Il signor maître volta pagina

Sorrisi e abbracci, ma anche commozione e qualche lacrima. Una festa densa di emozioni, quella dello scorso 31 dicembre a Villa Principe Leopoldo che ha salutato non solo il 2023 ma anche il maître Claudio Recchia che, dopo 35 anni saluta, la prestigiosa struttura luganese per godersi la più che meritata pensione. Considerato una vera e propria leggenda nell’arte dell’ospitalità, nel corso della sua carriera il 63enne di origini verbanesi ha conseguito una serie impressionante di riconoscimenti: nominato nel 2022 dalla guida Gault Millau Gastgeber des Jahres, il massimo riconoscimento in Svizzera per il personale di sala, ha ricevuto anche il riconoscimento di Professionista dell’anno e la nomina a Gran maestro di Amira (l’Associazione Maîtres Italiani Ristoranti ed Alberghi, ndr), oltre al Papillon d’or come miglior maître della Svizzera e il Tartufo d’oro a Gubbio.
Claudio Recchia, un ultimo dell’anno decisamente particolare.
«Un notte intensa, più emozionante di quanto potessi mai aspettarmi. Ho cercato di rimanere concentrato anche per l’ultimo servizio, ma durante tutta la giornata sono stato piacevolmente distratto da clienti e collaboratori venuti apposta per salutarmi. Alcuni da molto lontano, altri addirittura erano a cena da altre parti ma non hanno voluto rinunciare a un brindisi con me: sono gesti che mi hanno riempito di gioia».
Che sensazioni ha provato al momento di chiudere per l’ultima volta le porte della sala del ristorante?
«Erano le 3 di notte: dopo il servizio e i bellissimi festeggiamenti che i colleghi mi hanno riservato sono voluto rimanere da solo per fermarmi un attimo a guardare il ristorante, fare un respiro e prendere coscienza di quello che stava succedendo. Ho chiuso le porte, lasciato le chiavi, non senza qualche lacrima, e ho capito che era arrivato il momento. Sono passati solo pochi giorni e non sono bastati per mettere a fuoco le emozioni e smaltire questi 35 anni di vita, vissuti così intensamente ma che sembrano volati in un attimo».
Cosa ha rappresentato Villa Principe Leopoldo?
«Un mondo che mi ha arricchito non solo lavorativamente ma anche come persona, realizzando tanti sogni e sentendomi parte integrante di un progetto. Non smetterò mai di ringraziare di questo la proprietà, la direzione e tutti i collaboratori con cui ho condiviso tante sfide ma ancor più soddisfazioni e gioie».
Un percorso cominciato con la gavetta.
«Mi sono ritrovato, sin da giovanissimo, a lavorare all’estero. Non è facile quando vedi i coetanei divertirsi in vacanza, ma impari il rispetto del lavoro e dei colleghi. Questo ti tiene i piedi a terra anche quando cresci e ti ritrovi ad avere a che fare con i collaboratori che fanno quelli che sembrano i lavori più umili, ma necessari a raggiungere insieme l’obiettivo comune, che è quello di far stare bene gli ospiti. Se non sai come si lava un pavimento e quanta fatica occorre per farlo poi è difficile spiegarlo a chi sta sotto di te».
Come si arriva dal lavare i pavimenti a diventare il maître di Villa Principe Leopoldo?
«Con tanto lavoro e costanza, cogliendo al meglio le opportunità. A fine degli anni ’80 stavo lavorando nel Sopraceneri ma, quando sono stato contattato dall’allora amministratore delegato, ho capito che, per quanto spostarmi nel Luganese avrebbe comportato difficoltà logistiche non indifferenti, la Villa aveva un fascino particolare che avrebbe reso speciale la mia esperienza lavorativa. Posso dire di aver avuto ragione. Dirò di più, chiunque lavora lì ne rimane indissolutamente legato, è una cosa che abbiamo avuto modo di constatare tante volte».
Come Dario Ranza, Gabriele Speziale e Mario Lanfranconi, compagni di una vita con i quali avete contribuito al successo del ristorante. Lei è stato l’ultimo rappresentante di quella generazione.
«Quattro caratteri diversi, ognuno con le proprie competenze e ambizioni, che però assieme lavoravano in perfetta armonia, cercando di capire le esigenze degli altri. Ci trovavamo insieme ogni sera per la «cena delle sei», dove condividevamo momenti quotidiani e di progettualità. Io sono stato il primo ad arrivare e l’ultimo ad andare via: forse si chiude un’epoca, ma non certo la Villa. Come quando è andato via Dario è arrivato il bravissimo chef Christian Moreschi, adesso al mio posto ci sarà Antonino Forte, un ragazzo di enorme talento di cui ho profonda stima e che proseguirà la tradizione di ospitalità e di accoglienza di questo posto».
Cosa gli ha consigliato?
«Di portare le sue idee e la sua personalità, senza però stravolgere lo spirito e la storia di un ristorante che è un punto di riferimento di tante persone che, ogni volta che arrivano, vedono il Principe Leopoldo come il luogo magico dove sentirsi a casa. Ed è un’identità che, per quanto cambino i tempi, è giusto non venga cambiata».
Il modo di fare servizio in sala è però cambiato tanto negli anni. Vedere un maître preparare una crepe suzette al flambé o deliscare un pesce di fronte agli ospiti come faceva lei è sempre più una rarità.
«Chi va in un ristorante del genere non lo fa esclusivamente per mangiare bene, ma per vivere un’esperienza a 360 gradi. Vedere certe preparazioni dal vivo regala emozioni ai clienti: lo si vede nei loro occhi mentre si realizzano piatti complicati come lo Steak Diane. E oltretutto è un continuo stimolo per i camerieri, che capiscono che questo lavoro non si limita a portare un piatto dalla cucina al tavolo, ma è un’arte dove si imparano nuove tecniche, parlare lingue straniere e confrontarsi con culture diverse, acquisendo competenze che possono portare a fare carriere importanti e levarsi grandi soddisfazioni».
Ma questo i giovani lo capiscono?
«A mio parere sì. Non è vero che non ci sono giovani bravi o che non hanno voglia di sacrificarsi. Bisogna però capire che le condizioni di lavoro e le esigenze dei giovani sono cambiate. Rimanere ancorati alle convinzioni della nostra generazione non serve a nulla: preferisco divulgare, come faccio con il mio ruolo di cancelliere all’Amira, la bellezza di una professione che permette di non vivere mai una giornata uguale all’altra».
E lei come vivrà la sua seconda giovinezza?
«Dedicando finalmente più tempo a mia moglie Franca e alle figlie Elisa e Sabrina, per le quali sono stato spesso assente. E sicuramente continuerò a trasmettere alle nuove generazioni la passione per quello che continuo a pensare sia il lavoro più bello del mondo».