Il racconto

Dalla leggenda alla storia

Gli abitanti delle «Case dei Pagani», l'ultimo rifugio di coloro che avevano rifiutato la nuova religione cristiana nelle nostre valli
Massimo Cappon
28.05.2023 23:59

Nelle nostre valli «il cristianesimo venne tardivo e tutto porta a credere che la conversione non si fece che gradatamente. Lo prova la persistenza di riti e pratiche rimaste inalterate fino ad epoca relativamente recente in valle di Blenio. Ma quando i pagani furono ridotti a poche famiglie scomunicate, ripararono nelle parti più inaccessibili dei monti e lassù si fortificarono». 

Sono le parole con le quali un giovane Mosè Bertoni, destinato a diventare il Grande Saggio del Paraguay, immaginava gli antichi abitanti delle «Case dei Pagani», da lui considerate l’ultimo rifugio di coloro che avevano rifiutato la nuova religione cristiana, dilagata alla fine dell’epoca romana anche tra le montagne alpine. Bertoni scriveva di quelle «solitarie abitazioni costruite sopra dirupi vertiginosi» che costellavano la sua valle, da Dongio a Malvaglia, nel 1883, per il Bollettino storico della Svizzera Italiana, e trasformava così le antiche leggende popolari della valle di Blenio nel più grande mistero archeologico del Ticino. Un frammento di storia minore ma affascinante, che ha sfidato per un secolo e mezzo storici e archeologi, confrontati con pochissimi reperti e dati certi sui quali costruire le proprie teorie. 

Nei primi mesi dell’anno scorso è partita la nuova e più moderna ricerca sulle Case dei Pagani, patrocinata dal Museo storico etnografico di Lottigna. Sono stati prelevati 12 frammenti di legno e calce nei siti di Dongio, Malvaglia, Marolta e Chiggiogna (l’unico in Leventina) e sono stati inviati al laboratorio universitario di Poznan, in Polonia, per una datazione al radiocarbonio. L’obiettivo era quello di avere finalmente una linea guida per una lettura storica dei siti rupestri ticinesi. 

Le Alpi tra guerre e invasioni

«Bertoni viveva in un’epoca nella quale era ancora vivo il racconto orale, il ricordo, non sappiamo quanto diretto, di quegli anni lontani», spiega Massimo Delorenzi, storico e insegnante, uno dei promotori della iniziativa. «I secoli tra la fine dell’età romana e l’anno Mille vedono un rivolgimento di passaggi culturali e di popoli anche lungo tutto l’arco alpino. Arrivarono fin qui i Longobardi, ci furono successive infiltrazioni dal Nord, una serie turbinosa di eventi che certamente crearono nuove dinamiche sociali. Descrivere lo scenario nel quale furono costruite e abitate le case rupestri fortificate della valle di Blenio è una autentica sfida, perché questo è anche il capitolo di storia delle Alpi del quale sappiamo di meno».

La prova decisiva del radiocarbonio

L’appuntamento tanto atteso arriva finalmente mercoledì 24 maggio, a Lottigna, dove non a caso un intero piano del Museo etnografico è dedicato all’eredità umana e scientifica del cittadino più illustre della valle. Quel Mosè Bertoni, anarchico, esploratore, botanico, visionario, che fondò una nuova città di coloni ticinesi nella selva sudamericana del Paraná e che per primo aveva guardato quelle solitarie rovine di pietra incastonate tra le rocce della valle di Blenio con gli occhi dello scienziato. Cristian Scapozza, docente di Geomorfologia applicata nell’Istituto Scienze della Terra, incaricato di preparare e far datare i campioni, si prepara a leggere i risultati calibrati alla Supsi, che nessun altro ancora conosce. Ci sono Massimo Delorenzi, naturalmente, il coordinatore del progetto di ricerca, e Mark Bertogliati, il tecnico specialista in dendrocronologia che si è arrampicato tra le rocce e ha prelevato i reperti da analizzare. In collegamento da Zurigo attende i risultati l’architetto svizzero Lukas Högl, tra i primi studiosi di quelle solitarie rovine e un punto di riferimento storico nella loro interpretazione. E c’è l’emozione delle grandi occasioni, perchè l’analisi potrebbe finalmente dare una risposta ai tanti interrogativi ancora aperti. 

La datazione venne tentata una prima volta 40 anni fa in due siti, ma non risultò conclusiva, offrendo scenari molto diversi: dal IV al VII secolo per la fase più antica di Malvaglia, (in parte rimaneggiata sino al 1400), IX-XI a Dongio. Chi erano dunque i misteriosi abitanti arroccati sulle rocce della valle di Blenio? Quando e perché vennero costruite quelle mura? 

La valle come ponte tra nord e sud dell’Europa

Per capirlo, bisogna tornare indietro nel tempo. Tra i primi secoli dell’era cristiana e l’anno 1200, nel Medioevo alpino, la valle di Blenio era probabilmente più importante di oggi dal punto di vista della comunicazione e degli scambi tra il Nord e il Sud delle Alpi. Fin dall’epoca romano-longobarda, il Passo del Lucomagno era la porta della Svizzera interna e della Germania. Lungo la Via Francisca, da Pavia a Costanza, passarono vescovi, re e imperatori, in transito dall’alta valle del Reno verso la pianura lombarda e Roma. Il difficile passaggio sulle gole a nord del Gottardo venne attrezzato solo intorno all’anno 1200. Prima di quella data epocale per la storia della Svizzera, il Ticino e le sue valli erano state contese tra i Longobardi, l’impero dei Franchi e sarebbero diventati poi a lungo un terreno di scontro tra le signorie di Como, Milano e i cantoni della Confederazione alpina in guerra con gli Asburgo. Centrale nella storia della valle di Blenio è il castello di Serravalle, fondato in epoca carolingia, da dove nel 1162 spadroneggiava Alcherio da Torre, avogadro dell’imperatore Federico Barbarossa. Nel 1182, dunque 125 anni prima di Guglielmo Tell, i valligiani di Blenio e Leventina si unirono in un patto di alleanza, il Patto di Torre, poi assediarono e distrussero il castello. 

«Fino ad oggi possiamo dire per certo soltanto cosa “non” erano le cosiddette Case dei Pagani», dice ancora Massimo Delorenzi. «Non erano covi di briganti, perchè quelle costruzioni strette e addossate alla roccia, in caso di assedio, sarebbero risultate piuttosto delle trappole, né forzieri di chissà quali ricchezze, troppo in vista. Non erano vedette o torri di segnalazione, perché poco sopra, a Malvaglia come in altri località, c’erano postazioni molto più facili da raggiungere. E non potevano essere rifugi di streghe o persone emarginate, perchè la loro costruzione richiedeva motivazione e competenze fuori dal comune». 

Raggiungere le rovine rupestri non è facile e prima ancora di arrivare alle rocce occorre superare l’intrico dei rovi e della vegetazione. Le pareti delle costruzioni sono molto spesse, di pietre sovrapposte, solo grossolanamente squadrate, cementate con calce. In questa sono presenti molti elementi di cenere e legno, proprio quelli che hanno permesso l’analisi al radiocarbonio. L’abitazione più grande, quella di Dongio, era su due piani e offriva posto ad una decina di persone. Ci sono segni di un focolare, forse di una carrucola per i rifornimenti dal basso. Aveva muri difensivi laterali spessi un metro e come tutte le altre della valle di Blenio un solo ingresso molto difficile, che poteva essere sbarrato semplicemente ritirando una scala di legno o una corda. Per raggiungere lo spettacolare riparo di Malvaglia, ricavato sotto uno strapiombo di roccia, bisogna affrontare una esposta traversata e qualche difficile passaggio di arrampicata su roccia. Gli stessi problemi che hanno colorato di avventura il prelievo dei campioni affidato a Mark Bertogliati, aiutato dalle corde fisse stese da una piccola squadra di alpinisti.

Gli elementi di legno

«Quello che manca quasi del tutto, per capire a cosa servissero realmente queste costruzioni - fa notare Delorenzi - è il legno. Gran parte delle strutture doveva infatti essere completato da elementi in legno e di questo non è rimasto purtroppo quasi nulla». Non aiutano molto nemmeno i pochissimi reperti materiali ritrovati. Qualche punta di freccia, che lascia pensare ad un’epoca precedente l’impiego rinascimentale delle armi da fuoco, qualche moneta medievale e un unico frammento di pergamena, affiorato decenni fa a Malvaglia, dove si legge la data del 1308. 

Cristian Scapozza apre una cartella poggiata sul tavolo, si appresta a leggere i risultati del laboratorio di Poznan, tradotti in un arco possibile di tempo. Il silenzio è totale, l’attenzione in sala è altissima.

Uno scenario tra l’anno 1000 e il 1200

«Dongio, anni 970-1200, Marolta 1020-1210, Chiggiogna 1030-1260». Sono dati importanti, tutti sorprendentemente coerenti tra loro, che già sfrondano molte teorie, a cominciare forse da quella di Bertoni. Con la sola eccezione di Malvaglia, che sprofonda indietro fino al IV secolo, conferma una sua prima fase decisamente antica già descritta da Högl e solleva tante altre domande.

«È prematuro trarre conclusioni», commenta a caldo Cristian Scapozza. «La parola torna ora agli storici e agli archeologi, ma finalmente abbiamo un punto di partenza più preciso. Bisognerà chiarire il contesto generale, la relazione possibile tra queste strutture e i castelli di Serravalle, Torre, Ponto Valentino, o Marolta. E perché Malvaglia è così singolare rispetto agli altri. Sulla storia delle Case dei Pagani ci sarà certamente ancora molto da scrivere e da raccontare».

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