Il commento

Dalle zone 30 arriva un segnale di modernità

In tempi non sospetti avevo lodato il progetto di ampliamento delle zone a velocità ridotta nei quartieri di Lugano
©Gabriele Putzu
Enrico Carpani
Enrico Carpani
14.09.2025 06:00

In tempi non sospetti avevo lodato il progetto di ampliamento delle zone a velocità ridotta nei quartieri di Lugano. 

Oggi, a un paio di settimane appena dal voto figlio del referendum, non mi rimangio la parola. O perlomeno ci provo, anche se a conti fatti - avendo letto e ascoltato per esteso le ragioni di favorevoli e contrari - mi ritrovo a dover tenere a freno la tentazione di mandare tutto al diavolo, liquidando semplicemente il problema con il più salomonico dei… fate voi, tanto alla fine cambierà poco o nulla. Invece, come detto, ho deciso di insistere. Nonostante le immancabili e quasi fastidiose puntualizzazioni per garantire la non entrata in materia sul futuro delle arterie principali, di competenza cantonale e quindi al di fuori della giurisdizione dei sostenitori dell’intervento sulla rete viaria comunale. Sottolineature di estrema utilità politica, certo, per definire di fatto le condizioni del compromesso e limitare l’impatto psicologico della manovra che non possono tuttavia non suscitare una sgradevole sensazione di discriminazione tra quartieri residenziali e zone… reiette dell’urbe. Che in tema di viabilità sarebbero poi quelle del centro e dintorni.

A chi si chinasse sul problema con una visione esterna questo autentico blocco potrebbe sembrare molto strano, ma le cose qui funzionano così: chi si affaccia su strade «alte» nella gerarchia cantonale si sente insomma un po’ abbandonato al proprio destino di rumore e colonne ormai senza soluzione di continuità, quasi quella condivisa da molti luganesi fosse una colpa, o comunque una sfortuna da sopportare stoicamente. La morale è facile quanto disarmante: in una città sempre più aggregata in ambito di mobilità le criticità di Barbengo, Breganzona o Pazzallo, oggi sono paradossalmente le uniche cui le autorità municipali possono mettere mano. Lo ha ribadito proprio in questi giorni anche il Consiglio Federale, forse preoccupato da alcuni episodi di salubre e apprezzata disobbedienza civica in Romandia. Dove la volontà di migliorare il quadro generale delle conseguenze del traffico aveva spinto a decisioni di rottura, impraticabili in termini di legge ma comunque apprezzabili nelle intenzioni.

Le zone a velocità limitata dei quartieri di Lugano non saranno quindi il rimedio al male cronico che affligge il nostro territorio ma porteranno certamente dei benefici a coloro che avranno il privilegio di poterne approfittare. A partire da questa considerazione riesce perciò difficile comprendere le ragioni - al di là dei voli pindarici sulla limitazione delle libertà individuale e di qualsiasi improbabile tentativo di spiegazione tecnica o comportamentale - di chi vi si oppone. Mi piacerebbe almeno, però, che in un prossimo futuro questo piccolo intervento possa essere considerato il primo segnale di un nuovo orientamento politico: quello di voler finalmente affrontare nella sua dimensione globale il nostro disastro viario quotidiano, senza palleggiarsi le responsabilità ma cercando di collaborare a ogni livello istituzionale e senza rinunciare, se necessario, a picchiare anche qualche pugno sul tavolo. Per restituire al cuore di una città che rischia il collasso le condizioni minime di sostenibilità con una visione più moderna e coraggiosa, in cui nessuno si dovrà più sentire libero solo per aver potuto restare in coda per ore e dove il dogma più auto uguale più vita, più persone, più attività commerciali e dunque più benessere sarà soltanto un brutto ricordo.

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