Attualità

Il lupo non è una favola

Gli scrittori di montagna si schierano a fianco dei contadini e contro l'animale
Andrea Bertagni
Andrea Stern
Andrea BertagnieAndrea Stern
22.05.2022 06:00

Con le loro penne raccontano la montagna come pochi altri. Perché l’hanno vissuta sulla loro pelle. Ne sono stati forgiati. Nel profondo. Doris Femminis, scrittrice della Vallemaggia, prima di pubblicare per Marcos y Marcos, è stata per otto anni capraia in Valle Bavona. Leo Tuor, scrittore in lingua romancia pluripremiato, è stato per molti anni pastore di greggi sulla Greina. Femminis e Tuor conoscono la montagna. E sanno cosa vuol dire condividerla con il lupo. «La mia posizione è quella dei contadini di montagna - mette in chiaro Femminis - hanno protetto il nostro territorio, hanno tramandato la nostre tradizioni e hanno difficoltà economiche. Sto dalla loro parte perché anche loro sono una razza in via d’estinzione». Tuor è ancora più netto. «Il lupo diventa un problema quando viene considerato un animale sacro e non può essere cacciato».

Città e montagna. Natura e civiltà. Spesso le discussioni sul predatore si concentrano sulla coesistenza. Sulla possibilità che uomo e lupo possano convivere. Condividere gli stessi spazi. Tuor ha già la risposta. «La coesistenza tra il lupo e l’economia alpina è difficile. Si tratta di decidere. O vogliamo il lupo o i contadini di montagna». Lo scrittore propende per i secondi. «Vogliamo davvero rinunciare alle Alpi con i loro pastori e le loro greggi? Vogliamo davvero rinunciare a un bene culturale secolare?».

«In Liguria ha vinto il lupo»

Anche Femminis è più o meno dello stesso pensiero. «So che in Liguria da quando è arrivato il lupo sono spariti i contadini di montagna. Del resto è difficile, se non impossibile, andare avanti dopo che il tuo gregge è stato divorato per metà due o tre volte. Anche perché un gregge aggredito è completamente da rifare».

Lo scrittore grigionese si sofferma su un paio di costatazioni. «Se il lupo è totalmente protetto, capisce subito di non avere nemici e perde la sua timidezza. Come un cane che può fare quello che vuole, diventa il padrone e l’uomo il suo servo, il suo servitore». D’altro canto, «se si lascia che i lupi vengano decimati, tenderanno ad allontanarsi dalla civiltà». Quindi? Quindi, secondo Tuor, trovare la soluzione non è facile. Di sicuro, «un ulteriore aumento del numero di lupi renderà l’allevamento alpino molto costoso, molto oneroso o addirittura impossibile. E per noi montanari sarebbe una catastrofe che avrebbe ripercussioni anche sul turismo». Da qui la risposta. Che deve essere una scelta.

«Ora è uno zoo»

Tanto più che anche la gestione del predatore, secondo lo scrittore, lascia a desiderare. Almeno nel principio. «In Svizzera siamo abbastanza civilizzati, vogliamo avere tutto sotto controllo - spiega Tuor - vogliamo seguire i lupi e gli orsi in ogni momento. Così oltre ai trasmettitori mettiamo telecamere nei boschi e sulle montagne per tenerli d’occhio. Ma a ben vedere, tutto questo non ha nulla a che fare con la natura selvaggia. Perché la natura selvaggia è proprio ciò che non può essere controllato. Tutto il resto è uno zoo».

Il lupo come simbolo

Femminis non rinuncia comunque a comprendere chi è a favore della coesistenza. «Credo che alla base ci sia un sentimento di protezione di tutto ciò che è naturale. Un lupo nei boschi in chi ha una visione bucolica e urbana rappresenta il desiderio di mantenere un ambiente il più possibile naturale. Anche di fronte a un riscaldamento globale e a un peggioramento del clima che non riusciamo ad arrestare». Il lupo come simbolo, dunque. Ma un conto sono i simboli, sembra dire Femminis, un conto è la realtà. «Non deve comunque essere l’opinione pubblica a esprimersi, se ci fosse una votazione vincerebbe il sì al lupo, ne sono certa - continua la scrittrice -. A cercare di risolvere il problema, a sedersi attorno allo stesso tavolo devono essere i contadini di montagna che riescono a proteggere i loro greggi, i contadini di montagna che invece non ci riescono, i guardiacaccia e chi finanzia i contadini in caso di predazioni. L’importante è che rimanga fuori dalla porta il desiderio di rappresentare il lupo come qualcosa di selvaggio da mantenere».

«Quando il predatore arriverà nelle città i suoi difensori si renderanno conto dell’autogol»

Domani, lunedì, ClaudioZali non potrà più nascondersi.Davanti al plenum del Gran Consiglio il direttore del Dipartimento del territorio dovrà rispondere alle articolate domande postegli dai deputati comunisti Lea Ferrari e Massimiliano Ay a fine aprile, poco dopo i noti fatti di Cerentino. «L’attuale non gestione dei predatori rischia di causare solo perdenti - afferma Ferrari -.Da una parte gli agricoltori di montagna, che si ritrovano nell’impossibilità di proseguire la loro attività. Dall’altra parte gli stessi difensori del lupo.Perché il giorno che il predatore arriverà fino alle città ed entrerà di notte nei giardini, allora anche la popolazione urbana cambierà la propria visione. Per i difensori del lupo, sarà stato un clamoroso autogol».

Per evitare di arrivare a questa situazione Ferrari e Ay propongono quindi una gestione capillare e puntuale del grande predatore. «Non ci sembra che la decisione di autorizzare l’abbattimento dopo il gesto disperato di palazzo delle Orsoline e alcune assemblee molto accaldate possa rientrare in un sistema chiaro di misure - sostiene Ferrari -. Significa piuttosto passare da un estremo all’altro. Quando nel mezzo ci sarebbero tutti gli strumenti per una gestione del lupo che non ricada solo sulle spalle degli allevatori».

Si parla di comunicazione, monitoraggio e prevenzione. «La raccolta dati permette di prevedere l’arrivo del lupo - spiega Ferrari -. Diversi studi dimostrano una correlazione tra una certa densità di cervi e gli spostamenti del predatore. È poi necessario collaborare più intensamente con i cantoni limitrofi, perché il lupo non conosce confini. E ci vogliono dei sistemi efficaci per allertare gli allevatori. Oggi c’è un sistema di avvisi tramite sms, ma i messaggi arrivano a volte con quindici giorni di ritardo. Capirete cosa possono farsene gli allevatori...».