Farsi derubare tra i «maranza» di Lugano

Lo zaino era lì, un attimo prima. E un attimo dopo non c’è più. Appoggiato su un tavolino del bar-ritrovo dei «maranza» che da mesi assediano il centro di Lugano, tra petizioni dei residenti e interventi di polizia. Una distrazione: nel via vai di giovani gasati di finire sul giornale - si esibiscono, raccontano, si mettono in posa - qualcuno coglie l’occasione. Zac!
Parapiglia, risate: è una festa.
«Oh, raga, gli hanno fatto lo zaino!».
«Non ci credo: ma veramente?»
Veramente. Per fortuna non c’era dentro quasi niente. Dopo vane ricerche, non resta che andare in Polizia e mettere a verbale la conclusione amara: per il disagio giovanile a Lugano come altrove servirebbe il pugno duro, altro che.
Ma è una conclusione poco obiettiva. In realtà, incontrando i «maranza» più o meno giovani, più o meno minorenni che ormai dilagano ovunque ma in Ticino hanno il loro palcoscenico preferito - gli elementi migliori - tra la Pensilina Botta e il quartiere Maghetti (ora anche Lugano Marittima) si imparano tante cose. Anzitutto, che è meglio non fidarsi. Non è solo una posa: a furia di «atteggiarsi» la posa diventa realtà. Scambiare i giovani difficili per delinquenti qualunque, però, sarebbe un altro errore.

Long Island, per favore
Alle 16.00 di mercoledì Carlos, 17 anni, ha voglia di un drink. Ordina un long island e al barista dice di averne 18. «Vengo qui sempre, mi conoscono» dice per vantarsi.
Che sarà poi una bugia, per uno che sul «groppo» ha già denunce per lesioni ed estorsione ai danni di minori ed è fake dalla testa ai piedi? La divisa da «maranza» comincia dalle scarpe (Nike TN) e finisce con il cappellino (Gucci tarocco, di solito) passando per l’immancabile marsupio a tracolla che nel caso di Carlos (marca Louis Vuitton, falso anche quello) è la copia di un originale che - sentite la storia - gli sarebbe stato «rubato dalla polizia» durante una perquisizione perché «non credevano che mi potevo permettere l’originale».
Il condizionale nella lingua dei «maranza» non è di moda più della sincerità. Tutto è vanteria, anche la mazzetta di banconote arrotolate - «non esco mai con meno di cinquecento franchi» - che Carlos tira fuori dal marsupio, dove tiene anche le cartine e chissà cos’altro.
«Buco tuo padre»
I soldi sembrano essere il cuore della vita da «maranza» assieme alla poltiglia dis-valoriale del repertorio Trap.
«Buco tuo padre se non hai rispetto»
«Paga i debiti o li paga tua madre».
Un giovane palestrato in canottiera cita a memoria i versi più indimenticabili dell’italo-tunisino Simba La Rue, o dell’italo-marocchino Baby Gang: celebrano la violenza e l’estorsione ma sono «più che altro un atteggiamento» assicura il 21.enne Giuseppe, impiegato di commercio e maranza ‘‘rinsavito’’ o quantomeno un po’ cresciuto. «In realtà nessuno di questi personaggi fa veramente queste cose, io non le farei mai».
Qualche furtarello ammette di averlo fatto, in realtà - «il classico motorino, per divertimento» - ma precisa che all’epoca era minorenne: l’evoluzione semantica del «maranza» termina con il compimento della maggiore età, quando termina anche il diritto penale minorile (con le sue pene che «non fanno paura a nessuno»). La parola pare venga da «Marrakesch» o «Marocco» con desinenza -anza tipica del Nord Italia, e significa in soldoni «giovane appartenente a comitive chiassose e attaccabrighe».
In ogni caso non è un complimento. Tanto che alla domanda esplicita - «ma tu sei un maranza?» - quasi nessuno al Maghetti si identifica nello stereotipo. Qualcuno quasi si offende.
Indossare la violenza
«Quando ero ragazzino facevo spesso a botte e sono quasi finito in galera, ma adesso rigo dritto» dice un 23.enne ugualmente palestrato e tatuato, ugualmente in tuta. Se è vero che l’abito non fa il monaco - «posso venire qui anche vestito con un kimono e fare le peggio cose» filosofeggia un altro «bro» più tendente allo stile rap - è vero anche che nella sub-cultura adolescenziale l’associazione tra abbigliamento e comportamento è forte, identitaria.
Un 15.enne che chiameremo Brian esemplifica alla perfezione il concetto: si fa largo nel gruppetto calandosi i pantaloni per mostrare le mutande, su cui sono disegnati vari tipi di banconote (nella comitiva ci sono anche delle ragazzine, che ridono di gusto). Agganciato al boxer, e quindi coperto dalla maglietta, ha un manico di plastica da cui fa scattare («taaac») una lama di coltello. La Polizia cantonale, in sede di denuncia, ci spiegerà che questi coltelli sono vietati ai sensi della Larm e il possesso è perseguito penalmente (proprio lo «scatto» rappresenta un aggravante maggiore rispetto ai coltelli normali). Purtroppo, è noto alle forze dell’ordine che sono molto diffusi anche tra i minorenni.
Tornando all’abbigliamento, Brian mostra con entusiasmo la divisa con i relativi prezzi: scarpe di Versace a 450 franchi (ma lui le ha comprate fake a 25), il marsupio di Louis Vuitton da 1.400 franchi (pagato 160) e via dicendo: orecchino, maglietta, pantaloni, tutto è «di marca» ossia tarocco e segue un codice rigoroso il cui messaggio è «che tutta questione di soldi, bro».
«Bro», fratello, è il saluto internazionale della pocaggine che nei soldi - si finisce sempre lì - riconosce il motore di tutto. Brian non si fa scattare nemmeno una foto, se non viene pagato - «almeno cinquanta franchi, bro» - ed è già tanto che parli a gratis. «Perché siamo a Lugano e non allo Zen di Palermo, altrimenti vedevi che fine facevi».
Dalle parole ai fatti
La minaccia è sempre latente, tra uno scherzo e l’altro: appena si voltano le spalle può sfociare nei fatti - Brian e un altro ragazzo a un certo punto si accapigliano, calci e strattoni, per un motivo ignoto - e finire poi di nuovo nella risata e nello scherzo. Ad assistere a queste scene ci sono anche degli adulti, il cui atteggiamento è a metà tra indifferente e rassegnato: il gestore del bar, che ai «maranza» fornisce da bere abbondantemente, e il parrucchiere affianco che taglia loro i capelli.
«Vogliono tutti lo stesso taglio, si chiama mullet o a punta» spiega. «Alcuni soggetti però non li faccio nemmeno entrare, non voglio problemi».
Altri adulti, meno raccomandabili, si mischiano alla combriccola per scopi diversi. Il tramonto è ancora lontano e biascicano già. Bottiglia di Jack Daniels in saccoccia, l’aria si riempie di odore di hashish. È un mondo vicino eppure lontano - Parco Ciani e dintorni - o almeno lontano dovrebbe essere, il più possibile, dalla gioventù ancora non del tutto bruciata. Compaiono e spariscono, e con loro alla fine delle interviste è sparito anche lo zaino.
Il peggio di Lugano
«Sicuramente l’avranno buttato in giro, sono furti comuni e hanno in genere una buona possibilità di risoluzione» tranquillizzano gli agenti che, allertati, iniziano a setacciare i dintorni. Non resta che sperare nel colpo di fortuna. Nel vicino commissariato della Polizia cantonale, dopo aver fatto il verbale, confermano: il livello di violenza da parte dei giovanissimi è aumentato molto negli ultimi anni e gli interventi sono sempre più numerosi, soprattutto nei weekend. «Non è la Lugano che abbiamo conosciuto da ragazzi» sospira a malincuore l’agente.
Le cronache lo confermano e in effetti alcuni dei «maranza» intervistati al Maghetti sono già finiti sui giornali - non ne fanno mistero - per fatti ben più gravi. Nello stesso bar il 20 aprile un 19.enne è stato massacrato di botte da un gruppo di cinque giovani: l’inchiesta è ancora in corso, ne è nata un’interrogazione al Municipio. La preoccupazione è forte tra chi abita il quartiere e anche chi lo amministra.
Riccardo Caruso, direttore della Fondazione Maghetti, coglie l’occasione per ribadire come «quello della violenza giovanile è un problema sottovalutato e che andrebbe una buona volta affrontato di petto dalle autorità competenti». Lo zaino rubato, dal canto suo, «è l’ennesima dimostrazione della situazione di insicurezza di cui siamo purtroppo diventati ostaggio ultimamente». Se la violenza nelle strade della movida non è una novità - a pochi metri di distanza, fuori dalla discoteca Blue Martini, un 21.enne è finito in coma in una rissa a novembre scorso - lo sono invece gli assembramenti dei minorenni spostatisi dalla Pensilina al Maghetti («parliamo anche di un centinaio di persone, il sabato sera»). E porre un freno non basta la presenza della security né della videosorveglianza. «Le telecamere ci sono e funzionano - assicura Caruso - ma il loro effetto dissuasivo è praticamente ridotto a zero».
Non ci sono telecamere, comunque, nel punto dove è stato rubato lo zaino. «Quel locale pubblico non è amministrato da noi» sottolinea Caruso. «Non possiamo farci niente». A questo punto, viene da dire, ci sono problemi ben più gravi da risolvere.
Carlos, Brian e compagni nel frattempo si sono ringalluzziti a suon di alcolici per la serata che sta per iniziare. Questa sera aprono le bancarelle di Lugano Marittima, e forse si sposteranno lì a «fare festa» quando si saranno annoiati di bighellonare al bar. Per una notte, si spera, gli abitanti del Maghetti potranno dormire in pace.