Storia

«Dear Benito, caro Winston»

Da una villa appartenuta a uno 007 scozzese emergono documenti inediti che svelano il carteggio Mussolini-Churchill
Churchill a Menaggio il 3 settembre 1945.
Roberto Festorazzi
18.08.2024 15:45

«Dear Benito». «Caro Winston».

Così com’è vero che il diavolo si nasconde nei dettagli, è altrettanto assodato che il discrimine tra la storia vera, e quella bugiarda, passa attraverso una sottilissima intercapedine: un deposito celato nel doppiofondo più inaccessibile che si possa immaginare.

Quella che stiamo per raccontare è la vicenda del carteggio Churchill-Mussolini: la raccolta di documenti più ambita, e ricercata, del Ventesimo secolo, oggetto di una caccia accanita da parte di storici e giornalisti, fin dalla conclusione della Seconda guerra mondiale.

Per alcuni, si tratterebbe di una colossale bufala, di una invenzione, atta a riabilitare il Duce, e a gettare nel fango Winston Churchill, quale autore della più spregiudicata collusione che si possa immaginare: quella di attrarre in una trappola mortale il Capo del fascismo, inducendolo a entrare nel conflitto a fianco degli alleati nazisti, con allettanti promesse, a patto che difendesse sotterraneamente gli interessi britannici.

La corrispondenza segreta tra i due uomini di Stato iniziò a metà degli anni Trenta, per proseguire, secondo talune ipotesi, anche durante il periodo bellico.

Ora noi porteremo le prove che il «fantomatico» epistolario è realmente esistito e che la sua fondatezza è talmente solida, da aver prodotto, a metà degli anni Cinquanta del Novecento, l’emergere di apocrifi del carteggio, costruiti da falsari istruiti a farcire la documentazione posticcia di errori così grossolani, da indurre, ancora oggi, taluni ad affermare con sicumera che quel dossier - una polpetta avvelenata costruita dai servizi segreti italiani - è una colossale truffa che demistifica l’esistenza stessa del presunto, autentico carteggio.

Ma cominciamo dal principio

Chi scrive, da oltre trent’anni indaga sulle tracce della corrispondenza supersegreta, che Mussolini portò con sé nei giorni del suo epilogo, nell’aprile del 1945, dopo averne tratto diverse fotoriproduzioni affidate a mani che riteneva affidabili.

Un giorno, abbiamo ricevuto la segnalazione che i proprietari di una villa immersa nella verde quiete boschiva della brughiera lombarda, erano in possesso di un plico di documenti con la intestazione, autografa, «Carteggio Churchill-Mussolini». L’autore di questo articolo è piombato in casa di questi signori, e, dopo aver attentamente esaminato i materiali, carte ingiallite dal tempo e anche fotoriproduzioni deteriorate dall’esposizione alla luce, ne ha illustrato loro l’importanza.

Una scottante corrispondenza

Costoro, dapprima incuriositi e meravigliati, e infine sbigottiti, si sono resi conto di avere tra le mani la prova certa dell’esistenza della corrispondenza di Stato più scottante del Novecento.

Si trattava, infatti, di un dossier inglese (ripetiamo: inglese!), contenente documentazione prodotta dall’autore del recupero, avvenuto a Como, nell’agosto del 1945, di una parte, probabilmente la più rilevante, dell’intero epistolario Duce-Churchill.

La villa di campagna era infatti appartenuta a Malcolm Smith, lo 007 che a guerra finita aveva messo le mani sulle lettere top secret, per consegnarle allo statista britannico, il quale venne appositamente a soggiornare sul lago di Como, nelle prime tre settimane di settembre del 1945, in preda all’ossessione di mettere le mani su quelle maledette carte che, se svelate, avrebbero distrutto la sua reputazione.

Il maggiore Malcolm Smith, scozzese, nato a Palermo nel 1910, era uno specialista di intelligence, per l’area italiana, tra i più capaci che la Corona inglese avesse a disposizione, sul campo, per coadiuvare Churchill nell’opera di intercettazione dei compromettenti fascicoli di politica internazionale gelosamente conservati da Mussolini per esibirli quale prova della malafede di Londra nella condotta del conflitto.

Smith era operativo in una F.S.S (Field Security Section) britannica: la sua unità, composta da 6 uomini, più il comandante, lavorava in stretto contatto con i Counter-Intelligence Corps americani e con i loro omologhi italiani del governo legittimo del Regno del Sud, agendo alle dipendenze della Sicurezza militare «G-2» della V Armata statunitense.

Desta sconcerto che sia potuto accadere che il dossier, così esplosivo, di Malcolm Smith, sia inopinatamente finito nelle mani di coloro che ne hanno acquistato, dopo la sua morte, la residenza.

Aver lasciato in balia del caso un dossier, da lui raccolto, contenente le prove certe della sua azione nella cattura dei materiali che, se svelati, cambierebbero l’interpretazione della Seconda guerra mondiale, è qualcosa che si spiega soltanto con il processo di insenilimento, che potrebbe aver annebbiato le facoltà mentali dell’ex ufficiale di Sua Maestà, un tempo buon giocatore di golf e gagliardo bevitore di whisky.

Ma veniamo alla domanda centrale. Che cosa contiene, di così esplosivo, il plico sul carteggio Churchill-Mussolini, «dimenticato» dal maggiore nella sua ex villa? Vi è la sua firma apposta sull’operazione del recupero dell’epistolario intercorso tra il dittatore fascista e il leader conservatore.

Lo scoop della Domenica del Corriere

Tra questi «trofei», racchiusi nella busta, vi sono materiali che si riferiscono a uno scoop che La Domenica del Corriere, fece, il 29 gennaio 1967, con il lancio, in prima pagina, di un servizio firmato da uno dei più accaniti cacciatori di documenti duceschi, Duilio Susmel.

Titolo dell’esclusiva: «Sensazionale. Come fu trovato il carteggio Churchill-Mussolini».

Per la prima volta, in questo articolo di Susmel, veniva smascherato Malcolm Smith, quale autore del recupero, a Como, della corrispondenza tra il Capo del fascismo e lo statista d’Oltremanica.

Ma c’è dell’altro, che contribuisce a rendere ancora più solida la certezza circa la reale fondatezza di questa vicenda.

Susmel dettagliava che lo stesso ufficiale fece pervenire il dossier top secret (dissotterrato dai giardini di Villa Mantero, di Como: ma non andò esattamente così) a Churchill, durante la sua permanenza sul Lario, nel settembre del 1945.

In verità, l’agente segreto, prima della sua morte, avvenuta nel 1991, non solo confermò di aver trafugato le prove dell’intrigo sotterraneo tra Benito e Winston, ma dichiarò di aver incontrato personalmente l’uomo politico inglese, in quell’occasione.

L’asso del controspionaggio

Nel plico di documenti da noi visionati e fotografati nella ex residenza di Malcolm Smith, vi è anche la traduzione in inglese della parte dell’articolo di Susmel che si riferisce al colpo da maestro messo a segno dall’asso del controspionaggio britannico.

Evidentemente, Smith, che visse in Italia fino alla sua morte, ricoprendo anche l’incarico di console onorario del Sudafrica a Milano, mandò ai servizi segreti di Londra, o al governo del Regno Unito, la traduzione del pezzo di Susmel, come parte di una relazione informativa riservatissima.

Non vi è infatti alcuna altra ragione, che questa, per spiegare l’esistenza di una versione in inglese del testo: infatti, il maggiore parlava perfettamente italiano, e non aveva alcuna necessità di tradurre, per suo uso personale, quell’articolo.

Ma non è tutto.

L’intera documentazione inclusa nella busta di cui ci stiano occupando, cioè in questo dossier britannico, proprio perché prodotta da Malcolm Smith, l’autore del trafugamento della corrispondenza segreta tra il dittatore italiano e il premier Tory, è di grandissima importanza.

Un altro «pizzino» che troviamo è la copia fotografica di una relazione, datata 14 maggio 1945, redatta dagli apparati del controspionaggio militare inglese.

La cattura di una spia italiana

In questa relazione viene ricostruita la cattura di una spia italiana, che agiva per conto dei tedeschi, operazione alla quale prese parte anche Malcolm Smith.

Ora, l’uscita del sensazione articolo della Domenica del Corriere ebbe uno strascico polemico: provocò, cioè, la reazione stizzita di questa spia, di nome Terzilio Borghesi (alias «Hans Fischer»), il quale mandò al settimanale una lettera diffamatoria contro il maggiore, che il giornale pubblicò.

Che cosa successe in seguito all’apparizione di questa lettera calunniosa e denigratoria?

Innanzitutto, Malcolm Smith recuperò dagli archivi dei servizi segreti inglesi copia della relazione citata sull’arresto della super-spia Borghesi.

Poi mandò una lettera di rettifica alla Domenica del Corriere, nella quale contrattaccò alle tesi di Borghesi, da lui ritenute false nonché lesive della sua onorabilità, ma del tutto marginali ed estranee rispetto alla questione che qui ci interessa.

La smentita «autorizzata» dal governo

La circostanza straordinaria è che, rispondendo al suo accusatore, Malcolm Smith si guardò bene dallo smentire la rivelazione del settimanale a proposito del suo ruolo quale trafugatore del carteggio Churchill-Mussolini.

In tal modo, confermò non solo la reale esistenza dell’epistolario, ma anche il suo intervento per recuperarlo e consegnarlo direttamente a sir Winston. È da considerarsi pressoché certo che la mancata smentita venne autorizzata, se non addirittura consigliata, dal governo di Sua Maestà.

Il direttore della Domenica del Corriere, Guglielmo Zucconi, era un giornalista troppo navigato per non cogliere che l’intervento riparatore che l’agente segreto aveva svolto, a difesa della sua reputazione, era un punto messo a segno dal rotocalco, perché riguardava una querelle personale che nulla aveva a che fare con il ruolo storico che Susmel gli attribuiva.

Il tono della replica al suo diffamatore, apparsa nella pagine delle lettere al direttore sulla Domenica del Corriere del 16 aprile 1967, esordisce del resto in termini inequivocabili: «Nel numero 5 del settimanale da lei diretto Così Churchill entrò in possesso del carteggio Mussolini, io sono stato definito «uno dei maggiori elementi del controspionaggio britannico».

Gli incartamenti segretissimi

Con queste parole Malcolm Smith pone il suo sigillo allo scoop del settimanale.

Resta un ultimo punto da accertare.

Si è accennato alla circostanza che l’epistolario più ambito del Novecento fosse stato dissotterrato nel giardino di Villa Mantero, a Como. Le cose non stanno esattamente così.

Va qui ricordato che la residenza degli industriali lariani della seta, già occupata dai tedeschi dopo l’8 settembre 1943, ospitò la moglie del Duce, Rachele Guidi, e i suoi figli minori, nei giorni in cui si consumava l’epilogo della Repubblica sociale italiana.

Qui vi furono stivate casse, valigie e bauli che, oltre a effetti personali, e beni ed oggetti di valore della famiglia Mussolini, contenevano anche incartamenti di Stato segretissimi.

Nel maggio del 1945, la villa di via Crispi della famiglia Mantero passò sotto il controllo dei servizi militari d’intelligence britannici.

Furono questi ultimi a individuare i nascondigli dove erano stati occultati i documenti.

I preziosi tesori di carta

Nell’ultima decade di agosto di quel funesto 1945, Malcolm Smith rinvenne il carteggio in un’ubicazione insolita e alquanto insospettabile: la buca dell’autorimessa della villa, che serviva per le riparazioni meccaniche degli autoveicoli.

Come ebbe rivelare il giardiniere dei Mantero, Giulio Brambilla (lo apprendiamo da una memoria autografa in nostro possesso, vergata dal figlio di questi, Gino), alcuni mesi dopo la fine della guerra, la porta del garage, situato tra la villa e le serre, una mattina venne trovata aperta e, in un angolo, giaceva un mucchio di paglia utilizzata per avvolgere i più preziosi tesori di carta del Duce, occultati nella botola. In mezzo a questa paglia, Brambilla scovò un sontuoso calamaio in bronzo di Mussolini.

La buca dell’autorimessa, sigillata col cemento alla fine di aprile del 1945, era stata violata a colpi di scalpello dagli agenti inglesi. Vi avevano trovato quello che cercavano. Non certo il monumentale calamaio da scrivania al cui inchiostro Mussolini aveva forse attinto per vergare le sue lettere, tutte autografe, a Winston.

Quell’atroce simbolo di un dittatore gabbato e sconfitto, ce lo lasciarono, beffardamente, a memento: dear Benito, caro Winston.

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