La storia

Il rifugio nel «Paese del pane bianco»

Il viaggio di due fratelli da Cannobio a Brissago, aiutati da un pastore a sfuggire ai nazifascisti
Partigiani della Repubblica dell'Ossola, in una foto d'epoca.
Clemente Mazzetta
30.06.2024 19:02

Un’escursione da Cannobio ad Ascona. Il tragitto che 80 anni fa era «il cammino della speranza», la strada per salvare la pelle dal furore nazifascista, viene riproposto da LetterAltura (Associazione culturale di Verbania) e dal Cai Verbano, che festeggia i 150 anni d’attività. Si parte Cannobio, si prosegue a mezza costa fino ad Ascona, dove al termine della lunga camminata - 19 chilometri - alla biblioteca di Ascona verrà presentato «Un paltò fuori stagione».

È la storia della fuga di due fratelli da Cannobio e l’arrivo a Brissago, al Cortaccio. Qui si nascosero e dopo un primo periodo di clandestinità, furono accolti e destinati ai campi d’internamento.

La breve libertà e l’arrivo dei fascisti

Siamo sul finire dell’estate del ’44. Precisamente il 9 settembre. Alba tragica a Cannobio. Il paese, a due passi dal confine di Piaggio Valmara, prima terra liberata dai partigiani a inizio mese, ha assaporato pochi giorni di libertà.

In quel livido mattino, Cannobio è stato rioccupata dai nazifascisti. Sono sbarcati sul lungolago di sorpresa. Fra le milizie che operarono una fulminea rappresaglia, anche due giovani fascisti: Dario Fo, allora paracadutista della Folgore e poi premio Nobel per la letteratura e l’ufficiale Enrico Maria Salerno, noto attore nel dopoguerra.

Così, mentre nella stessa giornata a Domodossola si brinda all’arrivo dei partigiani - la città ossolana s’appresta a vivere i suoi 40 tumultuosi giorni di libertà - , a Cannobio si contano i morti: undici. Fra questi anche Erminio Ferrari, zio dell’omonimo giornalista caduto in montagna nel 2021 che ha raccontato quei fatti ne «La liberazione» (edizioni Tararà). I morti sono allineati sulla piazza del lungolago. I fascisti passano casa per casa in cerca di partigiani e giovani che si nascondono per non essere intruppati fra le milizie di Salò.

La fuga verso il paese del pane bianco

C’è un fuggi fuggi generale. Anche i due fratelli, Delfo e Giovanni, prendono la strada verso la montagna.

Sperano di arrivare in Svizzera, la terra battezzata il «paese del pane bianco» del giornalista-partigiano Paolo Bologna che ha descritto con grande rigore storico l’operazione umanitaria che nel ’44, a conclusione della tragica fine della Repubblica partigiana dell’Ossola, che portò oltre confine centinaia di bambini italiani (oltre 2000), accolti da altrettante famiglie svizzere come fossero loro figli.

Una storia simile a quella di Delfo, che è un ragazzone alto quasi due metri. Ha solo 15 anni, ma ne dimostra ben di più. Ha paura di essere spedito al fronte. La milizia fascista l’ha già fermato, sollevando non pochi dubbi sull’età. Giovanni, più vecchio, è renitente alla leva: se preso, rischia la fucilazione.

Prendono poche cose. Infilano in uno zaino un coltello, una matita, un orologio a cipolla del padre - un reduce della prima guerra mondiale -, un fiasco di vino e un paltò. E s’incamminano verso il confine: valle Cannobina. Poi salgono al Limidario/Gridone, scendono a Cortaccio. Qui s’infilano in una baita, che si rivelerà essere una stalla per pecore e maiali.

Nella stalla con pecore e maiali

«Dentro oltre una grossa riserva di fieno, perfetta come nascondiglio, anche una certa quantità di castagne e abbondante pastone per i porci. Nei giorni lenti a seguire , pastone e castagne furono il companatico dei due, a discapito degli animali che un pastore, ogni due giorni, andava ad accudire. Un mattino però, inspiegabilmente il pastore cominciò a lasciare sul davanzale della piccola finestra dai vetri rotti, cibo per cristiani: formaggio, pane e una piccola fiasco di americanino», scrive Carlo Bava, medico e musicista, autore del libro. È il figlio di Delfo. Nel «paltò fuori stagione» ne ha romanzato la vicenda, sostenuto nella ricostruzione dalla consulenza storica di Raphael Ruess, studioso rigoroso di quei fatti.

Rues, oltre ad aver scritto libro «SSPolizei in Ossola/Verban», ha alle spalle un dottorato in storia moderna all’università di Leicester (città più nota per la leggendaria vittoria della squadra locale della Premier league nel 2016 con l’allenatore Claudio Raineri) con il tema «Le attività di occupazione nazifasciste in Ossola e Verbano».

I documenti d’archivio

Secondo Ruess il racconto romanzato da Carlo Bava sulla sua famiglia ha una grande importanza nella comprensione per quanto succede fra il 43 e il 45. Il libro è infatti corredato da documenti d’archivio. «Documenti - commenta Ruess - che riportano anche la cruda realtà degli eventi. C’è chi viene accolto e chi, invece respinto: una pratica usuale da parte elvetica che mostra l’altra faccia di una svizzera non sempre umanitaria. Quanto ritrovato negli archivi ci permette di seguire in dettaglio il loro viaggio: una peripezia ben più difficile di quanto il romanzo lasci immaginare».

I campi d’internamento

La vita nei campi d’internamento non fu certo facile. In particolare i partigiani italiani delle unità garibaldine (comunisti) furono separati dagli altri e concentrati in centri particolari, come il campo speciale N1 ad oltre mille metri nel canton Friburgo, circondato da filo spinato e sorvegliato da soldati armati. Nel complesso - annota Ruess - furono almeno 9000, fra partigiani e civili e 300 bambini che a partire dal 10 ottobre, data che segna la conclusione della repubblica partigiana dell’Ossola, riversano sul Locarnese e in sul Vallese.

Ma continuiamo con la storia di Delfo, che avevamo lasciato nella stalla in compagnia di pecore e maiali. Parecchi giorni dopo, il pastore, che aveva continuato a mettere pane e formaggio sulla finestra, arrivò alla stalla in compagnia di un ragazzo. «Saltì fora, saltì fora! Scundives mia!. L’è tutt a posct. Adess a pudii restàa in Svizzera», gridò.

Il pastore «poeta contadino»

«Era evidente - scrive Carlo Bava - che a pochi giorni del loro arrivo il pastore aveva cominciato a sospettare. L’appetito delle bestie gli tornava smisurato rispetto al solito. Qualcuno stava sopravvivendo grazie al suo pastone? Non seguì una denuncia di clandestini alla Guardia di confine, ma pane grigio, formaggio d’alpe e vino nostrano: lasciati lì come fiori freschi. Espressione di generosità incondizionata».

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