Israele

Gli aramei sono stretti tra i due fuochi

Viaggio in una minoranza «neutrale» che vive tra Gerusalemme e Betlemme, e spera che il conflitto finisca presto
Una chiesa aramea a Gerusalemme.
Andrea Stern
Andrea Stern
25.05.2025 06:00

C'è una piccola minoranza che potrebbe fungere da ponte nel difficile dialogo tra israeliani e palestinesi. Sono gli aramei - né arabi, né ebrei - una comunità che vive da millenni nella regione e la cui presenza in Terra Santa si è rinfoltita a seguito del genocidio di inizio Novecento, che ha visto fuggire i reduci verso centri come Gerusalemme o Betlemme, dove già abitavano altri aramei. Oggi tra le due città vivono circa 14’000 aramei, alcuni con cittadinanza israeliana, altri palestinese, ma poco importa. Gli aramei hanno la particolarità di nutrire buoni rapporti con tutti e di essere apprezzati da tutti.

«Dal 2012 gli aramei sono riconosciuti ufficialmente come minoranza dallo Stato di Israele - spiega Melki Toprak , presidente della Federazione degli aramei (siriaci) in Svizzera -. È l’unico Paese del Medio Oriente ad averlo fatto. Questo significa che agli aramei sono riconosciute anche le loro tradizioni e la loro lingua, che possono praticare liberamente la loro religione cristiana. Gli aramei fanno pienamente parte della società, conducono una vita normale, con la differenza che non sono tenuti ad arruolarsi nell’esercito israeliano».

Lo spartiacque

La «vita normale» è però ormai un lontano ricordo anche per chi si trova relativamente lontano dalle zone di conflitto, come a Gerusalemme e Betlemme, dove il locarnese Melki Toprak si è recato a fine aprile insieme al segretario Tony Urek nell’ambito di un progetto di sostegno alle famiglie bisognose, alle scuole e agli studenti, condotto appunto dalla Federazione degli aramei (siriaci) in Svizzera.

«Gli attacchi del 7 ottobre 2023 hanno cambiato tutto - spiega Toprak -. Prima gli aramei vivevano bene, oggi è tutto più difficile. In città a Gerusalemme e a Betlemme la situazione è abbastanza tranquilla, sebbene non si possa mai escludere il rischio di vedersi cadere un missile degli Houthi sulla testa. Il problema principale è che è quasi completamente svanito il turismo, che per la comunità aramea costituiva una importante fonte di guadagno, già solo per i pellegrinaggi. Molte persone avevano preso impegni finanziari, avevano iscritto i figli a scuole che oggi non riescono più a pagare, perché non hanno più un lavoro. Per questo il nostro sostegno si è rivolto in primo luogo verso gli allievi e gli studenti universitari aramei, per consentire loro di portare a termine la formazione e garantirsi un futuro».

Perché un futuro ci sarà, anche se oggi la situazione sembra irrisolvibile. «È chiaro a tutti che Israele andrà avanti finché ci saranno ostaggi a Gaza - afferma Toprak -. La questione è cosa succederà dopo. A me sembra di capire che gli israeliani non ce l’abbiano con i palestinesi, bensì con il gruppo di Hamas. Una volta finito il conflitto sarà importante riuscire a riannodare il dialogo tra le parti. Ma per questo ci vorrà un’autorità palestinese che abbia un vero ruolo e che sia veramente riconosciuta».

Guardarsi in faccia

Un dialogo tra pari, in cui l’Occidente si limiti a fare da paciere. «Israeliani e palestinesi devono potersi parlare tra di loro, guardarsi in faccia e trovare insieme una via per andare avanti, nell’interesse di tutti - sostiene Toprak -. Il ruolo che potrebbero avere gli altri Paesi, in particolar modo la Svizzera, è quello di fornire aiuti e di mettere a disposizione i propri buoni uffici. Ma non di decidere per gli altri».

Da parte loro gli aramei dimostrano già oggi che vivere in pace è possibile. La comunità non ha mai dato adito a conflitti e, anzi, ha giocato un ruolo positivo nello sviluppo della regione. Tra le tante cose, ha prestato la sua lingua persino a Gesù Cristo e ai suoi discepoli. «Ancora oggi gli ebrei ortodossi apprendono l’aramaico nell’ambito dei loro studi dei testi sacri- spiega Toprak -. E a Gerusalemme è possibile farsi capire parlando in aramaico. Nella città vecchia, all’inizio del 2025, è stata inaugurata la sede storica ristrutturata del Centro culturale arameo. Siamo una comunità viva. Ma il nostro desiderio è che anche intorno a noi possa finalmente risuonare la pace».

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