È di nuovo permesso

Sono bastate un paio di sentenze del Tribunale federale affinché il dipartimento delle Istituzioni smettesse di revocare permessi per stranieri a tutto spiano, al suo direttore Norman Gobbi non ribollissero più le busecche e persino i suoi più feroci oppositori seppellissero l’ascia di guerra.
Tout va bien madame la marquise, il caso permessi non esiste e forse non è neppure mai esistito, il Ticino è un cantone come tutti gli altri.
Qui l’anno scorso solamente 66 stranieri si sono visti revocare il permesso di soggiorno, una cifra in linea con i tempi in cui il dipartimento delle Istituzioni era in mano al popolare democratico Luigi Pedrazzini. E i ricorsi contro decisioni in materia di stranieri sono «vistosamente diminuiti», come ha notato Francesca Verzasconi, presidente del Tribunale cantonale amministrativo, nella sua relazione sul 2021.
Si è quindi tornati alla normalità dopo un periodo in cui, «per scelta politica» come ammesso dallo stesso Gobbi, si era arrivati a ritirare anche più di 200 permessi all’anno, con un picco di 260 revoche nel 2019.
Più fattori
«Il dato del 2019 è legato al recupero di arretrati delle pratiche del periodo precedente - premette Silvia Gada, capo della Sezione della popolazione -. Durante il 2020 abbiamo portato a termine l’attività di recupero degli arretrati. Inoltre già nel 2020 e successivamente nel 2021 l’Ufficio della migrazione ha provveduto ad aggiornare le proprie direttive in base ai più recenti sviluppi della giurisprudenza nell’ambito dell’ordine pubblico, dei soggiorni fittizi, dei debiti privati e delle prestazioni assistenziali. Ciò, unitamente alla situazione pandemica, ha influito sul numero di decisioni di revoca emesse».
La situazione è talmente tornata alla normalità che persino Matteo Quadranti - il deputato PLR che nel 2019 aveva chiesto un intervento del governo nei confronti di Norman Gobbi - ritiene oggi che non sia più necessario parlare di permessi. A due minuti da mezzanotte, quando il rapporto di Cristina Maderni (PLR) ed Enea Petrini (Lega) sulla sua mozione era già pronto per essere firmato, Quadranti ha ritirato tutto, annullando di fatto anche la prevista discussione in Gran Consiglio.
«Siamo rimasti stupiti da questa mossa – reagisce Maderni -, il rapporto era pronto e avrebbe potuto servire da base per una discussione in aula, durante la quale si sarebbero affrontate le criticità. Tuttavia riconosco, parlando come rappresentante dei fiduciari, che i problemi denunciati nel 2019 sono stati nel frattempo in gran parte risolti. Il potenziamento degli uffici ha ridotto i tempi di emissione dei permessi e i controlli sugli stranieri sono tornati nella normalità».
Calzini e mutande
I controlli ci sono ancora. Però non accade più che gli agenti rovistino nel frigo e nei cassetti alla ricerca di yogurt, calzini e mutande solo per determinare «il centro di vita» di una persona. «I controlli sono i medesimi - spiega Silvia Gada -. Sono i tribunali stessi che ritengono questa attività di controllo indispensabile per accertare l’effettiva presenza o meno sul territorio. Però, rispetto a prima, il centro di vita e degli interessi personali non sono più un elemento determinante per la revoca di un permesso di dimora B. Ora, a seguito dei chiarimenti effettuati dal Tribunale federale, la decadenza di un permesso di soggiorno può avvenire unicamente qualora l’interessato si assenti per un periodo di almeno sei mesi all’estero».
Anche questo è un cambiamento che ha spinto Quadranti a rinunciare alla possibilità di una discussione in Gran Consiglio.. «Visto che la situazione è cambiata - spiega Quadranti -, non vedo più la necessità di parlarne. Tuttavia continuerò a monitorare la situazione e mi riservo di tornare sul tema in futuro».
Sì all’audit, o forse no
Potrebbe tornarci a breve qualche esperto, qualora la Commissione della gestione dovesse confermare la sua volontà di commissionare un audit esterno sulla questione dei permessi per stranieri. Ma anche qui, dopo che in un primo tempo tutti i partiti tranne Lega e UDC si erano espressi a favore, ora gli equilibri sembrano essere cambiati. «Ho l’impressione che spendere 100mila franchi per un rapporto che sarebbe comunque attaccabile - afferma ancora Quadranti -, servirebbe a poco».
Del resto già il Consiglio federale, rispondendo a un’interpellanza di Greta Gysin (Verdi), ha detto di «non essere a conoscenza di decisioni pronunciate dalla sezione della migrazione del Canton Ticino che ignorerebbero le disposizioni legali vigenti e la pertinente giurisprudenza». Tutto in regola, dunque. Il dipartimento delle Istituzioni non ha violato alcuna norma. Si è semplicemente limitato a sfruttare il margine di manovra in suo possesso. «Le autorità cantonali dispongono di un potere di apprezzamento – ha concluso il Consiglio federale – cui possono avvalersi in conformità alle prescrizioni legali vigenti».
Più sanzioni
Da ultimo va notato che, in materia di stranieri, vi è almeno un dato in crescita. Riguarda i decreti di multa. Da 3.180 nel 2019 sono passati a 4.205 l’anno scorso. «Tale incremento si spiega, da un lato, con il recupero degli arretrati delle procedure contravvenzionali - spiega Gada - Dall’altro lato, esso si spiega con la contemporanea entrata in vigore delle disposizioni federali, che prevedono la possibilità di sanzionare i lavoratori frontalieri che notificano tardivamente il cambiamento del datore di lavoro. Tuttavia va osservato che queste procedure contravvenzionali non comportano la perdita del permesso di lavoro o di soggiorno né vengono iscritte nel casellario giudiziario svizzero».