L'intervista

«I giornali non spariranno, e devono essere sostenuti»

Christine Bulliard-Marbach (Centro) festeggia l'approvazione degli aiuti alla stampa regionale, da lei proposta al Nazionale. E spiega perché sono importanti
Andrea Stern
Andrea Stern
29.09.2024 10:30

È su iniziativa della consigliera nazionale friburghese Christine Bulliard-Marbach (Centro) che giovedì la Camera bassa ha approvato un maggior sostegno finanziario alla stampa per i prossimi sette anni, dopo il voto popolare che due anni fa aveva detto no al pacchetto di aiuti ai media. «Non è una contraddizione - afferma la promotrice del testo -. Al contrario, io ho fatto questa proposta proprio per tenere conto del parere espresso dal popolo».

Signora Buillard-Marbach, è sicura che concedere 45 milioni di franchi in più ai media significhi soddisfare il volere del popolo?
«Sì. L’analisi del voto ha mostrato che nel 2022 il popolo ha bocciato il pacchetto di aiuti ai media perché non voleva finanziare i grandi gruppi mediatici che conseguono utili. Ma il popolo ha a cuore la stampa locale e regionale. Per questo, un mese dopo quella votazione ho presentato la mia iniziativa parlamentare chiedendo aiuti mirati, limitati nel tempo e circoscritti ai media regionali».

Negli ultimi tempi anche i grandi gruppi mediatici stanno licenziando parecchio.
«A maggior ragione, questo dimostra quanto sia importante che la mia iniziativa possa concretizzarsi in tempi brevi. Se fanno fatica i grandi, figuriamoci i piccoli».

Il Consiglio nazionale ha accolto la sua iniziativa solo in parte. È soddisfatta?
«Sono mancati due o tre voti per mantenere i contributi alla stampa associativa. Peccato. Ma l’importante è che siano stati accolti gli aiuti alla stampa locale e regionale. Si è capita la necessità di sostenere questi media nella transizione tecnologica dalla carta al digitale».

Se confermati dagli Stati, questi aiuti dureranno 7 anni. Dopodiché i giornali spariranno?
«No, non è questa l’idea. Ho proposto una durata di sette anni perché non si possono perpetuare gli aiuti in eterno. Sappiamo che la Confederazione sta facendo un piano di risparmi e bisognava mettere un termine».

Ma non vede il rischio che una volta finiti gli aiuti, i media locali finiscano per crollare?
«In sette anni si possono cambiare le strutture, si può riflettere, si può programmare il futuro. Noi conosciamo il mercato come è oggi, domani potrebbe essere completamente diverso. Credo che possiamo già essere contenti di avere ottenuto 45 milioni. Non è poco, nell’attuale situazione budgetaria».

Ma lei legge ancora i giornali di carta?
«Certo! Io leggo solo giornali di carta. Così come mio marito. Per lui la lettura de La Liberté è un rito cui non potrebbe rinunciare. Non perché non sia capace di leggere le notizie in formato digitale ma perché la carta gli dà quel piacere e quella soddisfazione in più».

E i suoi figli come si informano?
«Ho tre figli. Tra di loro ce n’è uno che ha trent’anni e che legge anche il giornale, oltre a informarsi su internet».

Gli altri due figli?
«Gli altri due si informano solo su internet».

Ora anche lei e suo marito avete sette anni per passare a internet.
«(ride) Vedremo. Per il momento io sono felice di leggere i giornali. Chissà, forse col tempo troverò piacere a informarmi in entrambe le modalità, ciò che dovrebbe diventare ancora più facile nei prossimi anni».

Molti si chiedono perché lo Stato dovrebbe finanziare delle aziende private?
«Viviamo in una democrazia e io penso che tutti noi vogliamo che questa democrazia possa funzionare pienamente. Per farlo, è importante che tutti siano informati nella maniera giusta. È importante che ci sia una pluralità della stampa, non solo nei grandi centri ma anche nelle regioni periferiche o di montagna».

Non basta la SSR ad assicurare l’informazione?
«Sono due cose diverse, che si completano».

I contrari dicono che i giovani non leggono più le piccole testate, a cosa serve finanziarle?
«Forse i giovani non le leggono più, ma ci sono ancora tante persone meno giovani che le leggono! È proprio per questo motivo che ho proposto un periodo di sette anni di transizione. Bisogna concedere ai media il tempo e i mezzi per sviluppare una nuova strategia».

Chi a Berna ha votato no sostiene che alla fine il risultato sia lo stesso, ovvero la morte dei giornali. Solo con sette anni di ritardo.
«Io credo che anche dopo questo periodo di sette anni ci saranno ancora sicuramente persone che preferiranno leggere il giornale. La digitalizzazione avanza, ma questo non vuol dire che deve per forza travolgere tutto».

Quindi il giornale non farà la fine del telex o del fax?
«Guardi, proprio l’altro giorno ho letto un articolo di giornale sulla scuola in Danimarca, un paese nordico molto avanzato, molto digitalizzato. L’articolo si intitolava «Il ritorno della matita». Perché dopo aver completamente informatizzato la scuola, i danesi si sono resi conto che gli schermi non hanno solo effetti positivi».

In effetti anche i libri stanno resistendo dalla digitalizzazione.
«Esatto. Si può leggere di tutto con Kindle, ma molta gente continua a preferire il libro cartaceo».

Lei scommetterebbe sul futuro dei giornali?
«È sempre difficile fare previsioni. Io credo che nei prossimi anni il mondo del giornalismo e i singoli media dovranno affrontare dei grandi cambiamenti. Ma non riesco a immaginare un mondo senza più giornali. Secondo me ci saranno ancora, ma in un altro ordine di grandezza».

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