Il lupo in Ticino si è «sbranato» 38 alpeggi

Ai tempi d’oro sui monti di Preonzo pascolavano fino a 560 pecore. Questa estate, per la prima volta da secoli, non ne pascolerà nemmeno una. L’ultimo allevatore che ancora caricava i quattro alpeggi, Marco Turchetti, ha deciso di gettare la spugna a seguito delle predazioni subite lo scorso anno. «A gennaio ho venduto tutte le pecore che mi erano rimaste - annuncia Turchetti -. Ci sono tre lupi stanziali sui monti, sarebbe un suicidio tornarci su con gli animali. Mettere un recinto sarebbe impossibile e d’altra parte le pecore non sono fatte per stare in uno spazio ristretto, diventano zoppe, prendono i vermi. E non si può nemmeno pretendere che ogni notte se ne stiano chiuse in stalla, visto che è proprio nelle ore più fresche che mangiano, non quando c’è il sole. Non capiscono proprio niente quei signori che vogliono mantenere il lupo e insegnare a noi come si fa l’agricoltura! A me spiace perché ero affezionato alle mie bestie, ai miei monti. Ma a queste condizioni mi trovo costretto a rinunciare».
Un drammatico ridimensionamento
Il Lèis, il Gariss, il Cusale e il Moroscetto si aggiungono così alla lunga lista di alpeggi ticinesi che non vengono più caricati. Nel corso degli ultimi 13 anni il numero di alpeggi ovi-caprini in Ticino è sceso da 145 a 107, si legge nel rapporto di Silvio Guggiari, responsabile della sezione Protezione greggi dell’Ufficio della consulenza dell’agricoltura. In altre parole, sono bastati pochi anni di presenza del lupo in Ticino per provocare l’abbandono di un quarto degli alpeggi. Nello stesso periodo il numero di capre caricate sugli alpeggi è diminuito di un migliaio di capi, quello di pecore di oltre 2.500 capi. Un drammatico ridimensionamento che non pare volersi arrestare.
«Il lupo ha vinto la battaglia e si appresta a vincere anche la guerra», sentenzia Brenno Inselmini, allevatore di Cavergno che dopo due estati da incubo, in cui ha perso decine di animali, ha ora deciso di rinunciare alle pecore e puntare sulle vacche da carne, ritenute meno esposte agli attacchi dei grandi predatori.
«Nel 2023 ho trovato 34 pecore morte - spiega Inselmini -. L’anno scorso ho messo le recinzioni ed è andata appena meglio, ne sono sparite solo cinque. Ma a fine estate erano tutte zoppe.Gli animali non sono fatti per stare nei recinti, si azzoppano tra di loro. Ho passato da settembre a gennaio a tagliare unghie e fare bagni alle pecore per farle guarire. Alla fine mi sono detto che per lavorare in queste condizioni, tanto valeva lasciar perdere».
Notti insonni, problemi di nervi
La situazione è diventata insostenibile, per Inselmini come per tanti colleghi. «C’è gente che è finita in clinica con problemi di nervi - spiega -, c’è gente che trascorre notti e notti senza dormire. Uno di questi sono io. È impossibile stare tranquilli quando gli animali sono all’alpe. Nemmeno con le mucche. Perché è vero che il lupo tende meno ad attaccarle, perché ha paura di ferirsi e un lupo ferito è un lupo morto. Ma è anche vero che ci sono già stati diversi casi di mucche morte cadendo in un dirupo mentre fuggivano dai lupi».
Gira e rigira, è tutto l’allevamento di montagna che sembra essere diventato un’insostenibile corsa a ostacoli. «Le misure di protezione vanno bene in città, ma qui in montagna è un po’ diverso - conclude Inselmini -. È un peccato perché così non si sta affatto favorendo la biodiversità. Si stanno buttando via dei territori che sono stati curati per secoli e che ora verranno rimangiati dal bosco. Solo perché qualcuno ha deciso che il lupo vale più di una mucca, di una pecora o di un cavallo. Per me il lupo vale come tutti gli altri animali».
Fino all’ultimo tentativo
Il «culto del lupo» è un fenomeno prettamente urbano che in montagna risulta di difficile comprensione. «Non sono riuscito a capire se c’è un disegno dietro o se è ignoranza - afferma Pietro Zanoli, allevatore di capre e capannaro all’alpe Nimì, sopra Gordevio -. Però è chiaro che noi qui in montagna siamo in pochi e quando si va a votare vincono sempre quelli delle città».
Zanoli è tra coloro che le stanno provando tutte per andare oltre le predazioni e continuare a occuparsi delle proprie capre.Ma il morale non è dei più alti. «L’anno scorso abbiamo provato sia con i collari di feromoni, sia con gli asini, sia con i GPS - spiega -. Nessuno di questi tentativi ha funzionato. Quasi tutti gli animali attaccati avevano i feromoni, che quindi non sono serviti a tanto. Gli asini, poi, mi guardavano da dentro la stalla con gli occhi sbarrati mentre io ero fuori a far scappare il lupo. Mentre i GPS servono praticamente solo a ritrovare le carcasse quando ormai il danno è fatto. Perché se al momento dell’attacco l’animale si trova a un chilometro dall’alpe non si fa comunque in tempo a intervenire».
Qualcuna emigra nei Grigioni
Nonostante questi fallimenti, a metà maggio Zanoli tornerà a caricare l’alpe, seppur in maniera ridotta. «Un allevatore che fino all’anno scorso mi dava un numero consistente di capre ha preferito mandarle neiGrigioni, dove la politica in materia di abbattimenti è un po’ più liberale - spiega -. Noi all’alpe Nimì avremo solo un’ottantina di capre. Insieme alCantone stiamo mettendo in atto un piano di protezione, dobbiamo cambiare tutta la gestione, mettere dei recinti elettrificati, chiudere gli animali ogni sera. È un grande lavoro in più.Speriamo almeno che serva a qualcosa».
Sopra Gordevio si tenta la carta delle misure di protezione, nonostante l’alpeggio sia stato dichiarato «non proteggibile» alla pari di buona parte degli altri alpeggi ticinesi. Il rapporto Guggiari calcola che tra quelli che ospitano pecore, il 74% non è proteggibile di notte e addirittura il 94% non lo è di giorno.
Pensione anticipata forzata
«Noi abbiamo visto che a Indemini non ci sarebbe stata alcuna possibilità di proteggere gli animali e quindi abbiamo deciso di cessare l’attività - afferma Regula Flachsmann, che per decenni ha allevato pecore sui monti del Gambarogno -. La mia idea era di continuare fino alla pensione, ma la predazione del 2023 mi ha spinto a cambiare completamente vita in anticipo. Ho divorziato da mio marito, mi sono trasferita in Onsernone, mi guadagno da vivere con alcuni lavoretti enon allevo più animali. L’azienda non siamo riusciti a venderla. C’era qualcuno che era interessato ad andare su a lavorare con i lama, che sono meno a rischio. Ma non se n’è fatto nulla. L’erba ora la tagliano con il zacky-boy».
Seppur abbia completamente cambiato vita, Flachsmann si dice ancora profondamente turbata da quanto avvenuto circa due anni fa nella sua Indemini. «Quel giorno ero andata in valle a fare la spesa, il marito era via per altri lavori, le pecore erano sui monti di Sciaga - racconta -. Quando alla sera sono tornata su con l’Autopostale sono andata in stalla e ho trovato una sola pecora. Ho capito subito che era successo qualcosa. Abbiamo girato un mese e mezzo per cercare tutti gli animali. Cinque pecore non le abbiamo mai trovate. Diciassette erano morte, senza nemmeno essere state mangiate. Altre cinque erano ferite al collo e per fortuna siamo riusciti a guarirle».
Una magra consolazione. Quel giorno Regula Flachsmann ha capito che si era chiusa un’era, che la vita sui monti che tanto le piaceva non sarebbe più stata possibile. Come lei, parecchi altri allevatori sono giunti alla medesima conclusione. Tra il 2011 e il 2023 - evidenzia il rapporto Guggiari - hanno chiuso definitivamente i battenti una ventina di aziende di allevamento ovino e un’altra ventina di allevamento caprino.
Misure di protezione e controindicazioni
La causa è essenzialmente una, il lupo, che si diffonde sul territorio senza che gli allevatori abbiano veramente modo di difendere i propri animali. Le misure di protezione riconosciute a livello federale sono i cani di protezione e i recinti elettrificati. Ma entrambe prevedono controindicazioni che, secondo gli allevatori, non vengono sufficientemente considerate dalle autorità. I cani richiedono un costante investimento in termini di tempo affinché svolgano al meglio il loro lavoro e generano non di rado conflitti con gli altri utenti della montagna, in primis gli escursionisti. Le recinizioni invece incidono sulla salute e sul benessere degli animali, che sviluppano malattie in caso di periodi prolungati in spazi ristretti.
«Sono regole elaborate da gente di città che non ha mai avuto un animale in vita sua - sostiene Marco Turchetti -. Sono anni che il lupo fa quello che vuole sul nostro territorio e non si è voluta trovare una soluzione che sia una soluzione. Avanti così, a estinguersi non saranno i lupi, bensì i contadini».