I due fronti aperti dello Zar

È quello che stiamo vedendo in queste ore in Russia. Vladimir Putin, convinto di divorare l’Ucraina in pochi mesi, ora ha davanti due fronti pieni di incognite.
Il primo è il più instabile. Lo ha aperto con un gesto drammatico e spettacolare quello che il neo-zar considerava un utile strumento: Evgeny Prigozhin. Diventato ricco grazie al presidente con la ristorazione ed altre imprese, da qui il soprannome di «chef», uomo buono per tutte le stagioni, ha creato la Wagner, compagnia di sicurezza privata. Un nucleo di mercenari che doveva svolgere il lavoro sporco, compiere missioni a lungo raggio senza costringere il governo a rischiare soldati di leva.
I «musicisti», come sono chiamati, hanno avuto il battesimo del fuoco lontano da casa, in Libia e Mozambico, quindi in altri paesi africani. Offrendo aiuti a regimi locali e andando a caccia di risorse minerarie. Un binomio perfetto, pragmatico, svoltosi in piena sintonia con i vertici moscoviti. In seguito, con l’invasione del territorio ucraino, i «professionisti» sono diventati una delle forze d’assalto. Prigozhin ha messo a disposizione la sua ditta per attacchi sanguinosi, senza badare alle perdite, tattica agevolata dal fatto che insieme ai miliziani addestrati ha arruolato migliaia di detenuti. Hanno accettato di indossare una divisa e sono partiti per la prima linea in cambio di una fedina penale ripulita. Ma qui è nata la prima fessura. La Wagner è cresciuta, ha lasciato sul campo molte reclutati, ha affrontato prove difficili e si è contrapposta agli apparati tradizionali. Una competizione tramutatisi in scontro personale, con piroette, accuse feroci, sospetti di collusione, show mediatici che forse hanno confuso anche gli osservatori.
Lo «chef» ha preso di mira il capo di Stato Maggiore Gerasimov e il responsabile della Difesa Shoigu, ha sostenuto che non gli davano munizioni, dicevano che lo boicottavano mentre se ne stavano al sicuro nei loro uffici e lui, invece, era in trincea a sporcarsi le mani. Il Cremlino, sostengono le ricostruzioni, avrebbe usato i gerarchi come pedine, uno contro l’altro. Errore fatale, perché ha aperto fenditure importanti che Prigozhin ha sfruttato per un suo disegno politico, per nutrire ambizioni senza limiti.
Il colpo di mano con la presa dell’importante comando di Rostov e la marcia verso nord hanno prodotto scenari da guerra civile. Mosca ha promesso una repressione veemente contro chi l’ha «pugnalata» alle spalle, però bisogna capire bene con quali forze e costi. Basteranno i ceceni o i reparti della Guardia? Deve bloccare la progressione, impedire che il contagio si estenda, assicurare la sicurezza, recuperare il controllo e il senso di autorità. Nelle dittature, totali o parziali, è indispensabile mostrare compattezza, ogni varco nel muro rischia di avere conseguenze di lungo termine. E comunque vada a finire la ribellione dei pretoriani - un classico di tante epoche - scuote alle fondamenta una potenza che in questi mesi ha sempre portato avanti la narrazione del «tutto procede secondo i piani».
La sfida introduce poi una nuova variabile, sul secondo fronte, in Ucraina, in coincidenza con l’offensiva nemica. Volodymyr Zelensky ha invitato alla prudenza, i suoi consiglieri hanno sbeffeggiato i russi, insieme hanno osservato gli sviluppi. L’avversario, in queste settimane, ha tenuto obbligando gli ucraini ad una avanzata lentissima, con sacrifici immensi. Lo Stato Maggiore moscovita ha puntato su una serie di bastioni, ben protetti da mine, ostacoli, artiglieria che si sono rivelati letali. La cosiddetta linea Surovikin, dal nome del generale russo. Bene, l’alto ufficiale è apparso in un video, fucile vicino alla mano destra, per denunciare la manovra della Wagner, altri suoi colleghi erano, disarmati, vicino a Prigozhin che li ha umiliati pubblicamente. L’Armata ha bisogno di stabilità, di ordini precisi e di una logistica perfetta ma il cuore del dispositivo - Rostov - è nelle mani dei ribelli. Inoltre molti battaglioni della Wagner che erano in area di operazioni sarebbero stati spostati verso la Russia per appoggiare il «pronunciamento». Difficile pensare che non vi sia un prezzo.