L'intervista

«Il nostro esercito è ancora troppo poco women friendly»

Noémie Roten ha fatto la scuola reclute e ora è presidente dell'iniziativa Servizio Civico, che chiede una milizia più inclusiva - «Tutti devono poter dare il proprio contributo alla sicurezza della Svizzera»
Noemie Roten (KEYSTONE/Anthony Anex)
Andrea Stern
Andrea Stern
16.11.2025 09:30

Quando ha fatto la scuola reclute come autista di veicoli pesanti, Noémie Roten era l’unica donna sulla piazza d’armi di Drôgnens (FR). «Non è stato facile farsi trattare alla pari degli altri», rammenta. Oggi la 36enne vallesana è ancora una volta pioniera nel condurre la campagna per l’iniziativa Servizio civico, che vuole obbligare tutti i cittadini svizzeri - donne comprese - a prestare un servizio a favore della collettività. «Non si parli di obbligo, bensì di opportunità», dice l’ideatrice dell’iniziativa.

Signora Roten, il servizio militare le è piaciuto così tanto che ora vuole obbligare anche le altre donne a farlo?
«(ride) No, non sono una fanatica del militare. Certo, sono convinta che l’Esercito sia molto importante per la sicurezza del Paese e che debba funzionare bene. Ma l’iniziativa nasce dalla constatazione che oggi la sicurezza è un concetto più ampio, che si estende alla preparazione dei cittadini, alla prevenzione delle catastrofi, alla protezione della popolazione. La sicurezza è anche un affare di donne!».

Oggi le donne possono fare il servizio militare, eppure nell’Esercito sono solo l’1,6%.
«È importante precisare che l’iniziativa non vuole obbligare le donne a fare il servizio militare, bensì a prestare un servizio a favore della collettività, che potrebbe essere declinato in varie forme. Detto ciò, è vero che l’Esercito si è aperto alle donne. Tuttavia, resta un’istituzione creata dagli uomini per gli uomini».

L’Esercito è troppo maschile?
«Di sicuro non è «woman friendly». Ci sono molte donne che sarebbero interessate a prestare servizio ma non osano. A differenza degli uomini, le donne devono fare tutto da sole, portarsi volontarie, seguire la procedura e superare i test con la prospettiva di ritrovarsi in piccola minoranza tra centinaia di uomini».

Ora il Consiglio federale vuole rendere obbligatoria la giornata informativa anche per le donne.
«Ma in quanto volontarie, a scuola reclute le donne continueranno a essere confrontate con una realtà diversa da quella degli uomini. Devono sempre dimostrare di essere altrettanto capaci degli uomini e non possono neanche lamentarsi degli orari o del cibo della mensa, perché loro sono lì come volontarie, a differenza degli uomini che sono obbligati e che quindi possono lagnarsi quanto vogliono».

È sicura che l’iniziativa Servizio civico cambierebbe la situazione?
«Un sondaggio condotto dal DDPS indica che il 26% delle donne farebbe la scuola reclute, se fossero obbligate a prestare un servizio a favore della collettività. Questo permetterebbe di aumentare gradualmente la componente femminile nell’Esercito. In Norvegia, le donne sono più del 30%. Se si arrivasse a tali proporzioni, si avrebbe un ambiente molto più piacevole per le donne».

Non vedevo perché i miei coetanei dovessero andare al militare e io no. Era anche questione di conoscere dall’interno una realtà che nella mia famiglia ha sempre avuto un ruolo importante

Magari anche per gli uomini?
«Esatto, ha completamente ragione, potrebbe essere un ambiente più piacevole anche per gli uomini. Per tutti».

Tornando alla sua esperienza, come mai ha deciso di immergersi in questo ambiente poco piacevole?
«Era una questione di uguaglianza. Non vedevo perché i miei coetanei dovessero andare al militare e io no. Era anche questione di conoscere dall’interno una realtà che nella mia famiglia ha sempre avuto un ruolo importante. Volevo poterne discutere con cognizione di causa».

Alla fine non è stato così spiacevole.
«È stato impegnativo ma ho anche imparato molto, a guidare i camion, a prestare soccorso, a lavorare con persone di altre regioni e altre realtà. E ho anche messo da parte 6/7’000 franchi che mi hanno permesso di partire in viaggio per sei mesi dopo la scuola reclute...».

A parte il militare, come si potrebbero impiegare tutte queste nuove risorse femminili?
«Alla protezione civile oggi mancano 15’000 persone, che diventeranno 20’000 nel 2030. La protezione civile è l’organizzazione che protegge la popolazione in caso di crisi o catastrofi, è importante che possa disporre di risorse sufficienti. Inoltre si potranno prevedere impieghi nella protezione dell’ambiente e della biodiversità, nell’agricoltura o anche come pompieri volontari. Sono tanti i modi in cui ci si può mettere a servizio della collettività».

Martin Pfister dice che non c’è bisogno di tutte queste persone in più.
«Mi sorprende, perché è da anni che si sente dire che mancano effettivi. Oltretutto mi sembra una visione a corto termine, perché i bisogni securitari continuano ad aumentare».

La sicurezza passa dalle armi ma anche dalla preparazione degli individui. Bisogna investire di più nella formazione dei giovani affinché conoscano il loro ruolo in caso di crisi

Se compriamo armi, dovremo anche avere qualcuno che le sappia utilizzare.
«Esatto. La sicurezza passa dalle armi ma anche dalla preparazione degli individui. Bisogna investire di più nella formazione dei giovani affinché conoscano il loro ruolo in caso di crisi. Inoltre, la sicurezza passa anche dalla voglia di difendere il Paese e dunque dalla coesione nazionale, che si crea solo se ci si impegna tutti insieme. Il servizio civico significa investire non solo nelle armi e negli equipaggiamenti ma anche nelle persone ».

Ci sarebbe comunque un’ampia fascia della popolazione tagliata fuori, gli stranieri.
«L’iniziativa Servizio civico apre una porta. Il testo dice che il Parlamento decide se e in quale misura le persone senza nazionalità svizzera devono contribuire. Il Parlamento potrebbe decidere che gli stranieri fanno un servizio, ma non nell’esercito, oppure pagano una tassa di esenzione. L’iniziativa apre la porta, poi spetta alla politica decidere. Noi come comitato siamo favorevoli all’inclusione degli stranieri, per motivi di integrazione, coesione e disponibilità. Bisogna che tutte le persone che abitano nel Paese si impegnino per il Paese».

In Ticino non c’è praticamente nessuno che stia facendo campagna per l’iniziativa. Perché?
«Siamo un piccolo comitato, con poche risorse. Pensi che io sono la sola persona stipendiata, e solo in questa fase, perché durante la raccolta firme ero volontaria. Abbiamo due ticinesi in comitato, l’ex consigliere nazionale PLR Rocco Cattaneo e l’ex guardia svizzera Jonathan Binaghi. Facciamo il possibile. Chiaramente non è facile senza partiti o lobby alle spalle».

Eppure i sondaggi dicono che, chissà, l’iniziativa Servizio civico potrebbe anche essere accolta.
«È incoraggiante. Significa che stiamo portando avanti un’idea sentita nella popolazione. Molta gente è convinta della necessità di cambiare un sistema di obbligo di servire che, di fatto, esclude due terzi della popolazione».

In caso di approvazione, lei passerebbe alla storia come la donna che ha obbligato le altre donne a prestare servizio.
«Io sono convinta che non si debba parlare di obbligo bensì di opportunità. Il servizio civico è la possibilità per tutti - uomini e donne - di mettersi al servizio del proprio Paese e fare un’esperienza che prima di tutti arricchisce se stessi».

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