Cultura

Il magico mondo di Alex Dorici

L'artista luganese: «Realizzo opere con il nastro adesivo e le corde bianche che si illuminano, così lo spettatore può entrare dentro lo spazio a scoprire la mia arte»
L’artista luganese Alex Dorici. (CdT/ Chiara Zocchetti)
Mauro Spignesi
24.03.2024 06:00

Vedendo le sue opere si rischia di cadere in un tranello e di non capire da subito che Alex Dorici si porta dietro, come bagaglio culturale, una solida preparazione scolastica. Insomma, non è come molti artisti (anche di successo), un autodidatta. No, ha frequentato il Liceo artistico e poi si è diplomato all’Accademia di belle arti, ha da subito imboccato una precisa strada. Salvo in seguito svoltare progressivamente su un percorso che lo ha portato lontano, fra video, installazioni, performance, la rivitalizzazione di spazi urbani abbandonati, la ricerca interdisciplinare di nuove dimensioni condivise con i visitatori, un rifiuto dell’arte che assume una dimensione elitaria.

«In realtà - racconta l’artista luganese - quando ho cominciato il mio percorso scolastico era ancora viva l’idea che servisse il classico pezzo di carta, il diploma. Se mi volto indietro però ricordo lezioni vecchio stile, con studi sui maestri della pittura e della scultura. Qualcosa è cambiato all’Accademia quando nel terzo e quarto anno gli insegnanti erano artisti e mi hanno aperto nuovi scenari. È un po’ come nelle scuole di cucina, dove inizialmente ti insegnano a preparare il risotto in una sola maniera e poi tu nel tempo capisci che invece ci sono diversi modi di cucinarlo, che è possibile abbinare ingredienti tra i più diversi».

Una pesante eredità

Proprio grazie all’Accademia ad Alex Dorici si è aperta una porta importante. È successo nel 2005 quando, per realizzare una delle due tesi di fine corso (la prima era pratica, la seconda teorica), è andato a Parigi all’atelier Contrepoint. Cioè lo studio che ha raccolto l’eredità, una eredità pesante, dell’Atelier 17, la stamperia (è stata anche luogo d’incontro) fondata nel 1927 da Stanley William Hayter, pittore surrealista e maestro dell’incisione moderna. E dove sono passati i maggiori artisti del Novecento. «Lì dentro - ricorda Alex Dorici - sentivi davvero il peso della storia. Non solo. Lavorare a Contrepoint mi ha aiutato a capire i segreti della calcografia classica in bianco e nero, l’uso delle lastre, il dosaggio del colore introdotto proprio da Hayter. Quando sono arrivato il direttore artistico Hector Saunier ha visto che evidentemente in me c’era una motivazione e una sensibilità diversa rispetto ad altri studenti giunti in quegli anni. Dovevo restare tre mesi, sono rimasto cinque anni. Lì ho visto stampe di grandi artisti come Mirò, ho potuto esporre le mie opere accanto a quelle di maestri europei. È stato un periodo, quello vissuto in Francia, bellissimo e molto importante per la mia formazione. Sono appena rientrato da Parigi perché sono andato ai funerali di Hector, che ci ha fatto un ultimo regalo: far incontrare nuovamente tanti artisti passati dall’atelier. Ci siamo ritrovati insieme con colleghi giunti anche dall’Asia e dal Sudamerica che hanno vissuto a Parigi prima di abbracciare nuove esperienze».

Ritorno in Ticino

Dopo la parentesi parigina, il rientro in Ticino. E l’apertura di uno studio con altri artisti. E poi un altro in centro a Lugano, stavolta senza «coinquilini». «Alla fine restare solo penso sia stata la scelta giusta. In realtà nel mio ultimo studio - racconta Dorici - hanno uno spazio anche altre due persone, che sono legate al mondo dell’arte ma non sono artisti. Perché noi artisti abbiamo bisogno di un nostro ambiente autonomo dove pensare, dove realizzare le opere. Poi, a me personalmente piace ospitare anche mostre, produzioni, installazioni di altri colleghi. Sono momenti di stimolo e di confronto molto importanti».

Dal 2014 Alex Dorici fa parte degli artisti rappresentati dalla Galleria Buchmann di Agra-Lugano. «Sono molto grato ad Elena Buchmann: ha dimostrato coraggio scegliendo e investendo su di me. Non era scontato. Lei ha una storia professionale (che è anche quella del marito Felix, scomparso nel 2008), molto importante, ha gestito e gestisce una prestigiosa galleria con passione e competenza».

Le corde e il nastro adesivo

Alex Dorici da tempo ha imboccato una strada che lo ha portato a utilizzare materiali come le corde fotoluminescenti. «Faccio - spiega - quello che mi soddisfa. E devo dire che lo faccio senza rimpianti e senza calcoli ma liberando la mia creatività, il mio personale modo di rapportarmi con l’arte». Naturalmente Dorici non ha rinunciato a produrre anche le tele, dove racchiude tratti geometrici molto particolari e rigorosi che richiamano il costruttivismo figurativo ma con solchi molto particolari e riconoscibili.

L’ultima installazione è stata presentata a un pubblico ristretto nel suo atelier. È una costruzione geometrica verticale realizzata con le corde bianche che si illuminano quando viene spenta la luce. Uno spazio tridimensionale, un volume che quasi invita chi arriva a visitare l’opera a entraci dentro, a viverla, a diventarne parte. «Sin dall’inizio ho voluto seguire il solco di un’arte condivisa. Provo soddisfazione quando vedo qualcuno che non sa di arte o non frequenta mostre e apprezza il mio lavoro o prova un’emozione davanti a una mia opera. E questo restituisce valore a quello che fai».

L’effetto coinvolgimento

L’attività di oggi è frutto di un lungo percorso che ha permesso a Dorici di perfezionare i dettagli, aggiustare i tratti, raffinare le idee, allargare la scelta dei materiali da usare. Certo il tempo ha sottratto molti azzardi, ha sfumato quel lato un po’ punk e irriverente dell’inizio. Molti anni fa Dorici usciva di notte e come un graffitaro che impugna le bombolette spray, andava a marcare la sua presenza con lo scotch colorato in luoghi urbani abbandonati, in vecchie costruzioni, segnando soprattutto i vetri. L’idea era quella di liberare il territorio, era quella dell’artista che esce dal suo spazio e va a portare la sua arte altrove.

«Ho iniziato a usare il nastro adesivo anni fa quando un mio amico mi ha regalato scatole di frutta che avevo messo insieme e poi colorato, scomponendole e ricomponendole secondo un ragionamento personale. E poi l’ho usato nuovamente quando ho realizzato installazioni dentro le stanze dove sono andato ad occupare l’intero spazio, comprese le pareti in modo da proiettare lo spettatore all’interno dell’opera, sfruttando un effetto coinvolgimento». È successo diverse volte, compreso qualche estate fa a Casa Rusca a Locarno, dove nei sotterranei dell’arte Dorici ha realizzato «geometrie verticali», anche qui con nastro adesivo e corde. E anche qui coinvolgendo gli «spettatori».

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