L'intervista

«Dio mi ha salvato dalla droga, ora difendo i valori cristiani»

Daniel Frischknecht è il grande oppositore dell'Eurosong a Basilea – La sua campagna ha radici lontane, e inattese
(KEYSTONE/Marcel Bieri)
Andrea Stern
Andrea Stern
03.11.2024 06:00

Figlio di un padre alcolizzato e violento, all’età di 8 anni Daniel Frischknecht ha preso a sua volta la sua prima sbronza. Poi ha iniziato a sniffare colla, a fare uso di cannabis, LSD, medicamenti vari e infine ha scoperto l’eroina. Rubava e si prostituiva per finanziare il suo consumo di droga. È precipitato, è arrivato al punto di arrendersi. «Dio, prendimi, non ce la faccio più», ha detto un giorno.

Dio l’ha preso, l’ha tirato fuori dal tunnel e l’ha guidato nel percorso in cui oggi il 60.enne turgoviese è un uomo felice, padre di famiglia, psicologo e presidente dell’UDF, il partito che ha promosso il referendum contro il credito di 35 milioni per l’Eurovision Song Contest 2025, su cui i basilesi voteranno il 24 novembre.

Signor Frischknecht, il suo partito è grato a Nemo per la visibilità che vi sta regalando?
«Noi non agiamo per avere visibilità, bensì per convinzione. La visibilità è solo un effetto».

Ma perché siete contrari all’ESC?
«Ci sono diversi motivi. Il primo è finanziario. Un sondaggio Sotomo indica che i cittadini sono in maggioranza scettici o contrari all’ESC. Si sta chiedendo una grossa somma per uno spettacolo che la maggioranza non vuole».

Sicuro che sia la maggioranza?
«Il sondaggio dice che il 46% della popolazione è tendenzialmente a favore, il 49% contro. Ma il problema è anche un altro. Oggi l’ESC non è più uno spettacolo musicale, ma è diventato un evento di propaganda politica. Viene usato più che altro per diffondere l’ideologia LGBTQ+. Non vedo perché dovrebbero essere i cittadini a finanziare questa propaganda».

All’ESC ci sono anche artisti che potremmo definire «classici».
«Sì, è vero. Ma l’intero show è orientato politicamente. La scelta del vincitore, ma ancor prima dei partecipanti, si basa su motivi politici. Se ci si espone come transgender, non binario, eccetera, si hanno sicuramente maggiori probabilità di vittoria».

Pensa che Nemo avrebbe vinto anche se non si fosse esposto come «non binario»?
«Penso piuttosto di no. La competizione è stata portata avanti su quei temi. Come due anni prima, quando la vittoria fu assegnata all’Ucraina perché si voleva sostenerla. L’ESC è una manifestazione politica dalla A alla Z, dove non si tiene conto del parere della gente e dove la musica c’entra solo marginalmente».

È un problema?
«No. Però ci vorrebbe almeno l’onestà di dichiararlo pubblicamente. Invece qui si vende un pacco il cui contenuto non corrisponde. Per questo penso che l’ESC dovrebbe finanziarsi da solo, senza denaro dei contribuenti».

L’ESC costa milioni ma genera un indotto ancora maggiore.
«È ciò che si dice. Ma purtroppo i fatti sono diversi. In quel periodo dell’anno a Basilea gli alberghi sono già al 90% pieni, ogni anno. Dunque l’ESC può portare solo un 10% in più. Tutti gli altri ospiti andranno in Francia e Germania, che sono dietro l’angolo e che costano anche molto meno».

Noi paghiamo, gli altri guadagnano?
«Esatto. Gli organizzatori si basano sulle statistiche di Liverpool ma il paragone non regge perché la città inglese è due volte più grande e non ha paesi confinanti. Bisogna essere onesti con le stime. Oltretutto i cittadini basilesi non ricevono nulla di questo indotto, al massimo ne beneficiano alberghi e ristoranti».

Voi definite l’ESC un «danno d’immagine» per la Svizzera. Non crede che un’eventuale rinuncia sarebbe un danno d’immagine ancora più grande?
«Prima devo spiegare cosa intendiamo per danno d’immagine. A Malmö abbiamo visto blasfemia e manifestazioni di antisemitismo, lo spazio aereo sopra la città ha dovuto essere chiuso, migliaia di agenti sono stati dispiegati per la città. Non è stata di sicuro una bella immagine di Malmö. Una 20.enne, la cantante israeliana, è stata discriminata, fischiata e respinta davanti alle telecamere. Lo slogan dell’ESC è «United by music» ma si è visto esattamente il contrario».

Ma se la Svizzera si tirasse indietro non farebbe una bella figura.
«È vero, ma non penso proprio che l’evento verrà annullato. Se i cittadini dovessero bocciare il credito, l’evento si terrebbe lo stesso ma in forma ridotta».

Come sarebbe una «forma ridotta» dell’ESC?
«Verrebbero a cadere tutte le manifestazioni collaterali finanziate dai contribuenti. Sarebbe solo la SSR ad avere un problema».

Perché la SSR avrebbe un problema?
«Perché se volesse comunque mantenere il programma originale lo farebbe non solo contro il sondaggio Sotomo ma anche contro il parere della popolazione, ciò che di sicuro non contribuirebbe a migliorarne l’immagine in vista della votazione sul canone radiotv».

Volete mettere in difficoltà la SSR?
«La SSR si è messa da sola in questa situazione. Per noi è importante che si discuta anche del suo ruolo, di cosa è chiamata a fare. Perché le emittenti statali sono fatte per informare, non per diffondere propaganda».

La SSR ritiene di fare informazione.
«Certo, loro vendono i loro programmi come informazione. Secondo noi è propaganda, è informazione unilaterale. Dovrebbero essere neutrali ma non lo sono più da tempo».

Cosa vuol dire essere neutrali?
«Il compito del giornalista è documentarsi e raccontare quello che succede. Se vuole esprimere il proprio parere può farlo in una rubrica d’opinione. Oggi invece è tutto sempre e solo una rubrica d’opinione».

A lei dà fastidio la propaganda LGBTQ+. A tanta altra gente probabilmente no.
«Il problema è che subiamo l’influenza delle ideologie. È come la questione dell’ecologia. Certo, abbiano una responsabilità sull’ambiente ma non deve diventare una religione».

Chi trasforma l’ecologia in religione?
«Un popolo che ha paura si lascia guidare più facilmente di un popolo sicuro di sé. Anche il popolo ha un’anima, che è influenzabile verso la paura o verso la fiducia. Noi vogliamo costruire la fiducia, non fomentare la paura».

Secondo lei, che è psicologo, come mai oggi la gente sta così male?
«Perché ci allontaniamo sempre più dalle nostre radici. In origine la Svizzera è un Paese cristiano, dove abbiamo curato le relazioni, abbiamo sempre fatto le cose in un certo modo. Adesso ci siamo lasciati prendere da ideologie che vogliono distruggere l’ordine divino e costruire un nuovo ordine, che però non è stabile, non ci dà sicurezza, non ci dà pace. Per questo abbiamo un tasso di suicidi così alto, in continua crescita. Anche tra i giovani. Hanno paura del futuro, sono sempre più sopraffatti dalle ideologie, hanno sempre meno riferimenti che possano aiutarli a orientarsi. Sono disorientati e questo fa sì che non trovino un senso a quello che fanno».

Lei era finito in un abisso ed è riuscito a uscirne.
«Sì, è successo nel periodo in cui ero tossicodipendente, in cui rubavo e mi prostituivo per pagarmi le dosi di eroina. In quel periodo mia madre ha trovato Dio. Me ne ha parlato ma io non ero interessato. Un giorno si è battezzata e ha voluto che io fossi presente. Ci sono andato controvoglia, mi sentivo in un mondo estraneo. Ma poi la sera, quando volevo addormentarmi, ho visto che tutto diventava chiaro intorno a me e una voce mi diceva: «Voglio liberarti, voglio curarti e farti diventare un mio portavoce». Io non ho capito tanto, non avevo mai avuto nulla a che fare con Dio. Poi lui mi ha detto tre cose che avrei dovuto fare concretamente per uscire dal tunnel della droga».

Lei le ha fatte?
«No, in quel momento andava contro il mio orgoglio. Non volevo. Oltretutto ero profondamente implicato nel mondo della droga, avevo debiti, mi sentivo minacciato. In quel periodo avevo sempre una 9 millimetri con me».

Quindi non ha ascoltato Dio?
«Sul momento no. Ma poi sono arrivato a un punto in cui stavo veramente troppo male, pesavo 56 kg, non vedevo un futuro. Mi sono deciso a fare le tre cose che Dio mi aveva chiesto. Appena le ho fatte, ho subito sentito un grande calore dentro di me. Non sapevo come si pregava ma ho ringraziato Dio, mi sono reso conto che esiste, che non è confinato nelle chiese ma che cerca le persone».

Da quel momento è andato tutto bene?
«No, non è stato così facile. Ho avuto una ricaduta e sono finito in carcere. Mi è stata proposta una terapia stazionaria. Io mi sono detto che avevo già provato diverse volte a disintossicarmi e che non aveva funzionato. Perciò ho chiesto di poter fare la terapia in un centro cristiano. Loro me l’hanno sconsigliato ma mi hanno lasciato provare. Sono rimasto lì più di due anni. È lì che sono iniziati i miracoli nella mia vita».

I miracoli?
«Sì, i miracoli. Mio padre è venuto a trovarmi e ha capito che in me era successo qualcosa. Lui che era alcolizzato da una vita ha fatto il passo di accettare Dio, a 49 anni ha smesso di bere e ha iniziato a riparare le relazioni con mia madre, con me e con i miei fratelli. È morto cinque anni fa all’età di 83 anni, senza più bere né fumare, aveva cambiato completamente vita. Anche per me sono successe così tante cose, ho fatto la maturità e ho studiato psicologia, mi sono sposato, ho avuto dei figli, ho ricevuto così tante benedizioni».

È per questo che oggi fa il «portavoce» di Dio?
«È per questo che ho deciso di impegnarmi per difendere i valori cristiani in politica. Perché ne sono convinto, non perché devo farlo. La presidenza dell’UDF è un compito onorario, non guadagno niente e non mi interessa la popolarità. Dio mi ha salvato e ora voglio dargli qualcosa indietro».

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