«Il canestro in Ticino non è più una cosa seria»

Mezzo secolo dopo i fasti, il basket ticinese ha un altro volto - due squadre che «sopravvivono» in Serie A - SAM Massagno e Lugano Tigers -, palestre più vuote che piene e una nuova sfida all’orizzonte: il PalaRaiffeisen che potrebbe anche segnare la nascita di una squadra unica, ma soprattutto rilanciare l’interesse per il basket. Cosa ne pensano Alessandro Cedraschi, dal 2006 presidente dei Lugano Tigers, e Luigi Bruschetti, con la SAM Massagno nel DNA e che ha presieduto per 25 anni?
«Il valore del basket è ciò che lasci ai giovani»
Luigi Bruschetti, durante la presidenza ha fatto rinascere la SAM, riportandola in Serie A dalla Seconda Lega regionale, e costruendo uno dei vivai più forti della Svizzera. Oggi osserva il basket con lucidità e una punta di amarezza.
Come vede la situazione del basket in Ticino e in Svizzera? «Il livello è molto calato e il Ticino non ne è immune. Il campionato è ridotto a nove squadre. Il sistema è poco serio, senza retrocessioni e senza l’obbligo di promozione per chi vince il campionato cadetto: in questo modo le competizioni perdono senso, con squadre di Serie A a giocare a ranghi ridotti, per risparmiare moneta. Peggio, una squadra di Serie A, se in difficoltà economiche, può autoretrocedersi in Serie B. Una desolazione».
Il vivaio della SAM è sempre stato un fiore all’occhiello della società e del Comune. «Oggi il settore giovanile massagnese vive di ricordi e non è più quello di prima. Cinque anni fa era il migliore in Svizzera, ora ne è purtroppo lontano parente e deve essere ricostruito. Il vivaio era ed è un patrimonio sportivo e sociale per il Comune: vederlo sfiorire mi fa un po’ male, ma sapranno riportarlo dove deve essere. Il valore dello sport, anche nel basket, è ciò che dai e lasci ai giovani».
Fusione tra SAM e Lugano, idea praticabile? «Vedo le fusioni come una sconfitta, sanno di comodo, e raramente portano buone cose. Si propongono solo quando mancano soldi, e mai per visione sportiva. Anche le fusioni in Ticino del passato furono dettate da fallimenti economici. Non è automatico, poi, che da due squadre ne nasca un polo forte. Unicamente a Ginevra ha funzionato, ma solo grazie all’avvento di un grande investitore. Unire i due Club ticinesi ne cancellerebbe la rivalità sportiva, traino che tiene vivo il basket cantonale, con il rischio di perdere risorse e identità».
Il nuovo palazzetto del PSE rilancerà il movimento cantonale? «Sarà una struttura splendida che potrà accogliere 3’500 spettatori. Basket parlando, laddove gli spettatori sono 600 a partita quando va bene, vi è il rischio di un sovradimensionamento della struttura. Il palazzetto potrà aiutare il basket a rifiorire, ma da solo non basterà: servirà molto di più da parte delle Società, altrimenti si giocherà in una desolante splendida arena semivuota».
«Il mondo imprenditoriale è latitante»
Icona del basket in Ticino, Alessandro Cedraschi racconta lo stato del movimento cantonale e nazionale, dal boom tra i giovani, all’attesa per il nuovo palazzetto.
Sul basket in Ticino e in Svizzera. «Il movimento è numericamente florido: tanti ragazzi si avvicinano al basket, dai sei anni alle categorie juniores. In Svizzera si sente fermento, grazie anche al 3 contro 3 e al sogno dell’università americana. Alcuni giovani partono, fanno esperienza e poi tornano con un bagaglio prezioso. Abbiamo anche ospitato due eventi internazionali che hanno dato visibilità al nostro sport». Cedraschi però è realistico: «C’è tanta quantità, ma poca qualità. La Svizzera tedesca, con città come Zurigo, si sta affacciando al basket: se riuscirà a valorizzare i ragazzi fisicamente più dotati, il livello crescerà. Ma molti scelgono ancora l’hockey o la pallamano».
Sul settore giovanile del Lugano. «Abbiamo tredici squadre e tanti ragazzi. Li facciamo crescere con pazienza, senza inseguire risultati immediati. Qualcuno arriva in prima squadra, altri si fermano prima. Mancano però le prospettive del basket come professione: i sacrifici sono grandi e le risorse poche. Siamo forti nei numeri, ma dobbiamo migliorare nella qualità».
E l’idea di una fusione con Massagno? «Servirebbe un polo forte che rappresenti il movimento, con società satellite - farm team - che formino i giovani. In teoria Massagno potrebbe esserlo, ma mancano le basi economiche e culturali. Lo sport in Svizzera vive troppo di sostegni pubblici, mentre il mondo imprenditoriale resta distante. La gente si appassiona, ma se non vinci si disaffeziona. E con risorse limitate, basta un infortunio per compromettere una stagione».
Il nuovo palazzetto del PSE porterà slancio? «Sì, se sapremo renderlo un luogo di aggregazione. Non basta costruire: bisogna creare spettacolo, coinvolgere il pubblico anche prima e dopo la partita. È lì che nasce il senso di appartenenza. Il potenziale c’è, ma servono continuità, idee e più coraggio da parte del mondo economico: senza sostegno, lo sport non cresce».
