L'analisi

I droni usati per lanciare provocazioni

Dopo il vertice Trump-Putin in Alaska la Russia ha intensificato i bombardamenti sulle città nemiche, con cadenza devastante
©Gavriil Grigorov
Guido Olimpio
21.09.2025 06:00

Dopo il vertice Trump-Putin in Alaska la Russia ha intensificato i bombardamenti sulle città nemiche. Con cadenza devastante. Solo in queste ultime settimane ha impiegato oltre 3500 droni e quasi 200 missili. 

Una pioggia di fuoco resa possibile anche dall’aiuto, indiretto, di paesi stranieri. L’intelligence di Kiev ha recuperato i rottami delle armi arrivate dal cielo ed ha fornito dati interessanti. Prendiamo il Geran 3, uno degli ultimi modelli lanciati dall’Armata: raggio d’azione di mille chilometri, velocità di 370 chilometri orari, è spinto da un motore a jet fornito da una compagnia basata in Cina. Secondo l’indagine condotta dai tecnici contiene 45 componenti non russe, così suddivise: la metà sono americane, poi 8 cinesi, 7 svizzere, 3 tedesche, 2 britanniche, una giapponese. Parliamo di pezzi elettronici, indispensabili per il funzionamento.

Non diverso l’S 70, altro drone di ultima generazione: anche qui tracce elvetiche, statunitensi e tedesche. Solo un segmento di una collaborazione letteralmente senza confini. Sempre un report ucraino avrebbe identificato quasi 4 mila componenti in 150 apparati bellici a disposizione di Mosca e apparsi su diversi fronti. Una cooperazione aperta dall’Iran quando ha fornito gli Shahed ai russi. All’inizio lenti, rumorosi, non troppo sofisticati. Sufficienti però a saturare le difese nemiche costringendo l’antiaerea ad un grande dispendio di «colpi». Successivamente la Russia ha creato impianti per realizzarli su licenza e renderli più sofisticati, veloci, maneggevoli e difficili da intercettare.

Le stime indicano una capacità di produzione intensa a dispetto delle previsioni che raccontavano il contrario: dicono 30 mila Geran 2 all’anno, numero destinato a salire nell’epoche successive.

Il successo della «famiglia Shahed» - e simili - è dovuto ad una serie di caratteristiche cruciali in un conflitto di lunga durata. Intanto l’affidabilità e la possibilità di avere scorte robuste: le battaglie sono dispendiose, la quantità rappresenta la qualità. Poi il costo: varia tra i 20 mila e i 50 mila euro, in qualche caso meno. Nulla rispetto alla spesa per certi tipi di intercettori che possono arrivare a prezzi esorbitanti. Infine, le prestazioni. Sono in continua evoluzione, più rapidi, con equipaggiamenti di «guida» precisi. L’impatto è ancora maggiore quando sono sparati in ondate appaiate a missili balistici.

Di solito portano cariche esplosive - per questo li hanno ribattezzati «kamikaze» - ma alcuni servono per la ricognizione e come falsi bersagli per distrarre il tiro. C’è, però, un quarto «campo», non strettamente legato a missioni belliche. I droni sono preziosi per innescare provocazioni, testare la sicurezza di un paese vicino, simulare operazioni aggressive senza sparare un proiettile. È quanto accaduto in Polonia, con la violazione del proprio spazio aereo da parte di droni russi. Episodio seguito da un’intrusione di caccia, sempre russi, in Estonia. Gli ucraini hanno risposto con loro produzioni e hanno mirato alle raffinerie del nemico, causando danni importanti. Compresa la penuria di carburante. In questo modo hanno sopperito alla mancanza di armi a lungo raggio ottenendo risultati rilevanti.

I velivoli senza pilota ormai appaiono in tante crisi. Il Mossad israeliano ha impiegato i quadrocopter per azioni di sabotaggio in Iran, gli Houthi dello Yemen ne inviano a ripetizione contro lo Stato ebraico, le milizie sudanesi duellano con gli stessi metodi. E poi il crimine organizzato, sempre al passo dei tempi. I cartelli messicani ne hanno acquistato molti sul mercato civile (di solito cinesi) convertiti nel trasporto di droga - stessa cosa fanno i contrabbandieri siro-giordani -, passo che ha anticipato lo schieramento negli scontri a fuoco. I video documentano le incursioni dei pistoleri affidate a droni dotati di cariche rudimentali sganciate sui convogli dei rivali, specie se composti da blindati fai-da-te. La riprova del loro impatto sta nella comparsa nelle mani dei narcos di equipaggiamenti in grado di parare la minaccia, gli stessi in dotazione agli eserciti.

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