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E se il Ticino avesse un Centro universitario per la letteratura?

Daniele Maggetti: «Indispensabili per la sua realizzazione il sostegno politico e la volontà delle forze universitarie»
© CdT / René Bossi
Andrea Bertagni
Andrea Bertagni
02.04.2023 13:00

A Losanna da oltre mezzo secolo la letteratura romanda può contare su un luogo speciale, una casa in cui si fanno ricerca, insegnamento, archivistica, esposizioni e si pubblicano anche libri. Questo luogo che trova posto all’interno dell’Università si chiama Centro per la letteratura della Svizzera francese ed è diretto da un ticinese, Daniele Maggetti.  

La prima domanda è dunque scontata. Un Centro del genere potrebbe essere replicabile anche in Ticino, dove non esiste nulla di simile?
«Dal punto di vista intellettuale, mi pare difficile poter dire che non ci siano le premesse per l’esistenza di un centro dello stesso tipo nella Svizzera italiana: storicamente e culturalmente, il Ticino (e le regioni italofone dei Grigioni, aggiungerei) hanno un destino specifico, che implica una vita letteraria particolare, delle relazioni ricche e complesse con l’Italia come con il resto della Svizzera, un’attività editoriale a sé, per citare solo gli elementi più salienti».

Vero, però in Ticino non c’è appunto niente che assomigli al Centro romando per la letteratura.
«Ora che il Ticino è dotato di un polo accademico, le condizioni per sviluppare delle ricerche incentrate su questa realtà mi sembrano riunite. Non si tratterebbe, intendiamoci, di favorire un approccio localista che implicherebbe un ripiego campanilista, ma di promuovere la conoscenza di quanto costituisce un tessuto culturale che possiede la propria originalità, e che merita forse di essere studiato in maniera più sistematica, in complemento alla formazione « tradizionale » in italianistica».

Nel concreto quali passi andrebbero fatti, dunque?
«Per creare un’entità del genere bisognerebbe che ci fosse un sostegno politico, una volontà delle autorità (e delle forze vive) universitarie, ma anche una buona coordinazione tra queste e le istituzioni che conservano archivi letterari. Il fatto che diversi carteggi importanti si trovino all’Archivio letterario svizzero di Berna (penso ad esempio ai fondi Giovanni Orelli, Anna Felder, Alberto Nessi, Remo Fasani) rende più complessa una collaborazione, ma le biblioteche ed i centri cantonali non mancano di risorse da studiare e valorizzare». 

Qual è il contributo del Centro alla letteratura della Svizzera francese?
«Il Centro non contribuisce in modo diretto alla letteratura contemporanea, ma serve da luogo di discussione e di riflessione sulle sue tendenze, da risorsa per l’accompagnamento critico, da organo di valorizzazione dei testi attraverso pubblicazioni mirate, in particolare tematiche, o attraverso esposizioni o attività di mediazione culturale. Il legame con l’insegnamento universitario è pure molto importante, perché mantiene vivo il rapporto tra il mondo accademico e la sfera creativa».

Quindi esiste però un rapporto con gli scrittori contemporanei?
«Gli scrittori vedono le loro opere studiate, succede che vengano invitati, e sanno che esiste un luogo disposto ad accogliere da subito il loro archivio se ciò interessa loro (il caso non è raro). Non bisogna poi scordare che, attraverso il lavoro fatto su testi meno recenti, in particolare attraverso la realizzazione di edizioni critiche, il Centro rinforza costantemente le basi storiche, e quindi la legittimità della produzione letteraria romanda».

Edizioni critiche, ma anche opere e libri. Come è vista questa vostra attività dalle case editrici della Svizzera romanda?
«Il Centro ho sempre evitato di trasformarsi in editore commerciale: i volumi che realizziamo sono concepiti e curati da noi dal punto di vista scientifico, ma collaboriamo sistematicamente con case editrici letterarie, prioritariamente in Svizzera francese, ma anche in Francia. Personalmente ho lavorato con i principali editori romandi (L’Aire, L’Âge d’Homme, Slatkine, Zoé, Noir sur Blanc, Éditions d’en bas…), ma anche in Francia con Gallimard, Garnier o Fata Morgana. Per le case editrici della Svizzera francese, rappresentiamo quindi non dei concorrenti, ma dei possibili partner per condurre dei progetti che necessitano delle conoscenze mirate in campo critico e della capacità redazionali di qualità».

Non tutti sono però convinti che la cultura possa creare anche economica e indotto.
«Il settore dell’editoria e della critica letteraria non è tra quelli che hanno le più forti ricadute economiche… quindi non posso testimoniare in prima persona. Il fatto che la cultura crei ricchezza è stato comunque provato da diversi studi molto solidi. Con lo sviluppo sempre più marcato di manifestazioni di mediazione culturale che la portano nei teatri o nei musei, anche la letteratura viene coinvolta in forme legate alla scena e allo spettacolo : l’evoluzione contemporanea tende a far rientrare anche i testi d’autore nell’ambito "produttivo", materialmente parlando, al quale fa allusione».

Come è stato possibile che un ticinese arrivasse a dirigere il Centro? Qual è la sua storia personale?
«La passione per la lingua e la cultura francese la devo all’ottima professoressa che ho avuto al collegio Papio di Ascona, Rose-Marie Baillet. Dopo il liceo, ho voluto proseguire gli studi in quel campo  a Losanna, dove non ero mai stato, fu una scelta quasi casuale».

E poi cosa è successo?
«A causa dell’esistenza del Centro che ora dirigo, il programma degli studi in letteratura francese comprendeva anche dei corsi su autori romandi: non ne avevo mai sentito parlare, ho seguito un seminario su Charles-Albert Cingria che mi ha affascinato, e a questo si sono poi aggiunti Gustave Roud, Catherine Colomb, Ramuz e molti altri. Ho concluso gli studi con una tesi di laurea su Nicolas Bouvier, allora appena conosciuto, e ho proseguito con un dottorato, terminato a Parigi, per studiare la nascita del concetto stesso di letteratura romanda nell’Ottocento». 

Come mai questo interesse?
«Mi è piaciuto lavorare in un campo dove molti aspetti rimanevano e rimangono da esplorare, dove ci si deve confrontare direttamente alle opere e alle fonti, senza potersi appoggiare su ampie bibliografie critiche. L’interesse provato per molti aspetti letterari e culturali di cui mi sono occupato non sarebbe bastato senza degli incontri e delle collaborazioni che hanno arricchito la mia formazione : oltre che a Doris Jakubec, penso a Roger Francillon, di cui sono stato l’assistente a Zurigo, a Françoise Fornerod, con la quale ho codiretto la rivista Écriture, e soprattutto a mia moglie, Anne-Lise Delacrétaz, vodese attiva nel mio stesso ambito, che è uno stimolo vivente».

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