L’intervista

«Ecco come si risparmia sui costi della salute»

Pius Zängerle, direttore di curafutura, intravede margini più o meno ampi per mantenere una sanità di qualità
© CdT/ Chiara Zocchetti
11.11.2021 09:52

Incidere sui costi senza intaccare la qualità. Fondamentale e possibile in un Paese come la Svizzera che, secondo il direttore di curafutura, vanta una sanità all’avanguardia. Ma costosissima. Ed è qui che Pius Zängerle intravede margini di manovra. Più o meno ampi. Più o meno concretizzabili in tempi brevi.

Come? Mantenere tutto ciò che c’è oggi ma distribuirlo meglio. Perché, ed è questo il concetto su cui insisterà Zängerle nel corso di tutta la chiacchierata con il cronista, «la medicina di base deve rimanere presente su tutto il territorio ma le cure sanitarie di alta e di media specialità vanno concentrate in centri dove medici e personale sono altamente competenti».

In sostanza, la ricetta di curafutura si basa sul concetto ‘non avere tutto ma qualcosa’?
«Per le emergenze il paziente deve avere a disposizione un ospedale non troppo lontano da casa ma per l’elettivo, ovvero tutti quegli interventi programmati, si può spostare. Non solo in un’altra struttura del cantone ma anche più in là. Alp Transit in questo senso ha facilitato le cose, le distanze si sono accorciate».

Aspetto che deve assolutamente essere considerato nella nuova Pianificazione sanitaria. Lo farà?
«La Pianificazione deve tenere conto dell’intero territorio, di tutto il cantone dunque, e non più guardare alle singole regioni».

Uno dei problemi in Ticino è il campanilismo, l’eccessivo attaccamento alla propria città, al proprio paese, alle proprie strutture... Pensa si riesca prima o poi a modificare almeno un po’ questo atteggiamento?
«Sono fiducioso. Ripeto, dobbiamo impegnarci per mantenere le strutture ma non per forza queste devono offrire tutte le specializzazioni della medicina. Altri cantoni hanno adottato approcci regionali. San Gallo ad esempio ha fatto una piccola rivoluzione, riducendo a quattro i suoi otto ospedali pubblici. Si riesce così a offrire il meglio, a garantire un’alta qualità delle cure e a ridurre i costi ».

Questa modifica va nella giusta direzione. Una buona pianificazione ospedaliera in Ticino avrà un impatto positivo sui costi ma ci vogliono anche altre riforme

Un modo, pure, per accrescere la professionalità dei medici. Un aspetto importante no?
«È evidente che se un chirurgo fa solo un certo tipo di intervento è più specializzato di un altro che in sala operatoria si deve occupare un po’ di tutto. Negli ospedali più grandi è anche più semplice assumere buoni medici».

Tornando alla Pianificazione. È passata in mano al Consiglio di Stato. Sarà dunque il governo a elaborare il “documento pianificatorio” per stabilire gli istituti autorizzati a esercitare. Una buona notizia?
«Questa modifica va nella giusta direzione. Una buona pianificazione ospedaliera in Ticino avrà un impatto positivo sui costi ma ci vogliono anche altre riforme se vogliamo frenare l’aumento della spesa in uno dei cantoni, il Ticino appunto, con i costi più elevati».

Aumenti che, a parte l’eccezione di quest’anno, l’assicurato non sempre capisce. Provi a spiegarglielo lei direttore.
«Per legge i premi devono coprire i costi cantonali e i costi della salute in Ticino sono tra i più alti in Svizzera. Se vogliamo agire sui premi di cassa malati, dobbiamo agire sui costi. Il loro livello è legato alla demografia, ma anche alla forte densità di fornitori di prestazioni (medici, farmacie, e altri...) e a fattori culturali ».

Quindi, che fare?
«Il cantone ha diversi strumenti (pianificazione ospedaliera, autorizzazioni per i medici) per influire sui costi. Ma bisogna anche portare avanti riforme del sistema sanitario a livello federale».

Una delle soluzioni su cui tanto si discute per avere più qualità e spendere meno sono le cure integrate. In pratica cosa significa?
«Significa instaurare una relazione tra i diversi prestatori, tra il medico di famiglia, lo specialista e l’ospedale. In Ticino è stata lanciata una nuova rete di medici di famiglia nel 2020 il cui compito è coordinare. Un approccio interprofessionale, orientato al paziente che consente di usufruire del supporto specialistico appropriato al momento giusto e nel posto giusto. Sempre con l’obiettivo di migliorare la qualità del trattamento lungo l’intero percorso di assistenza e di trattamento».

E di ridurre i costi.
«Certo. Diversi studi dimostrano che le cure integrate fanno scendere la spesa del 20-25%. Oltre, ovviamente, a contenere il rischio di sovramedicalizzazione. Sfruttano le sinergie, ottimizzano le prestazioni ad alta qualità e riducono i costi».

Veniamo ora al tanto discusso Tarmed. Qual è, per così dire, l’oggetto del contendere?
«Con il Tarmed si fatturano le prestazioni mediche ambulatoriali con una tariffa per singola prestazione. È però un tariffario vetusto che non tiene conto dei progressi della medicina. Da qui l’idea di un tariffario nuovo: il TARDOC».

Non tutti i partner coinvolti sono d’accordo con il TARDOC. C’è chi si sente svantaggiato, altri insistono sull’introduzione di un forfait anche per le cure ambulatoriali

Un cantiere aperto da dieci anni!
«È un tariffario sulla base del quale si fatturano 12 miliardi di prestazioni. Evidentemente gli interessi in ballo sono molti. Dopo vari tentativi, ora dovremmo essere sulla via giusta. Più volte presentato al Consiglio federale e più volte sottoposto a revisioni, speriamo venga approvato nel 2022 e veda la luce nel 2023».

Ma qual è la ragione di questi tempi così lunghi?
«Non tutti i partner coinvolti sono d’accordo con il TARDOC. C’è chi si sente svantaggiato, altri insistono sull’introduzione di un forfait anche per le cure ambulatoriali».

Cosa significa?
«Vuol dire prevedere un importo fisso per una determinata prestazione. In alcuni casi può andar bene, in altri, come nella medicina di base, no. Potrebbe svantaggiare i pazienti anziani o polimorbidi. In questo caso sarebbe controproducente».

In discussione c’è anche il finanziamento delle cure ambulatoriali, oggi al 100% a carico delle casse malati i cui premi potrebbero quindi salire.
«Oggi lo spostamento dallo stazionario all’ambulatoriale tende a fare aumentare i premi. Il progetto EFAS (finanziamento uniforme ambulatoriale e stazionario) è fondamentale: Cantoni e assicuratori finanzierebbero i due settori, ambulatoriale e stazionario appunto, in modo uniforme (25% cantoni/75% assicuratori) ».

Riassumendo direttore: bisogna intervenire su più fronti, dunque. Concentrare e coordinare meglio strutture e cure, EFAS, introdurre il TARDOC nell’ambulatoriale... Cos’altro?
«Cambiare il sistema di margini di distribuzione, ridurre i prezzi di fabbrica dei generici e introdurre incentivi tariffari per incoraggiare farmacisti e medici a dispensarli. Ricordo che in Svizzera la quota dei generici è tra le più basse in Europa».

Veniamo alle tanto vituperate riserve delle casse malati. Che dire?
«In qualsiasi sistema assicurativo le riserve sono necessarie. 10,9 miliardi di riserve (2020) sembrano tanti ma in realtà equivalgono a circa quattro mesi di prestazioni LaMal. La SUVA, tanto per fare un esempio, ha riserve per 165 mesi».

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