Migrazione

Dentro l'hotel dei migranti: «Qui è come una grande famiglia»

A Vezia i richiedenti l'asilo stanno sperimentando un modello vincente di integrazione – Siamo andati a trovarli
© CdT/ Chiara Zocchetti
Andrea Bertagni
Andrea Bertagni
12.05.2024 06:00

«I nostri vicini ci chiamano l’isola felice». Markus Wilke ha 47 anni, un motel e un’azienda di bruciatori. Ma in realtà ha anche qualcos’altro. Ha realizzato un modello di successo per l’integrazione dei richiedenti l’asilo. No, non è un’esagerazione. Basta venire qui, a Vezia, per rendersene conto. «In un anno e mezzo non abbiamo mai avuto un intervento di polizia, una lamentela, un diverbio, un problema, un’opposizione, nulla di nulla», sottolinea Wilke con orgoglio, mentre pranza nell’hall principale del motel riconvertito in centro per profughi assieme alla sua famiglia, la moglie Cornelia e i figli di 9 e 13 anni.

Il ristorante dell'albergo (Cdt - Zocchetti)
Il ristorante dell'albergo (Cdt - Zocchetti)

È mezzogiorno e mezzo. La hall si riempie alla spicciolata. Perché Wilke e la sua famiglia pranzano (e cenano) sempre insieme ai richiedenti l’asilo. In realtà ci dormono anche. Perché vivono tutti qui. Assieme. Come una grande famiglia. Sì, qui, a pochi passi dalla Manor, dalla chiesa e dal Comune di Vezia sembra davvero di essere in un altro mondo. Un mondo che non c’è. Anzi, un’isola. Quella stessa isola cantata da Edoardo Bennato. Che non dovrebbe esserci, invece è reale, concreta, viva. Vincente.

Dal giovane colombiano alla ragazza afgana

Markus Wilke finisce di mangiare la porzione di cibo etnico vegetariano servito dallo staff del motel e si guarda in giro. Attorno a sé vede la ragazza afgana arrivata un anno fa «a piedi dal suo Paese» per ricongiungersi con suo marito, il giovane colombiano che non vuole farsi fotografare in viso, la bambina che scorrazza in monopattino e sorride a chi la guarda, il ragazzo eritreo che prima ha dato una mano in giardino, l’anziana curda che se ne sta seduta da sola e ha lo sguardo lontano. Wilke li guarda perché li conosce uno a uno. E come lui tutto lo staff. Del resto, la permanenza dei richiedenti l’asilo qui «dura dai 6 ai 12 mesi», specifica, e dopo un po’ è naturale conoscersi un po’ tutti. Chantal che per lo staff si occupa delle faccende d’ufficio e per il pranzo si è messa il grembiule e a servire indica una giovane afgana. «Quando è arrivata non mangiava e non diceva una parola - spiega - oggi invece di fronte a un piatto caldo non smette di chiedere «ancora». La giovane ha sentito e sorride. Imbarazzata e felice.

Al lavoro in giardino (Cdt - Zocchetti)
Al lavoro in giardino (Cdt - Zocchetti)

Serviva voltare pagina

L’isola felice si è materializzata di colpo l’anno scorso. Quando l’hotel Vezia ha risposto presente all’emergenza profughi che si era creata con la chiusura del Palagiovani di Locarno e l’inagibilità della Prefetta di Arzo. «Non sapevamo ancora a cosa saremmo andati incontro e un po’ di paura del cambiamento c’era», ammette Wilke. Ma ormai la decisione era stata presa. Anche perché il motel aveva bisogno di una scossa. «Di una visione fuori dagli schemi». Tanto più che i turisti latitavano da tempo. «Dal 1956, anno in cui è stato costruito l’hotel, a oggi molte cose sono cambiante nel settore», puntualizza il proprietario della struttura i cui interni fanno esplicito riferimento proprio agli anni ’50. Non solo nel settore, in realtà. «Nel 1956 intorno all’hotel, alla chiesa parrocchiale e all’edificio comunale c’era il deserto. Oggi quel deserto non c’è più. Ce n’è un altro però ed è quello sociale», sottolinea con una punta di amarezza Wilke.

Dallo spaesamento all’accettazione

Non però qui dentro. Dove la maggior parte dei richiedenti l’asilo è di origine curda e afgana. E nemmeno nella comunità di Vezia. Che dopo un certo spaesamento «si è tranquillizzata», continua Wilke. Anche per merito del Comune che ha dato il suo beneplacito e ha organizzato dei momenti informativi assieme alla Croce Rossa e all’Ufficio cantonale dei richiedenti l’asilo e dei rifugiati, che collaborano nella gestione del motel riconvertito a centro. «Anche la Parrocchia ha iniziato a collaborare mettendo a disposizione i suoi spazi per i corsi di italiano», fa sapere Wilke. Niente sembra insomma essere stato lasciato al caso. Tanto più che i 120 ospiti della struttura sono quasi tutti impegnati. Tra di loro «c’è anche chi sta seguendo dei percorsi di apprendistato», annota il proprietario.

Un’accoglienza alberghiera

Ecco perché Wilke vorrebbe continuare. Vorrebbe che l’esperienza possa andare «oltre il giugno di quest’anno», quando scadrà il mandato. «Sarebbe un peccato rinunciare a questo esempio riuscito di integrazione». Un esempio dove tutto sembra funzionare come un meccanismo oliato. Solo che al posto dei pistoni c’è un ambiente che non è azzardato a definire familiare. «Trattiamo i richiedenti l’asilo come ospiti continuando sul solco dell’accoglienza alberghiera che da sempre siamo abituati a portare avanti». Da qui il desiderio di continuare. Fino a quando non si sa. Ma intanto si pianifica il dopo. «In futuro vorremmo trasformarci in una struttura sociale innovativa - spiega Wilke - una struttura mista composta di una parte alberghiera, alcuni appartamenti per la terza età e degli spazi per le famiglie e i bambini». Un modo come un altro per mantenere l’atmosfera sociale, armoniosa e d’integrazione che c’è oggi con i profughi.

(Cdt - Zocchetti)
(Cdt - Zocchetti)

I legami con gli ospiti

Fuori dalla hall sono stati posati un canestro da basket e un tavolo da ping pong. Abdullah ha appena finito di pranzare e sta facendo due passi. Ha 21 anni ed è afgano come la maggior parte degli ospiti. «Sono qui da 6 mesi - dice - lavoro alla Caritas e sono molto felice». Il figlio più piccolo dei Wilke sta giocando a pallacanestro con un paio di amici. «Ieri era triste perché aveva fatto amicizia con un profugo della sua età che però è partito», fa sapere sua mamma. Dylan, questo il suo nome, si gira verso di lei. Forse ha sentito. O forse no. Di sicuro scaglia la palla così bene che fa un centro da tre punti. Si vede che si è allenato. E non da solo.

In questo articolo: