L'intervista

Gli algoritmi che scoprono nuove malattie

Il dottor Santiago Fernández González, direttore del laboratorio Infezione e Immunità all'IRB dal 2012, studia le cellule, le segue e le spia con un potente microscopio
©Chiara Zocchetti
Mauro Spignesi
19.03.2023 21:29

Studia le cellule, le segue, le «spia» e le filma con un potente microscopio per capire i loro segreti. Il dottor Santiago Fernández González, dal  2012 dirige all’Istituto di ricerca in biomedicina (Irb) il laboratorio Infezione e Immunità, dove lavora una équipe che sviluppa studi in diversi campi medici. Gonzalez (ha due dottorati, uno in immunologia all’Università di Copenaghen e uno in microbiologia all’Università di Santiago de Compostela, oltre un post dottorato alla Harvard Medical School di Boston), spiega come si lega l’intelligenza artificiale alla ricerca medica.

Lei lavora nell’analisi della migrazione e dell’interazione delle cellule immunitarie usando microspie e nuovi metodi basati sull’intelligenza artificiale (IA). Di cosa si tratta esattamente?

«Quando si genera un tumore, inizia una guerra tra le cellule cancerogene e il sistema immunitario che protegge il nostro corpo da potenziali malattie. L’esito di questo scontro deciderà lo sviluppo futuro della malattia e lo stato di salute del paziente. All’Istituto di Ricerca in Biomedicina (IRB) disponiamo delle più avanzate tecniche di imaging che ci permettono di registrare la disputa tra le cellule immunitarie e quelle tumorali e di generare filmati in cui possiamo monitorare questi comportamenti. Tuttavia, prevedere il risultato finale di questa lotta è un compito complesso; pertanto, contiamo sull’aiuto fornito dai metodi computazionali che possono prevedere chi vincerà basandosi sui filmati registrati».

Quanto è diventata importante la tecnologia nella ricerca medica? 

«La storia della ricerca medica va di pari passo con lo sviluppo di nuove tecnologie. Per esempio, la generazione dei primi microscopi, centinaia di anni fa, ci ha permesso di scoprire i mondi microscopici dei microbi che causano le malattie. Tuttavia, lo sviluppo di nuove tecnologie, tra cui l’intelligenza artificiale, è esploso negli ultimi decenni permettendoci di comprendere i meccanismi alla base delle malattie e di sviluppare nuovi trattamenti contro di esse. Tutto ciò avviene sempre più velocemente grazie ai computer che sono in grado di analizzare trilioni di dati con una velocità pari a quella del pensiero».

Di intelligenza artificiale si parla molto, in diversi campi d’intervento. In quali aree mediche e di ricerca può essere impiegata meglio? 

«L’intelligenza artificiale (IA) è un ulteriore strumento destinato a rivoluzionare il modo di fare medicina. A mio avviso, uno dei più importanti campi di applicazione di questa nuova tecnologia sarà la diagnosi di nuove malattie. L’accoppiamento della tecnologia dell’IA con i microdispositivi, in grado di monitorare costantemente molti parametri del paziente, sarà in grado di rilevare potenziali disturbi, come l’insorgere di un tumore, di una malattia infettiva o di una condizione autoimmune, già nella fase iniziale. Oltre che, evidentemente, a suggerire il trattamento più adatto per quello specifico paziente. Questo è l’obiettivo del nuovo tipo di assistenza medica chiamata medicina personalizzata».

L’intelligenza artificiale ha aiutato la ricerca. Dove si può arrivare?

«Come ho detto in precedenza, dobbiamo sviluppare nuovi dispositivi che, uniti alla potenza dell’analisi svolta con l’intelligenza artificiale (IA), rappresenteranno la prima linea di diagnosi, che possiamo svolgere a casa nostra. Questa è già una realtà: sono infatti già stati sviluppati numerosi metodi di diagnosi precoce di malattie. Ad esempio, un gruppo del Massachusetts Institute of Technology (MIT) è stato in grado di rilevare il morbo di Parkinson in base ai modelli di respirazione di alcuni pazienti, utilizzando un modello basato sull’IA».

Nel vostro Istituto c’è un microscopio molto potente, per cosa viene usato? 

«Questa potente tecnologia di imaging, denominata microscopia intravitale a 2 fotoni, consente di studiare il movimento delle cellule a livello microscopico in campioni viventi. Attualmente utilizziamo questa tecnologia per selezionare immunoterapie più efficienti contro i diversi tipi di cancro. Inoltre, stiamo usando questo microscopio per studiare il processo infiammatorio avviato dopo l’infezione con agenti patogeni come il virus dell’influenza, lo streptococcus pneumoniae o il coronavirus».

Gli algoritmi che vanno a indagare sul comportamento dell’organismo da chi vengono creati? 

«Si tratta di un compito molto complesso che richiede una collaborazione interdisciplinare tra scienziati del settore biomedico e computazionale. La maggior parte di questi sforzi è stata finora generata in università con una forte componente tecnica e interdisciplinare, come il MIT, negli Stati Uniti. L’Università della Svizzera italiana (USI) si trova in una posizione privilegiata per fungere da polo grazie alla sue competenze negli ambiti delle scienze computazionali e della biomedicina».

Negli USA è emersa la necessità di approvare dal punto di vista scientifico linee guida universali per la creazione e l’uso degli algoritmi in medicina. E questo perché non sempre vengono creati da medici, spesso da informatici. Crede che sia un problema vero, importante? 

«Come molte altre tecnologie rivoluzionarie, l’intelligenza artificiale (IA) potrebbe essere usata per il bene comune o per scopi non altruistici. Pertanto, è sempre necessario regolamentare e legiferare sull’uso di questi potenti strumenti. Nell’ambito dell’IA, i dati stessi diventano una risorsa preziosa. Fortunatamente, il governo svizzero sta compiendo un importante sforzo per rendere pubblici i dati raccolti. In questo senso, nel nostro gruppo abbiamo creato, grazie al sostegno del Fondo Nazionale Svizzero per la Ricerca Scientifica (FNS) e delle Università svizzere (swissuniversities), un database pubblico in cui mettiamo a disposizione dell’intera comunità i video intravitali generati dal nostro gruppo e da una rete internazionale di laboratori (www.immunemap.org). Questa piattaforma consentirà l’accesso a a queste risorse a molti scienziati di tutto il mondo».

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