Dove nasce una nuova vita, un giorno al Centro della Croce Rossa

È quasi ora di pranzo. Un ragazzino appena rientrato da scuola è ai fornelli, tutto preso da un sugo di pomodoro. Un profumo leggermente speziato aleggia in cucina. Un altro ragazzino, più schivo, raccoglie nella sua stanza i panni sporchi da lavare al piano terra della palazzina: «Buongiorno», dice in un italiano senza particolari accenti e stringe educatamente la mano. Da una sala del grande appartamento sbuca un fanciullo chiedendo sorridente agli adulti che vegliano su tutte le manovre casalinghe: «È pronto?»
Un mandato cantonale
Un normalissimo quadretto famigliare, ma solo al primo sguardo perché i genitori dei ragazzi che vivono in questa palazzina a Riazzino o sono lontani anni luce oppure non ci sono più. Loro sono i famosi «minorenni non accompagnati», come vengono definiti in burocratese. Ragazzi e ragazze al di sotto dei 18 anni giunti in Svizzera da soli. I grandi che li seguono così amorevolmente nel foyer di Riazzino sono educatori. Fanno parte della Croce Rossa Svizzera, Sezione del Sottoceneri, che nel 1987 ha ricevuto il mandato cantonale di gestire i centri delle famiglie e dei minorenni non accompagnati che hanno ottenuto l’asilo dal nostro Paese.
La direttrice Debora Banchini-Fersini racconta che «per prima cosa, quando approdano in Ticino, cerchiamo di far loro ritrovare il calore di una casa, di fargli capire che questo è un posto sicuro. Qui si riparte da zero: dall’educazione, al modo di vivere in Ticino, dalla lingua italiana alla pianificazione del futuro. Durante la fuga questi ragazzi hanno vissuto sulla loro pelle le peggiori tragedie dell’umanità e noi adulti cerchiamo di far ritrovare loro la fiducia così brutalmente tradita, valorizzando la forza che hanno acquisito di fronte a una vita che ha tolto loro anni di fanciullezza spensierata. Qui non sono mai da soli: questa é la loro casa e noi siamo i loro punti di riferimento».
Quattro strutture sul territorio
I foyer in Ticino sono quattro: Castione, Claro, Paradiso e Riazzino, dove c’è spazio per i più piccoli. «Il più giovane ha 11 anni», rivela Debora Banchini-Fersini. Questi centri ospitano 190 minori non accompagnati quasi tutti afghani, ma anche somali, togolesi, congolesi, ragazzi giunti dal Burundi, dal Burkina Faso, ucraini, turchi e pachistani. Amalgamare tante teste e culture non è semplice, «tuttavia si trovano sempre soluzioni grazie alla mediazione, senza creare nuove barriere».
Pian piano ritrovano la normalità e sono colmi di riconoscenza per questo Paese che li ha accolti, mentre non capiscono coloro che li mettono nello stesso calderone di chi delinque. Loro non sono giovani allo sbando ma ragazzi «in attesa di un futuro, come la luna che poco alla volta diventa piena», ha scritto uno di loro sulla lavagna appesa nell’aula dei compiti. Vogliono costruirsi una vita in Ticino, seguiti da persone che vegliano su di loro 24 ore su 24. Educatori, operatori sociali, psicologi, personale sanitario, mediatori culturali, interpreti. Gli specialisti che li sostengono fino alla maggiore età sono affiancati dai molti volontari sui quali la Croce Rossa ha la fortuna di poter contare. Le loro settimane sono scandite dal ritmo della scuola e del dopo scuola.
Il sostegno psicologico
«La nostra associazione si occupa di tutto: accoglienza, sostegno psicologico, assistenza sanitaria, accompagnamento sociale, integrazione, educazione scolarizzazione... Firmiamo persino le pagelle di scuola», spiega ridendo la direttrice.
Tra le passioni più grandi degli ospiti del foyer di Riazzino domina il cricket, sport nazionale in Afghanistan, secondo soltanto al calcio. «Non immagina quante volte gli altri ragazzi del palazzo suonano al nostro citofono per fare con loro una partita nel campetto qui vicino», dice una delle educatrici. Non ci sono differenze con i ragazzi della regione. Sono spesso invitati ai compleanni dei compagni di scuola e non di rado le vicine di casa condividono con loro spuntini e merende.
I loro week end sono ricchi di appuntamenti sportivi. Tutti hanno un’occupazione: cucinano, lavano i vestiti, fanno le pulizie insieme al personale della Croce Rossa. Nelle loro stanze, i peluche abbondano sui letti. Sono adolescenti con i loro alti e bassi, esattamente come i loro coetanei ticinesi.
«I legami interpersonali sono importanti, tuttavia i ragazzi devono rimanere a lungo nel foyer perciò l’integrazione passa anche dalla costruzione di progetti di vita e professionali. Alcuni seguono pre-tirocini, altri sono apprendisti. Ma abbiamo anche ragazzi che frequentano il liceo e la scuola di Commercio - aggiunge la direttrice - se poi a 18 anni il loro progetto è consolidato possono lasciare il foyer ed andare ad abitare in un appartamento tutto loro, che abbiamo un progetto solido che li renda socialmente ed economicamente autonomi».
L’anno scorso venti diciottenni sono usciti dai foyer e tutti quanti avevano un avvenire professionale. «Quest’anno sono stati venticinque e tra loro c’era una ragazza che ha vinto una borsa di studio per l’università», afferma orgogliosa la direttrice. E anche quando spiccano il volo, non dimenticano da dove sono venuti; «è vero, noi restiamo il loro punto di riferimento - ammette Debora Banchini-Fersini - vengono a trovarci spesso, ci raccontano i loro successi, ci chiedono consigli; per noi è un piacere vederli realizzati ed autonomi. Ma il nostro compito maggiore è riuscire a creare insieme a loro delle relazioni di valore sul territorio, affinché non restino dipendenti da Croce Rossa una volta usciti in appartamento, ma capaci di attivare tutte le risorse necessarie per vivere una vita serena».
Nuovi punti accoglienza
Malgrado l’integrazione che è qui tutta da vedere, la Croce Rossa Sezione Sottoceneri fatica a trovare nuove strutture di accoglienza per i suoi ospiti. «Siamo vicini al limite e non possiamo certo chiudere fuori dalla porta i minorenni che vengono attribuiti dalla SEM al Canton Ticino», spiega preoccupata la direttrice.
Tuttavia trovare altri alloggi è difficile perché la gente è diffidente. Loro non ciondolano senza meta nelle città e nei paesi, senza fare nulla, si impegnano per imboccare una loro strada. Basterebbe farsi un giro in uno dei foyer come quello di Riazzino per capirlo. Non esiste ricetta migliore della conoscenza vera delle persone per abbattere tanti stereotipi e pregiudizi.