Salute

Dietro le quinte di un trapianto

Il racconto del team dell'ospedale Civico: «Fondamentale il lavoro accanto alle famiglie»
© CdT/Chiara Zocchetti
Mauro Spignesi
15.10.2023 06:00

Dietro le quinte di un trapianto di organi c’è un lungo, paziente lavoro. Preceduto da un’altrettanta lunga preparazione e programmazione. Ma prima vale la pena aprire una parentesi introduttiva: a livello nazionale ci sono 15 ospedali di prelievo e sei centri di trapianto (i cinque ospedali universitari: Basilea, Berna, Ginevra, Losanna e Zurigo, più l’ospedale cantonale di San Gallo). Ogni centro è collegato con il Servizio nazionale di attribuzione.

Ma il grande lavoro avviene negli ospedali che hanno reparti di cure intense, i Centri di identificazione, complessivamente 73, che costituiscono l’ossatura, il motore che consente al sistema di funzionare; sono loro - attraverso un Coordinamento locale - a riconoscere i potenziali donatori. Quello ticinese, che riunisce l’attività di tutte le cure intense del cantone, è presso il Civico di Lugano. Il responsabile medico è il professor Paolo Merlani mentre Susanna Brilli è la capogruppo (non ha il ruolo di coordinatrice) e le cinque coordinatrici locali sono invece Valentina Silvagni, Valentina Rinaldi, Giuseppina Bordoli, Chiara Battaglia e Martina Fraschina. Sono loro che seguono le famiglie del donatore, lavorano a stretto contatto con i medici, gli infermieri e con Swisstransplant (l’organizzazione nazionale che gestisce la lista delle persone in attesa di un organo per conto dell’Ufficio federale della sanità pubblica) . Non solo. Sono loro a mettere a punto iniziative per far crescere la cultura della donazione e sono sempre loro a organizzare momenti informativi e incontri nelle scuole.

«Quando scatta l’emergenza viene subito presa a carico la famiglia del potenziale donatore. In questa fase bisogna capire se chi è in morte cerebrale ha dato esplicito consenso alla donazione, oppure se non lo ha fatto. In questo secondo bisogna capire il presunto volere del paziente attraverso colloqui con i familiari», raccontano le infermiere dell’equipe del Civico.

Il colloquio con i familiari

«Parlare con i familiari è una fase molto delicata, occorre tatto. Noi cerchiamo di ascoltare spiegando come funziona una donazione. Il rispetto delle necessità della famiglia resta fondamentale». Alcune volte, tuttavia, tra i parenti subentrano incertezze, paure e servono conoscenza e consapevolezza, oltre che preparazione, per gestire con professionalità questi momenti. «Ma il nostro lavoro non si ferma qui, siamo presenti anche nelle fasi successive, offrendo, quando serve, un supporto dopo il prelievo. Ogni quattro anni, poi, si svolge una giornata a sostegno delle famiglie dei donatori, un atto di riconoscenza e di rispetto per il loro importante contributo a livello sociale».

Le domande ricorrenti

L’equipe - e questo è un valore aggiunto - lavora anche all’esterno delle strutture sanitarie. «Quando svolgiamo i nostri incontri, una delle domande ricorrenti è quella legata all’età: c’è - ci chiedono - un limite per donare? In realtà pure in età avanzata è possibile donare, previa verifica attraverso precise procedure scientifiche, necessarie per valutare l’idoneità del donatore e degli organi. Lo stesso discorso vale per i tessuti e in particolare per le cornee, molto preziose».

Il lavoro in terapia intensiva

Il coordinamento non si occupa invece della procedura legata al paziente «ricevente». Il Civico è unicamente un ospedale di prelievo. «Noi siamo prima di tutto infermiere di terapia intensiva che lavorano accanto al letto del paziente. E abbiamo una percentuale di attività professionale dedicata alla donazione d’organi e tessuti. Siamo organizzate attraverso picchetti di 24 ore in caso di donazione o anche in caso di domande che giungono dall’esterno del nostro ospedale». Il gruppo, poi, si occupa anche di formazione all’interno delle strutture mediche per i colleghi dei servizi di anestesia, blocco operatorio e delle cure intense. L’obiettivo è identificare i possibili donatori «precocemente». I pazienti che potrebbero evolvere in morte cerebrale vengono portati all’Ospedale civico, che si occupa di traumi cerebrali, ischemie (mancanza di sangue) o emorragie (sanguinamenti) cerebrali. Chi viene ricoverato altrove e dovesse presentare segni di morte cerebrale potrebbe essere trasferito al Civico per accertare formalmente la diagnosi.

«Inoltre - raccontano ancora le infermiere del team - partecipiamo a incontri con coordinatori di altri cantoni e manteniamo un canale di comunicazione sempre aperto con il Coordinamento nazionale. In più, collaboriamo nella fase di accertamento delle analisi e delle valutazioni sull’idoneità degli organi. È una procedura che in alcuni casi dura diverse ore. Ci sono pazienti in età avanzata che magari non possono donare tutti gli organi. O pazienti che hanno magari problematiche o patologie che hanno intaccato certi organi. Può capitare che non sempre si riesca ad arrivare al prelievo di diversi organi».

La tessera del donatore

In questo ambito l’informazione è importante. «Partiamo dal presupposto che donare gli organi è una libera scelta, ma è una libera scelta anche stabilire se donare tutti gli organi o no. Ecco perché la nuova tessera del donatore elenca gli organi, o anche i tessuti, che un individuo decide di donare. Molti nel momento di firmare fanno i conti con credenze, esperienze, si rapportano alla propria sensibilità. È raro, tuttavia, ricevere un no dettato da scelte religiose, perché quasi tutte le religioni non si oppongono al dono d’organo, se si esclude lo shintoismo, originario del Giappone».

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