L'intervista

«Ecco perché la Cina ha già vinto»

Da Confucio all'Intelligenza Artificiale, l'esperto Alessandro Aresu spiega dove e come l'Occidente è rimasto indietro
©Ng Han Guan
Francesco Mannoni
14.09.2025 13:00

Dopo l’ininterrotto incremento annuale del PIL per svariati decenni, si è pensato per anni (con pungente invidia), che l’economia cinese prima o poi sarebbe collassata. No, come spiega Alessandro Aresu, invece «La Cina ha vinto» (Feltrinelli, 144 pagine) su tutti i fronti tecnici-commerciali. Il segreto, spiega l’autore che presenterà il suo saggio alla 26° edizione di Pordenonelegge (17 e 21 settembre con oltre 400 eventi), consiste nel fatto che «i governanti comunisti hanno raccolto e perfezionato l’eredità della millenaria e sofisticata macchina amministrativa cinese».

Professor Aresu, qual è il segreto dell’imbattibilità commerciale dei cinesi?

«È essere diventati una superpotenza manifatturiera in pochi decenni, potendo sfruttare un vasto mercato interno, divenendo indispensabili in alcune filiere materiali e tecnologiche e protagonisti oltre le aspettative delle rivoluzioni digitali, come quella dello smartphone. La tecnologia delle Tigri che ha caratterizzato altre potenze manifatturiere asiatiche è stata portata su un’enorme scala dalla Cina in questo secolo. Una volta che si comprende che l’iPhone è esistito per merito delle aziende e della forza lavor o di Taiwan e della Cina, e che gli show di Steve Jobs erano solo la parte comunicativa, si capisce questo processo. La Cina non è imbattibile perché ci sono nicchie che non controlla, è debole a livello finanziario e vulnerabile al rallentamento dell’economia, ma è lo stesso una superpotenza manifatturiera».

La parata militare cinese alla presenza di Putin, del nord coreano Kim Jong-un e numerosi altri capi di Stato e la presenza anche (criticata!) del politico italiano Massimo D’Alema, è una dimostrazione di forza, una minaccia celata?

«Massimo D’Alema era presente anche in uno degli episodi che racconto in «La Cina ha vinto», l’intervento di Wang Huning per i 2.575 anni dalla nascita di Confucio. Al di là di questo, credo che la parata sia stata una dimostrazione di forza, anche per il piano interno. Non va però sopravvalutata, perché quei Paesi non sono certo legati da un cordone ombelicale e possono avere profondi dissidi».

In quest’ottica di potenza quale sarà l’avvenire di Taiwan? Sarà occupata come da tempo il governo cinese intende fare?

«Credo che il Partito comunista cinese non voglia occupare Taiwan. Le notizie che spesso leggiamo sul tema insistono sempre sugli aspetti violenti e sulla guerra ma per il Partito è meglio influenzare la politica e la società di Taiwan fino a giungere a un’annessione pacifica, per esempio nel prossimo decennio. Almeno, questo è il Piano A più razionale, da perseguire mentre si dice comunque che l’uso della forza non può mai essere escluso (la Cina non può proprio dire il contrario). I falchi degli Stati Uniti vorrebbero portare la Cina a un’azione militare, e ci sono senz’altro anche i falchi cinesi che la vogliono lo stesso, anche se è meno razionale. Del resto l’apparato militare cinese ha dato poche prove operative reali, ci sono enormi incognite».

Che cos’è realmente il «Fronte Unito» cinese?

«È la mobilitazione per gli interessi cinesi anche di chi non fa parte del Partito comunista, che viene usato in modo più o meno consapevole. È una strategia sofisticata e offensiva, che contiene anche elementi di intelligence, e che si è chiaramente intrecciata con la politica cinese sulla scienza, la ricerca e la proprietà intellettuale».

Di fronte alla forza economica cinese, l’Europa è sempre meno competitiva anche per via dei maggiori costi del lavoro?

«La questione dei costi del lavoro è in sostanza una auto-consolazione totalmente inutile. Sui costi del lavoro ormai competono alcuni Paesi del Sud-est asiatico più che la Cina. I ritardi europei sono molto più profondi, se pensiamo che sia il costo del lavoro non capiamo niente. Gli europei hanno perso i treni delle varie rivoluzioni digitali (personal computer, Internet, smartphone, social media), fino all’intelligenza artificiale. Sono stati umiliati sullo spazio da Space X. L’Europa, per competere con gli altri e per avere un futuro, deve mantenere i propri talenti e attrarne dall’estero; abbattere barriere e modulistica per avere un ambiente dove si possono fondare nuove imprese e farli crescere; portare i capitali, anzitutto degli investitori istituzionali privati, verso l’innovazione. Se ciò non accade, il declino sarà ancora più accentuato».

Il talento asiatico è il fattore determinante del mondo futuro? Cosa lo genera e definisce?

«Il fatto che in Asia ci sono miliardi di persone che studiano, in università che sono migliorate costantemente. Più articoli scientifici, più brevetti, più corsi di studio sui temi che definiscono la capacità industriale e tecnologica su vastissima scala. Questo è il fattore decisivo».

Solo l’India potrà gareggiare con la Cina in un imminente futuro? Potrebbe superarla?

«Sì, anche se l’India ha profonde difficoltà su infrastrutture e altri temi, ma è una vera superpotenza del capitale umano. Paese non allineato per eccellenza, ha un concetto di autonomia che abbiamo visto anche nel balletto con Trump sui dazi e che continuerà a definire il futuro. Non diventerà mai né «filo-americana» né tantomeno «filo-cinese». Svilupperà un maggiore nazionalismo tecnologico. Un intellettuale indiano, Samir Saran, ha scritto un bel libro sulla pace cinese e il risveglio indiano, che aiuta a capire questa prospettiva».

I cinesi sono disseminati in tutte le nazioni del mondo e detengono ovunque primati commerciali importanti: una strategia che anche in America ha attecchito alla grande?

«Nel libro spiego con molti esempi e dettagli che i giganti tecnologici dell’America sono dipendenti dai talenti cinesi. Nelle conferenze scientifiche, nei laboratori di ricerca il numero di cinesi è elevatissimo. Pertanto, c’è una doppia dipendenza. Il talento asiatico è il fattore determinante del mondo ma gli Stati Uniti sono il grande magnete dei talenti, che attrae queste persone più degli altri. Perciò per capire verso dove andremo bisogna considerare dove i talenti sceglieranno di vivere e se gli Stati Uniti manterranno questo ruolo».

Anche le macchine di Byd sono destinate ad invadere il mondo nonostante i dazi americani?

«Le aziende automobilistiche cinesi si faranno la guerra dei prezzi tra di loro. Moltissime moriranno, altre sopravviveranno. Sarà un processo doloroso. Ma Byd è già uno dei leader mondiali. Anche alcune figure occidentali, come il braccio destro di Warren Buffett, Charlie Munger, di cui parlo nel libro, hanno visto la sua ascesa e capito quello che stava accadendo. Dentro un processo in cui, come spiego in «La Cina ha vinto», figure di primo piano come il ministro cinese Wan Gang hanno appreso il meglio delle capacità tedesche, studiando e lavorando in Germania. Gli stolti di questa storia sono state le aziende automobilistiche occidentali, ed è bene sapere che la colpa di quello che è accaduto, la colpa della perdita dei posti di lavoro degli europei, è soprattutto loro, della loro incapacità, della loro inadeguatezza».

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