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Il lupo fa ancora strage di pecore

Anche il WWF, ora, riconosce il problema e chiede aiuto agli allevatori
Andrea Stern
Andrea Bertagni
Andrea SterneAndrea Bertagni
05.06.2022 06:00

Anche il WWF riconosce che «non è una bazzecola». L’ultimo attacco del lupo, l’altra notte sopra Bosco Gurin, è costato la vita a una quarantina di pecore. Azzannate, assaggiate e lasciate cadavere su un alpeggio a 1.800 metri di quota.

«Ad avvertirmi dell’attacco è stato un contadino, venerdì - spiega Massimo Mobiglia, presidente del WWFdella Svizzera italiana -. Effettivamente la situazione è abbastanza grave, capiamo che gli allevatori siano tesi. Però la soluzione non è unicament e prendere il fucile in mano. L’abbattimento, da solo, non funziona.Bisogna subito mettere in atto tutte quelle misure di protezione delle greggi che la Sezione dell’agricoltura avrebbe dovuto mettere in atto già da tempo, visto che le prima apparizioni del lupo inTicino risalgono a una ventina d’anni fa».

Il WWF come capro espiatorio

Il WWF dice di essere dalla parte degli allevatori. Seppur questo sostegno non sia corrisposto. «In settimana ho partecipato a una riunione ad Aurigeno - racconta Mobiglia - e mi sono ritrovato a fungere da capro espiatorio per tutti i problemi della valle, dallo spopolamento al rischio, alquanto improbabile, che il lupo mangi un bambino. Pubblicamente è molto difficile per noi parlare con i contadini.Privatamente invece c’è un dialogo».

Ci sono allevatori che capiscono che l’obiettivo del WWFè anche garantire la loro attività a lungo termine. Ma per farlo bisogna agire. Negli ultimi vent’anni invece si è dormito, secondo l’associazione ambientalista. Ed è per questo che ora ci si ritrova a gridare al lupo.

Il ruolo del Cantone

«Gli allevatori non sono dei biologi - prosegue Mobiglia -, spesso non conoscono la selvaggina, non sanno quale sia la cosa migliore da fare.Per questo la Sezione dell’agricoltura avrebbe dovuto aiutarli, mettere loro a disposizione degli specialisti, sostenerli nell’attuazione delle misure di protezione che già conosciamo e di altre misure, più tecnologiche e moderne, che potrebbero dare risultati promettenti. Purtroppo negli ultimi anni la Sezione dell’agricoltura ha fatto poco o nulla, ma non è mai troppo tardi per cominciare».

D’altra parte il WWF non è di principio contrario all’abbattimento di un singolo esemplare del predatore. Ma mette in guardia dai rischi legati a questa scelta. «Già prima di quest’ultima predazione a Bosco Gurin, di cui non si conoscono ancora l’autore o gli autori, a Cerentino erano stati avvisatati tre diversi lupi, di cui una pare fosse incinta - spiega Mobiglia -. Il compito dei guardiacaccia non è facile. Se avvistano un lupo devono valutare bene la situazione per capire se si tratti effettivamente dell’esemplare da abbattere».

Sappiamo che i lupi della Valle Rovana arrivano dalla vicina Italia, dove si calcola siano presenti almeno 120 branchi

Il rischio di sparare all’animale sbagliato

Perché se non fosse quello giusto, il rischio è quello di causare un patatrac. «Magari uccidendo l’esemplare sbagliato verrebbe eliminato il maschio alfa - prosegue Mobiglia -. Questo significa che il branco di sei o sette esemplari si troverebbe senza guida e si squaglierebbe. I lupi si spargerebbero sul territorio e si metterebbero a uccidere tutto quello che dovessero trovare sulla loro strada».

E anche uccidere l’esemplare «giusto», quello su cui pende l’autorizzazione del Consiglio di Stato, non significa risolvere il problema.«Sappiamo che i lupi della Valle Rovana arrivano dalla vicina Italia - afferma Mobiglia -, dove si calcola siano presenti almeno 120 branchi, per un totale di circa 900 animali. Morto un lupo ne arriva un altro. Non è così che si risolve il problema. L’abbattimento è una strategia a corto termine».

C’è chi ce la fa

Una strategia alla quale, come detto, ilWWF non si oppone. Se però accompagnata da altre misure che siano, loro, a medio e lungo termine. «Noi conosciamo dei giovani allevatori di montagna che sono riusciti a fare le protezioni anche dove Agridea sostiene che non è possibile farle - continuaMobiglia - . Vogliono proteggere le loro pecore, vogliono fare il formaggio, hanno questa passione casearia ed è giusto che possano portarla avanti».

Gli allevatori più giovani come quelli più anziani che magari sono abituati a lavorare in un modo e non vedono alternative. «Mi ripeto - dice il presidente del WWF -, ma noi crediamo che la Sezione dell’agricoltura possa fare moltissimo a livello di consulenza e sostegno. Oggi ci sono tanti nuovi sistemi di protezione delle greggi rispetto all’Ottocento. Sono ad esempio stati sperimentati dei collari GPS da mettere alla capre, che emettono segnali dissuasori. Ci sono altre soluzioni tecnologiche.Gli allevatori hanno la voglia di continuare il loro lavoro, ora spetta a noi dare loro le conoscenze e i mezzi per continuare a farlo». 

Oggi ci sono tanti nuovi sistemi di protezione delle greggi rispetto all’Ottocento. Sono ad esempio stati sperimentati dei collari GPS da mettere alla capre, che emettono segnali dissuasori
© CdT/Gabriele Putzu
© CdT/Gabriele Putzu

«In Val d’Ossola e Formazza siamo in piena emergenza»

«Siamo in piena emergenza». Bruna Papa, sindaco del Comune di Formazza, che confina con la Val Rovana, terra ticinese di predazioni del lupo, non fa mistero della situazione definita «allarmante e drammatica» vissuta qui, in cima alle montagne, sponda italiana. Una situazione figlia ovviamente della complicatissima coesistenza con il predatore. Un animale che qui ha già predato. Ma non solo qui. Una capra lo scorso 10 maggio è stata predata vicino a un agriturismo sopra Cannobio. In pieno giorno. A due passi dalla Svizzera. L’episodio è stato riportato giovedì dal giornale Ecorisveglio. Ma non è tutto. Tra gli allevatori della Formazza circolano alcune fotografie scattate di recente che ritraggono due esemplari maschi. «L’anno scorso invece un’allevatrice ha subito una pesante predazione di bovini», specifica Vittoria Riboni, presidente delle aree protette dell’Ossola. In alta Valle la stagione degli alpeggi non è ancora iniziata. Ma comincerà molto presto. Ecco perché proprio alcuni giorni fa la Provincia del Verbano Cusio Ossola, l’Ente di gestione delle aree protette dell’Ossola e il Parco nazionale Valgrande hanno chiesto ai piccoli allevatori di affidare le greggi ai contadini di montagna professionali. «Sappiamo benissimo cosa sta accadendo da voi», chiarisce Riboni.

L’obiettivo è scongiurare attacchi e perdite. «Vogliamo fare rete e impedire la chiusura delle attività dei piccoli allevatori», sottolinea Riboni. Una prospettiva che è già molto reale e concreta da questi parti. Da qui l’urgenza di cercare soluzioni. Anche nuove. «Anche perché il recinto e il cane hanno scarsa applicabilità nel nostro territorio», afferma la presidente delle aree protette dell’Ossola.

«Gestione ambientale da salotto»

«La verità è che la moltiplicazione del lupo negli anni è stata incontrollata. Eppure in Italia quasi non se ne può parlare, perchè è un argomento che entra in collisione con una gestione ambientale del territorio che io definisco da salotto». Bruna Papa non riesce a trattenere l’amarezza. «Parlare del lupo a chi non abita in montagna è quasi impossibile - continua - nelle città hanno una visione bucolica della realtà».