensato all’Europa nel 1991, ma l’esistenza di un mito forte nella costruzione di una nazione ha reso inutile quello in pronta consegna: il mito sovietico si è rimescolato con dei pezzi di mito della Russia imperiale degli zar in una ideologia contradditoria il cui risvolto pratico è stata una guerra d’invasione. A questo punto si potrebbe dire che la Russia ha avuto paura di affrontare il futuro e ha preferito cercare una soluzione per tornare grande come una volta».

La popolazione vuole tornare al passato?
«I russi sono più di 140 milioni di persone ed è impossibile sapere cosa pensano tutti. Sicuramente una parte ha paura, condizionata dall’epoca sovietica, che è riemersa in modo rapidissimo. Una libertà seppure relativa non è bastata a sradicare questo riflesso. Tanti russi si sono prontamente allineati; altri russi condividono la visione dell’Ucraina come un pezzo di Russia. L’idea di base di Putin con la quale ha aggredito l’Ucraina, nel 2022 era che gli ucraini sono dei russi sottratti alla madre patria dai nemici occidentali, ma bastava andare a Kiev per vedere che non era così».

Possiamo supporre pensando alla irriducibilità di Putin e ai repentini cambi d’umore di Trump, che il destino del mondo è in mano a due irresponsabili?
«Una visione pessimista dei fatti potrebbe davvero farlo pensare, ponendo dei grossi interrogativi su dov’è il buco dei nostri sistemi. C’è da pensare non solo al sistema elettorale, ma anche al sistema mediatico, a come può azzerare una democrazia. Per fortuna il mondo non è in mano soltanto a questi due che potrebbero anche annullarsi a vicenda».

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