Calcio

I canti negli stadi contano

Senza tifosi e cori di stampo razzista i giocatori «non bianchi» rendono di più – Abbiamo incontrato Fabrizio Colella, professore-assistente e «neo-acquisto» per la stagione 2023-24 della Facoltà di scienze economiche dell’USI
Mario Balotelli con la maglia del Brescia, nel novembre 2019. A Verona smise di giocare a seguito degli insulti di stampo razziale ricevuti dagli spalti. EPA/SIMONE VENEZIA
Marco Ortelli
24.09.2023 19:23

I tifosi - etimologicamente «colpiti da febbre con torpore» - non solo cantano, ma anche contano e possono influenzare le prestazioni dei giocatori sul campo, sia quando sono presenti negli stadi, sia quando ne sono esclusi. Lo pensa il senso comune. Lo certifica la scienza. Abbiamo incontrato Fabrizio Colella, professore-assistente e «neo-acquisto» per la stagione 2023-24 della Facoltà di scienze economiche dell’USI, autore di due studi scientifici che evidenziano alcune «influenze».

Insulti razzisti, tra stadi e social media

Nell’agosto 2021 ha concluso la sua ricerca inserita nella tesi di dottorato all’Università di Losanna scrivendo: «Ho riscontrato un aumento significativo dell'1,5% delle prestazioni dei giocatori non bianchi, rispetto a quelli bianchi, quando i tifosi non sono presenti allo stadio». In assenza di cori razzisti e insulti verbali: «Questo risultato suggerisce che la discriminazione razziale affrontata dai giocatori non bianchi influisce sulle loro prestazioni».

Se l’aspettava il ricercatore? «Ci sono diversi modi di fare ricerca - osserva Fabrizio Colella -, stare a vedere quello che succede oppure avere una teoria in mente e testarla con i dati. La mia teoria era che i cori razzisti avessero «probabilmente» un effetto negativo. Anche perché sul campo si erano riscontrate quelle che nelle scienze chiamiamo «anecdotal evidence» (prove aneddotiche), come nel caso di Mario Balotelli (vedi foto, ndr), che il 3 novembre 2019 in occasione della partita Verona-Brescia aveva smesso di giocare lanciando il pallone verso gli spalti a seguito dei reiterati insulti ricevuti a causa del colore della pelle».

A due anni da queste conclusioni, come stiamo in quanto a cori e insulti negli stadi? «Il numero di multe alle società, il numero in aumento di eventi a sfondo razziale registrati potrebbe far pensare che le cose stiano andando peggio. Questo però vuole anche dire che vi è più conoscenza e attenzione del fenomeno. Ad esempio negli stadi sono state messe telecamere ovunque. Vi è quindi un impegno maggiore volto a combattere e a ridurre il fenomeno».

Ma laddove salgono le restrizioni, ecco che i tifosi trovano nuove soluzioni per «soddisfare» le loro pulsioni. «La manifestazione del fenomeno si sta spostando dagli stadi ai social network - osserva lo studioso -. Qui si può rievocare quanto accaduto nel luglio 2021 al calciatore inglese Marcus Rashford, «reo» di avere sbaglato il rigore nella finale degli Europei contro l’Italia». Un 19enne «leone da tastiera» inglese aveva pensato «bene» di insultare su Twitter (ora X) il giocatore. Identificato, è poi stato condannato a sei mesi di reclusione, accompagnato in carcere dalle seguenti parole del procuratore della Corona: «Egli ha preso di mira un calciatore per il colore della sua pelle e la sua azione era un’incitazione all’odio razziale. Coloro che si rendono responsabili di questi comportamenti rovinano lo sport». «Rovinano lo sport - riprende Colella - e finiscono per far soffrire tutti, anche i giocatori della propria squadra. Questo porta a constatare che chi insul ta non abbia a cuore il risultato sportivo».

Due parole sul metodo. «Lo studio fotografa il campionato 2019-20 della Serie A italiana, quando a causa delle restrizioni COVID-19 un terzo delle partite è stato giocato in stadi chiusi. Ho classificato i giocatori in bianchi e non bianchi implementando un algoritmo di riconoscimento automatico del colore della pelle. Per la valutazione oggettiva delle prestazioni dei giocatori mi sono avvalso dell’algoritmo Alvin 482 utilizzato dal Fantacalcio (fantacalcio.it) che considera tra le variabili il punteggio ricevuto da ogni giocatore dopo ogni partita, nonché le caratteristiche di base della pelle. L’analisi statistica di tutti i dati ha quindi portato a stabilire l’aumento dell’1,5% delle prestazioni dei giocatori non bianchi rispetto a quelli bianchi».

«Il dodicesimo uomo in campo»

Col secondo studio - pubblicato sulla rivista Management Sciences il 14 settembre scorso - facciamo un… salto in Argentina. «Con i colleghi Patricio S. Dalton di Tilburg, Paesi Bassi, e Giovanni Giusti a Barcellona siamo partiti dall’idea di studiare quanto il pubblico aiuti una squadra a vincere una partita». «Perché in Argentina? A seguito del dramma avvenuto nel 2013, quando un tifoso era rimasto ucciso colpito da un proiettile vagante, la Federazione argentina da allora ha deciso di bandire dagli stadi - salvo rare eccezioni - le tifoserie ospiti. Siamo così andati a vedere quanto questo fattore impattasse sulla probabilità di vincere o di perdere della squadra senza i propri tifosi al seguito». Il risultato? «La squadra ospite senza fan a incitarli ha in media il 20% di probabilità in più di perdere», commenta Fabrizio Colella. «L’uomo in più» sul campo, quello che può spingere una squadra alla vittoria, trova qui una conferma dalla scienza.

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